«Se vuoi costruire una nave non devi per prima cosa affaticarti a chiamare la gente a raccogliere la legna e a preparare gli attrezzi; non distribuire i compiti, non organizzare il lavoro. Ma invece prima risveglia negli uomini la nostalgia del mare lontano e sconfinato. Appena si sarà risvegliata in loro questa sete si metteranno subito al lavoro per costruire la nave» (Antoine de Saint-Exupery). Tornando dal breve viaggio in Romania, l’aforisma si presenta efficace in una sua riformulazione: Se vuoi costruire una chiesa, non affaticarti a impiantare il cantiere, ma prima risveglia negli uomini la nostalgia dell’infinito e della comunione.
Oradea: debolezza forte
Camminando per le strade di Oradea in un pomeriggio di primavera in avanti rispetto al calendario, i luoghi ci parlano della realtà variegata e complessa che struttura la vita di questa città ai confini con l’Ungheria. La spaziosa piazza principale ripavimentata da un’impresa trentina che ha vinto un appalto europeo. Le due cattedrali, ortodossa e greco-cattolica, vicine sulla medesima piazza, ma che si danno le spalle. La chiesa del seminario greco-cattolico con il tetto azzurro, colore delle chiese ortodosse perché, come tante altre, era stata sottratta ai greco-cattolici nel 1948 e consegnata agli ortodossi e poi, dopo il 1990, come poche altre, restituita ai greco-cattolici. La cattedrale latina a fianco del maestoso episcopio in stile asburgico, dove ferve il cantiere per la ristrutturazione.
La Chiesa latina
La diocesi latina di Bihor è stata fondata nel 1009 da s. Ladislao. Col diffondersi della Riforma nel XVI sec. venne soppressa e i beni incamerati. È stata ristabilita sul finire del XVII sec. ed è stata poi costruita l’attuale cattedrale. Il suo nome canonico è Gran Varadino dei latini e attualmente è la porzione romena della diocesi storica che si estendeva per i 2/3 nell’attuale territorio ungherese. L’intera provincia del Bihor è bilingue. La maggioranza dei fedeli latini è di lingua ungherese così come il 90% dei sacerdoti. Agli inizi del secolo scorso l’89% della popolazione era ungherese. Nel giro di mezzo secolo la situazione si è capovolta a favore della maggioranza romena (65%), grazie anche all’immigrazione forzata successiva alla Dichiarazione di unione della Transilvania alla Romania il 1° dicembre 1918.
Anche per questo la Chiesa latina vive una sorta di doppia minoranza, linguistica e religiosa. Nonostante le traversie ripetute della storia, è rimasta sempre una presenza forte; non solo con il servizio delle chiese, ma anche con l’apertura di scuole e ospedali. È in questi luoghi di servizio pubblico che maggiormente si esercita il dialogo e la collaborazione con altre identità. Nelle scuole di lingua ungherese, ad esempio, convergono greco-cattolici e riformati.
La collaborazione con la Chiesa greco-cattolica risente, nel bene e nel male, della disponibilità dei rispettivi leader. In questo momento è proficua, grazie al vescovo latino László Böcskei e a quello greco-cattolico Virgil Bercea.
I rapporti con la Chiesa ortodossa sono più nodosi. I contatti disimpegnati che ci sono coinvolgono le persone più che le istituzioni. Piccoli gesti che non consentono di dar vita a collaborazioni consolidate. Sono più grandi le distanze percepite (e volute) dal sentire comune.
Più articolati i rapporti con l’amministrazione civile, comunale e statale. Durante il regime comunista, la Chiesa latina ha continuato a sussistere come decanato. È stata privata dei beni ecclesiastici e delle congregazioni, ma non delle chiese. Le comunità ortodosse hanno riavuto tutto, le altre Chiese no. La Chiesa cattolica ha ora rinunciato alla richiesta di rientrare nella proprietà dell’intero patrimonio immobiliare. Sia perché è di fatto inesigibile, come ha detto al vescovo il presidente: «Non pensate di riavere tutti i beni, altrimenti i centri storici della zona sarebbero di proprietà cattolica». Sia perché la Chiesa cattolica finirebbe per dare di sé l’immagine controproducente di una istituzione scandalosamente ricca.
Il palazzo dell’episcopio, vero gioiello di architettura, è in fase di ristrutturazione. Il governo ungherese ha contribuito alle spese con 9 milioni di € in tre anni. Eccede le necessità della curia e sarà perciò destinato per la maggior parte a centro culturale, come simbolo della storia millenaria della diocesi, compendio delle varie identità culturali e centro di dialogo fra culture e identità.
