La decisione del patriarcato ecumenico di inviare due esarchi (visitatori) in Ucraina al fine di preparare la concessione dell’autocefalia alle Chiese ortodosse locali, peraltro divise fra obbedienza moscovita e indipendenza nazionale (7 settembre), rappresenta – secondo il commento del metropolita Hilarion, presidente del dipartimento delle relazioni ecclesiastiche del patriarcato di Mosca – una pietra tombale sul dialogo fra le Chiese ortodosse.
«Questa situazione in cui Costantinopoli interferisce in termini perfettamente insolenti e cinici negli affari di un’altra Chiesa locale, non solo costringe il dialogo nell’impasse, ma rischia di provocare uno scisma nell’ortodossia universale. Se Costantinopoli porta a compimento il suo perfido piano di concessione dell’autocefalia, significa che un gruppo di scismatici riceverà tale autocefalia. La Chiesa canonica (locale) non l’accetterà. Nella Chiesa russa non riconosceremo tale autocefalia. E non avremo altra scelta se non rompere la comunione con Costantinopoli. Questo significa che il patriarca di Costantinopoli non avrà alcun diritto di designarsi, come fa attualmente, come “il capo di una popolazione ortodossa di 300 milioni di persone sul pianeta”, perché almeno la metà degli ortodossi non lo riconoscerà più. In definitiva, dividerà con le sue decisioni l’intera ortodossia mondiale» (l’intervista è stata concessa alla catena televisiva Rossia 24 e ripresa da Ortodoxie.com).
L’incontro e la sinassi
Siamo a una sorta di dichiarazione di guerra, ben diversa dalle differenze e critiche che finora erano comuni fra i vari patriarchi, sempre attenti a non tirare troppo la corda e a salvare il dialogo fra le Chiese ortodosse. Negli ultimi mesi abbiamo raccontato diffusamente la difficile e complicata situazione delle Chiese in Ucraina (3 agosto, 21 luglio, 6 luglio, 5 luglio, 11 maggio).
L’incontro dei due patriarchi il 31 agosto e la sinassi del sinodo costantinopolitano di quei giorni sono stati all’insegna «degli sforzi in favore dell’unità e della stabilità dell’Ortodossia e della testimonianza ecclesiale comune» (comunicato del patriarcato di Costantinopoli il 5 settembre).
Due giorni dopo arriva la decisione di inviare gli esarchi in Ucraina. La Chiesa ortodossa ucraina di obbedienza russa indica il gesto come una «violazione flagrante del territorio canonico della Chiesa ortodossa ucraina».
A ruota, il sinodo della Chiesa russa afferma che l’invio «contraddice totalmente la posizione, rimasta inalterata fino a oggi, del Patriarcato di Costantinopoli, e la posizione personale del patriarca Bartolomeo, che ha più volte dichiarato di riconoscere il metropolita Onufrio come unico responsabile canonico della Chiesa ortodossa in Ucraina». Insomma, «una minaccia reale per l’unità di tutta l’ortodossia mondiale».
Tre giorni dopo, il 10 settembre, Hilarion concede la lunga intervista da cui siamo partiti. In essa conferma che l’autocefalia non è stata richiesta dalla Chiesa ortodossa di Ucraina (filorussa), ma dalle due Chiese «scismatiche». Sottolinea che Costantinopoli si è arrogata un diritto indebito, forgiando «una dottrina papista propria, una concezione papista del proprio ruolo».
Pur essendo riconosciuto come moderatore del lungo processo conciliare avviato negli anni ’60, il patriarca di Costantinopoli si sta arrogando poteri impropri che, invece di aiutare le Chiese locali a superare la proprie divisioni, «si impegna direttamente per sostenere gli scismi». Se è vero che talora Costantinopoli ha concesso il tomo dell’autocefalia alle Chiese, è altrettanto vero che non sempre è stato così. L’incontro recentissimo di Cirillo a Istanbul non sembra essere servito a niente, visto che Costantinopoli si comporta «bassamente e da traditrice». Non c’è nella tradizione ortodossa niente che giustifichi un «primato di potere o di giurisdizione» della sede del Fanar.
È evidente – sempre per Hilarion – che è la politica a decidere in merito alla Chiesa e ai tempi della concessione del tomo. Le prossime elezioni politiche in Ucraina potrebbero dare una diversa maggioranza, contraria alle pretese «papiste» di Costantinopoli. La stessa cosa sta avvenendo per la Chiesa di Macedonia, a danno della Chiesa Serba il 30 luglio scorso.
Il «filetismo» e la comunione
Recensire le ragioni delle Chiese filo-russe non significa ignorare quelle di Costantinopoli e delle Chiese ucraine locali e di altre Chiese, come quella macedone. La spinta che, dall’800, identifica nazionalità con Chiesa ortodossa (percepito come pericolo dalle Chiese stesse che lo indicano come «filetismo») e le infinite resistenze a un percorso conciliare comune, nonostante il parziale successo del sinodo di Creta del 2016, appesantiscono la vita cristiana ortodossa.
Come ha dichiarato mons. P. Coda al SIR: «L’obiettivo, dunque, che guida la “politica” ecumenica della Chiesa cattolica è l’opposto di quel “divide et impera” che potrebbe puntare a trarre vantaggio dalle difficoltà e divisioni tra i propri interlocutori. È, piuttosto, la logica dell’attesa, della pazienza, del sostegno gratuito e indiscriminato, della speranza che nasce dalla fede in Gesù, il principe della pace. La ricaduta fondamentale che si può auspicare è quella che tutti ci s’impegni con crescente consapevolezza, efficacia e perseveranza nella costruzione della comunione, a tutti i livelli, in modo che le divergenze siano affrontate con l’occhio della fede e dell’amore, a servizio dell’unica missione».
Le tensioni inter-ortodosse non favoriscono né il cammino ecumenico con i cattolici, né la testimonianza comune del cristiani. Una condizione triste per tutti.
Una condizione triste per tutti! Proprio così. Aggiungerei anche la difficoltà che questo crea anche nel cammino ecumenico locale, diocesano.
Grazie