L’anno della Riforma volge al termine. È stato un anno in cui si è verificato un cordiale avvicinamento tra cattolici e protestanti. Ma al di là dell’amicizia e della partecipazione, i risultati in campo ecumenico sono stati molto pochi. Le differenze dottrinali infatti rimangono quelle di prima. Quali sono queste differenze il sito Internet della Chiesa tedesca katholisch.de ha voluto spiegarlo ai lettori attraverso una sintetica esposizione a firma di Thomas Jansen che qui riprendiamo.
Il problema dell’ufficio ministeriale nella Chiesa
Una differenza profonda tra cattolici e luterani riguarda, sia prima come dopo, la comprensione del ministero nella Chiesa. Controversa tra le confessioni è soprattutto la definizione dell’ufficio presbiterale. Protestanti e cattolici condividono tuttavia la concezione del sacerdozio di tutti i fedeli. Ambedue affermano che tutti i cristiani mediante il battesimo sono partecipi del “sacerdozio di Cristo”.
Secondo la concezione cattolica, tra questo sacerdozio comune dei battezzati e i sacerdoti consacrati rimane tuttavia non solo una differenza di grado, ma qualitativa. Il sacerdote consacrato secondo la comprensione cattolica agisce «in persona Christi». Questa comprensione dell’ufficio ministeriale si esprime soprattutto nella celebrazione dell’eucaristia. Il sacerdote consacrato, secondo le parole del Concilio Vaticano II, compie «in persona Christi il sacrificio eucaristico e lo offre in nome di tutto il popolo di Dio». I fedeli invece partecipano «all’offerta dell’eucaristia». «Essi esercitano il sacerdozio ricevendo i sacramenti, attraverso la preghiera e l’amore al prossimo».
Secondo la convinzione protestante non esiste una differenza qualitativa di questo genere tra consacrati e non consacrati, tra chierici e laici. I protestanti non conoscono una consacrazione. Tuttavia ciò non vuol dire che nelle Chiese luterane ognuno possa fare qualsiasi cosa. Anche da loro si distingue il sacerdozio di tutti i fedeli da quello «dell’ufficio ministeriale ordinato». La differenza qui però non è qualitativa, ma in prima linea funzionale. Dal punto di vista protestante ogni cristiano ha la possibilità di agire in maniera significativa nella guida della comunità e di esprimere un proprio giudizio dottrinale. Ma per raggiungere una maturità del genere occorre prima l’annuncio e l’istruzione dei responsabili ordinati.
I vescovi e la successione apostolica
Alla base di questa diversa concezione dell’ufficio ministeriale sta la differenza contenuta nell’espressione “successione apostolica”. Sotto ad essa sta la concezione cattolica secondo cui i vescovi di oggi sono in una ininterrotta legittima successione dei primi apostoli. Il tramite di collegamento è la consacrazione episcopale legittimamente ricevuta. Un’importanza particolare ha qui l’imposizione delle mani sul nuovo vescovo da parte del vescovo consacrante.
I vescovi protestanti, secondo questa definizione sono al di fuori della “successione evangelica”, perché la catena consacratoria è stata interrotta con la Riforma.
Anche la concezione dell’ufficio del vescovo è sostanzialmente diversa: nella Chiesa protestante è una scelta dell’ufficio, dotata tuttavia di poteri molto minori rispetto alla Chiesa cattolica. I critici protestanti rimproverano alla concezione cattolica di collegare la retta trasmissione della dottrina della Chiesa e della Tradizione soltanto all’imposizione delle mani. I teologi cattolici al contrario sostengono che questo gesto durante la consacrazione è un segno che da solo però non costituisce una garanzia di pieno accordo con gli apostoli.
Anche i luterani conoscono una “successione apostolica”, ma la intendono in senso più ampio come continuità di tutta la Chiesa con gli apostoli. Essi rifiutano di collegarla alla consacrazione episcopale. Nel dialogo ufficiale luterano-cattolico i luterani hanno spiegato che una ripresa della successione apostolica ha significato soltanto se prima viene raggiunta tutta la comunità.