La Chiesa latina è libera e riconosciuta. Nel Bihor non è osteggiata, ma nemmeno sostenuta. Solo una percentuale molto ridotta (40%) del sostentamento clero viene dallo Stato, sulla base di statistiche di fonte statale che ripartiscono in misura non realistica la composizione delle appartenenze religiose: chi nel censimento si dichiara romeno automaticamente viene classificato come ortodosso.
Non si può parlare di “movimento” ecumenico. In realtà è tutto fermo ad incontri regolari tra le Chiese storiche condotti senza eco pubblica. Se si desse forma istituzionale alle iniziative ecumeniche, gli ortodossi si ritirerebbero, in ossequio ai veti promossi dal metropolita della Transilvania Bartolomeu Anania all’indomani della partecipazione all’eucaristia cattolica da parte del metropolita Corneanu (2008). La cattedrale latina è un monumento storico, ma gli ortodossi per prudenza non vi entrano. Nella Notte dei musei è rimasta aperta come museo e questo ha facilitato il superamento dei tabù. Non c’è reciprocità nell’ospitalità ecumenica. Agli inviti da parte dei cattolici non corrispondono inviti da parte ortodossa.
Se mai ci sarà una visita di papa Francesco (chi dice di sì, chi dice che no), sarà impostata come visita pastorale alla Chiesa cattolica, non come iniziativa ecumenica. Sarebbe paradossale se l’impegno ecumenico finisse per danneggiare i cattolici.
La Chiesa greco-cattolica
In tutta la Romania, e non di meno a Oradea, la Chiesa greco-cattolica soffre per l’atteggiamento di fatto ostile della Chiesa ortodossa. Il patriarca Daniel mostra un volto molto diverso da quello di Ciobotea conosciuto a Ginevra, ai tempi del suo protagonismo al CEC (Consiglio ecumenico delle Chiese). I greco-cattolici sono considerati eretici dalla Chiesa ortodossa. Fedeli e autorità della Chiesa ortodossa sono diffidati dall’intrattenere atteggiamenti “ecumenici”, soprattutto nei confronti dei greco-cattolici. Le iniziative ecumeniche vengono disertate e non ci sono esperienze di ospitalità reciproca.
La questione delle proprietà dei beni ecclesiastici, passati alla Chiesa ortodossa dopo il 1948 insieme ai fedeli costretti a passare all’unica confessione ammessa, brucia ancora. Condiziona pesantemente i rapporti fra le Chiese e con lo Stato.
La Chiesa greco-cattolica ha di fatto rinunciato al contenzioso. Ha finora ottenuto la restituzione di poco più di un decimo dei beni ai quali avrebbe diritto. E il tutto ha comportato sforzi incredibili. Ma non si può vivere occupandosi solo di processi. La pastorale deve avere il primato. La proposta di condividere le chiese per le celebrazioni ha riscontrato un pressoché totale rifiuto. La Chiesa greco-cattolica ha preferito costruire ex-novo le proprie chiese anziché insistere con il contenzioso. «Forse è meglio pensare che ci faccia bene essere più poveri», dice il vescovo di Oradea Virgil Bercea, personalità di spicco nell’episcopato romeno.
È una linea ardua da sostenere perché i costi di gestione sono esosi, soprattutto perché la Chiesa greco-cattolica, a differenza della Chiesa ortodossa, ha dato vita a numerose opere sociali. Nel 1948 lo Stato aveva sottratto alla Chiesa greco-cattolica anche scuole e ospedali, le aveva incamerate con tutto l’arredo e l’apparato tecnico solitamente di prima qualità. Nei pochi casi di restituzione, alla Chiesa sono tornate solo le mura e il resto si è dovuto installare a proprie spese. Lo Stato ora contribuisce solo alle spese di gestione. Al resto contribuiscono i fedeli e i benefattori, tra i quali la CEI.
Si preferisce accantonare il contenzioso per dedicare le proprie risorse all’azione pastorale, e in essa soprattutto alla formazione. Il bisogno è grande, perché anche la società romena sta conoscendo una secolarizzazione pervasiva. Un indice su tutti: il fallimento del matrimonio riguarda un’unione su tre e si conta anche tra il clero uxorato. Nell’ambito politico, la Chiesa, ad esempio, sta promuovendo un referendum per la modifica della Costituzione, affinché si stabilisca che il matrimonio è l’unione di un uomo e una donna, non genericamente di due coniugi. Il lavoro con i giovani conosce un riscontro incoraggiante. La fatica è moltiplicata dal contesto ostile. La divisione e le tensioni fra le Chiese sono un macigno di controtestimonianza con il quale si scontra ogni buona intenzione.
