Rabat, moderna capitale del Marocco, nel suo biancore si affaccia curiosa sul blu intenso dell’Oceano Atlantico. Una curiosità questa – un’apertura al mondo – che viene da lontano. Città culturale, si mostra ad ogni passo ricca di storia e di tracce del suo passaggio. Vi approdano, infatti, cartaginesi, romani, dinastie merinide e almohade, moriscos, andalus, siciliani e francesi.
Vi affascinano subito strade ampie e pulitissime, grandi palme dappertutto, avenues dai bordi fioriti e alberati, un tramway silenzioso e moderno, che se la contempla in lungo e in largo questa città, ogni dieci minuti. E che ormai la lega alla città rivale sua vicina, appena al di là del fiume Bouregreg: Salé. Rimasta famosa per il suo formidabile istinto predatorio: era la capitale dei corsari. Una vera maledizione, infatti, per le navi portoghesi, inglesi o spagnole di passaggio…
Notre Dame du Maroc
La fermata del tramway più suggestiva in centro città è quella della piazza El Joulan, ai piedi della cattedrale. Enorme e maestosa, nel suo inconfondibile colore bianco-latte, la cattedrale Saint Pierre si erge elegante con i suoi due vertiginosi minareti. Sorta precisamente cento anni fa su un terreno offerto da una famiglia musulmana, che vi voleva un luogo di preghiera e non dei negozi.
Sorprende la sua fattura occidentale e insieme marocchina, tranquillamente inserita in un contesto musulmano. Anche all’interno, si ritrovano – come in ogni moschea – marmi, stucchi e legno dei cedri dell’Atlante per la soffittatura. Inoltre, mosaici, zellij, volte moresche, vetrate arabizzanti di stile moucharabia…
Soprattutto vi conquisterà un’incantevole Madonna vestita alla marocchina, dipinta da una suora carmelitana: Notre Dame du Maroc. Tutti qui ne siamo devotissimi. Sorprende anche la popolazione che vi è accolta. Cristiani o musulmani, turisti, pellegrini, studenti, mendicanti, fedeli o curiosi. È il mondo che si presenta qui. Ed è uno spazio interreligioso, per davvero.
Uno spazio fraterno e accogliente
Tempo fa era un piccolo gruppo dalla nuova Zelanda e dall’Australia, due dall’Italia, vari dalla Francia, dalla Spagna… Gruppi di studenti marocchini li vedi entrare, sedersi beati dove capita, lasciandosi cullare dalla magia delle melodie di Taizé.
Giorni fa, un musulmano, dopo una preghiera, con un bicchiere beveva tre volte all’acquasantiera e vi lasciava dentro un dirham… Tempo fa, dei musulmani americani di passaggio chiedevano di fare proprio qui la loro preghiera. «Gli incontri più importanti sono già combinati dalle anime, prima ancora che i corpi si vedano» (P. Coelho).
Ed è qui che si svolge parte della mia attività. Accogliere e presentare la cattedrale a chi entra, ma anche la Chiesa in Marocco. Una Chiesa originale quanto la sua cattedrale. Affascinata dalla fede sorprendente di tutto un popolo, quello musulmano. «Sapete, hanno una fede che trasporta le montagne!» vi dirà suor Marie, parlando dei suoi vicini di casa.
Ma anche appassionata di questa umanità e delle sue fragilità o povertà, trasportata dalla forza dell’amore del Cristo. Qui ritrovi una volontà di dialogo e di fraternità, che fa rivivere lo spirito di Charles de Foucauld. Una santità, questa, non collocata su una guglia, ma con i piedi ben piantati in terra, in ambito musulmano, dove amare ognuno come «fratelli tutti». Sì, in verità, come un dono di Dio.
Rispetto
Così cresce nel Maghreb una Chiesa minoritaria, umile, coraggiosa e servizievole. Essa «cammina umilmente con il suo Dio», come suggerisce il profeta Michea.
Nella cattedrale di Rabat si celebrano, così, in questi incontri come dei momenti di catechesi, di formazione itinerante in tempo di sinodo. Istanti di grazia, dove si preferisce il cammino alla sedentarietà. Il dinamismo e le sorprese di Dio alle abitudini incrostate dal tempo. Il soffio dello Spirito e di una presenza che trasforma le sicurezze o i pregiudizi, solidificati dal passato. I frutti sono la stima e il rispetto reciproci.
«Il rispetto, infatti, è più di una parola. Il rispetto non si pronuncia, si dimostra. È il saper guardare gli altri come guarderesti te stesso, esattamente allo stesso identico modo», direbbe qualcuno.
Restaurando tempo fa una chiesa abbandonata in Marocco, divenuta centro culturale, al termine dei lavori ci si dimenticava di porre in cima la croce. Sarà il comune stesso a intervenire per farla mettere. «Per rispettare la storia» precisavano. Sorprendente!