L’immagine della Chiesa
La seconda fondamentale differenza, strettamente collegata con le concezioni dell’ufficio ministeriale, riguarda la comprensione della Chiesa. Fino ad oggi determinante per il protestantesimo è il pensiero di Lutero secondo cui la Chiesa non è in sostanza un’istituzione, ma si trova là dove i fedeli si riuniscono per ascoltare la parola di Dio. Lutero opera una drastica separazione tra questa Chiesa invisibile e quella visibile nella sua concreta configurazione storica. Benché oggi anche da parte degli evangelici spesso non venga più operata una separazione così stretta tra Chiesa visibile e invisibile, rimane tuttavia una differenza sostanziale; secondo la dottrina cattolica infatti la Chiesa visibile con i suoi organi gerarchici è legata in maniera indissolubile con la comunità spirituale invisibile. La Chiesa tuttavia non è semplicemente da equiparare con la Chiesa cattolica nella sua forma concreta, ma si realizza pienamente soltanto nella Chiesa cattolica. Fuori di questo quadro istituzionale, secondo la posizione cattolica, ci possono essere solo elementi di Chiesa, ma nessuna Chiesa completa.
Concezione dell’eucaristia e cena eucaristica
La diversità di concezioni dell’ufficio ministeriale e della Chiesa è in definitiva anche la ragione determinante per cui la Chiesa cattolica attualmente non vede alcuna possibilità di un’intercomunione, ossia della reciproca ricezione della comunione e della cena eucaristica tra cattolici e protestanti. La cena eucaristica non può essere riconosciuta perché secondo la dottrina cattolica soltanto un sacerdote ordinato può celebrare l’eucaristia “in persona Christi”. E siccome l’eucaristia, secondo le parole del Concilio Vorticano II, è «fonte e culmine di tutta la vita cristiana», poterla ricevere da parte dei protestanti secondo i cattolici sarà possibile solo quando sarà raggiunta la piena unità. Meno determinanti e non più fattore di divisione tra le Chiese sembrano oggi invece le differenze nella comprensione del cambiamento del pane e del vino. Come i cattolici, anche i luterani credono nella presenza reale di Cristo durante la celebrazione dell’eucaristia. Secondo la dottrina cattolica la sostanza del pane e del vino, a differenza della concezione protestante, viene cambiata totalmente e durevolmente nel corpo e sangue di Cristo. Per questo le particole consacrate nelle chiese cattoliche vengono custodite nei tabernacoli.
Il papa e il primato
Il più grande ostacolo nel dialogo ecumenico è il papa stesso, ha affermato francamente Paolo VI. I protestanti rifiutano il primato di giurisdizione e l’infallibilità del papa. Secondo la concezione cattolica il papato è un’istituzione divina. Gesù ha stabilito Pietro come primo papa dicendogli «Tu sei la roccia su cui io costruirò la mia Chiesa». Tuttavia, oggi questa istituzione non è più intesa in senso storicamente stretto. I luterani potrebbero riconoscere che Pietro, sia al tempo di Gesù sia dopo la sua risurrezione, abbia avuto un primato tra gli apostoli. Essi tuttavia rifiutano un primato esclusivo di Pietro e un primato legato alla persona.
Giovanni Paolo II aveva invitato a un dialogo sul primato del papa. Nella sua enciclica ecumenica Ut unum sint del 1995 aveva manifestato la volontà «di trovare una forma di esercizio del primato che, pur non rinunciando in nessun modo all’essenziale della sua missione, si apra ad una situazione nuova». A questo riguardo sono state formulate diverse proposte da parte cattolica. L’allora cardinale Joseph Ratzinger nel 1982 nel dialogo con le Chiese ortodosse propose di interpretare il dogma dell’infallibilità del papa alla luce della dottrina e della prassi del primo secolo, cioè in un’epoca che non conosceva ancora l’infallibilità e il primato di giurisdizione nella forma attuale. Il gesuita Karl Rahner proponeva che il papa si limitasse alla sua competenza giuridica e rinunciasse al potere.
Il teologo di Tubinga Hans Küng è favorevole a un “primato pastorale”. Il papa, cioè, dovrebbe rinunciare ampiamente alle sue prerogative tradizionali ed esercitare il ministero petrino attraverso un agire conforme al vangelo in quanto supremo servo e pastore.
Ma nessuna di queste proposte è in grado di trovare consenso alla Chiesa cattolica.
“Piena unità” o “diversità riconciliata”?
Differenze tra cattolici e protestanti ci sono tuttavia non solo sui problemi di fondo. C’è disunione anche sull’obiettivo finale a cui deve tendere il dialogo ecumenico ufficiale, quale meta è desiderabile raggiungere. Dal punto di vista cattolico, lo scopo di tutti i dialoghi deve essere in ultima analisi “la piena unità visibile”. Ciò non significa che i protestanti debbano semplicemente rinunciare a tutte le loro tradizioni e riti ed entrare nella Chiesa cattolica. Ma vuol dire che cattolici e protestanti formano, anche dal punto di vista istituzionale, una Chiesa. Resta tuttavia aperto il discorso, anche da parte cattolica, su come in pratica un’unità del genere debba essere declinata. È sempre valido ciò che disse il vescovo ecumenico tedesco Gehrard Feige nel 2014: oggi nell’ecumenismo non abbiamo ancora un’dea chiara di come la piena unità visibile in concreto possa manifestarsi. È ovvio tuttavia che unità non significa semplicemente uniformità. Da parte dei protestanti negli anni scorsi si è preferito parlare ripetutamente di “differenza riconciliata”, per descrivere lo scopo del dialogo ecumenico. Una tale unità sarebbe pensabile anche senza un’unità visibile.
Le diversità teologiche che attualmente dividono cattolici e protestanti non sono affatto soltanto sottigliezze accademiche. Le loro conseguenze toccherebbero la vita quotidiana di ambedue le Chiese. Ciò lo avverte ogni cattolico che partecipi a un servizio liturgico protestante e ogni protestante che visitasse una messa cattolica. Si discute se e come queste differenze teologiche oggi siano insuperabili e fattore di divisione tra le Chiese. Karl Rahner osservò già nel 1973 che il dialogo ecumenico «sul piano dell’alta teologia accademica» attualmente «non trova punti controversi insuperabili che non lascino per lo meno intravedere come potrà darsi una unificazione». Anche Rahner tuttavia ha fatto un’eccezione: il problema del primato del papa.
Ma anche se fosse così, l’alta teologia accademica è solo un attore nel dialogo ecumenico. E anche qui ci sono voci del tutto diverse che non condividono la fiduciosa valutazione di Rahner. Papa Francesco si è dichiarato più scettico di Rahner sulle prospettive di successo dei dialoghi dell’alta teologia accademica. «Se crediamo – ha detto riferendosi all’ecumenismo – che i teologi giungano ad essere concordi, l’unità arriverà dopo il giudizio finale».
In effetti anche sul piano gerarchico e nella vita concreta di tutti i giorni dei fedeli un avvicinamento non risulta facile. Le differenze teologiche infatti sono anche differenze nella prassi di fede e nella vita della Chiesa. Un allontanamento dalle posizioni confessionali a favore dell’ecumenismo avrebbe conseguenze di vasta portata. Se per esempio la consacrazione sacerdotale nella Chiesa cattolica non rappresentasse più una differenza qualitativa rispetto al sacerdozio fedeli, allora verrebbe messo in questione anche l’attuale svolgimento della celebrazione eucaristica.
E viceversa: chi potrebbe oggi immaginare una Chiesa evangelica in Germania che riconoscesse papa Francesco anche solo capo onorario o portavoce della cristianità?
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