Bucarest: forza debole
Bucarest è una capitale che compendia le ricchezze e anche le contraddizioni della più vasta società romena. Sui grandi boulevard in stile parigino si affacciano numerose attività commerciali, molte di importazione. Non vi sono appariscenti proposte per turisti; è una città occupata con se stessa. Qualcuno, anche giovani, si fa il segno della croce passando davanti a una chiesa. Numerosi i piccoli gruppi familiari che si muovono insieme.
Sono più di 5 milioni i romeni e le romene cha lavorano nel resto d’Europa (20 milioni gli abitanti). Con mansioni anche qualificate, basti pensare ai 4.000 medici di Francia o Germania. Se improvvisamente tutti i lavoratori romeni rientrassero in patria, il sistema economico europeo salterebbe. Ma anche per l’economia romena i proventi dai migranti sono sostanziali. Soprattutto se si pensa che nel Paese gli stipendi medi si aggirano sui 300€ mensili, meno di quello che un lavoratore all’estero avanza per mandare a casa. Rispetto alla nostra visita di qualche anno fa, la città presenta un tenore di vita più alto, una cura maggiore, più vetture, mediamente di buona stazza, e meno cantieri attivi.
La Chiesa ortodossa
Fra i cantieri, uno su tutti domina la città, per l’imponenza dell’occupazione del suolo, ma ancor più per l’occupazione del dibattito pubblico. È il febbrile cantiere al lavoro giorno e notte per la costruzione della nuova cattedrale ortodossa, un’opera imponente che in altezza mira a superare San Pietro. Si vuole arrivare in tempo a completare almeno la costruzione dell’edificio (per gli interni e gli arredi c’è tempo, secondo le usanze locali) entro il 25 novembre, giorno previsto dell’inaugurazione alla quale parteciperà il patriarca ecumenico Bartolomeo.[1] Si sarebbe voluta la cerimonia di inaugurazione il giorno 30 novembre, festa di sant’Andrea, ma quel giorno Bartolomeo sarà occupato con la festa del medesimo santo nella sua Costantinopoli. Importante è che si possa inaugurare la più grande cattedrale dell’Ortodossia entro il 2018, (controverso) centenario dell’“unificazione” della Romania, a rimarcare l’identificazione voluta tra Chiesa ortodossa e nazione.
Sono girate voci che volevano presente anche papa Francesco, ma l’ipotesi è tutt’altro che confermata. Hanno più credito le voci che riportano l’ostilità della (troppo) vicina Ungheria, che considera il 1° dicembre 1918 un giorno infausto (si è vista sottrarre la Transilvania, insieme ad altri territori) e mal digerirebbe la benedizione della ricorrenza da parte del pontefice cattolico e si dà da fare, invece, per la presenza del santo padre al Congresso eucaristico internazionale del 2020 sul proprio territorio.
C’era bisogno di una cattedrale più ampia dell’attuale (che pure si riempie soltanto poche volte all’anno), ma da molti viene sofferta con disagio l’imponenza della costruzione. Come la sua collocazione nelle adiacenze di quell’altra sproporzionata costruzione, il Parlamento, dove sproporzionata è stata anche la repressione condotta contro gli oppositori politici. Come la commessa di una campana – probabilmente la più grande del mondo – con l’effige del patriarca impressa a fusione.
Come la Fabbrica di San Pietro a suo tempo per la cattolicità, anche la costruzione della cattedrale ortodossa sta provocando divisioni interne alla Chiesa. Alcune sono eclatanti. Come il drappello dei 100 preti ortodossi che sono stati “spretati” per il rifiuto opposto al prelievo forzoso di denaro dalle proprie parrocchie. Guidati dal metropolita Gherasim avrebbero trovato sponda in un codice conciliare per costituirsi Chiesa autocefala, nella quale confluirebbero anche alcuni sacerdoti, non più riconosciuti tali, della Moldavia.
Altri mal di pancia interni alla Chiesa ortodossa sono più latenti, ma non meno dolorosi. Ad esempio, perché l’organizzazione della vita ecclesiale sembra più occupata nell’edilizia che nella pastorale. E anche nell’edificazione di opere, è considerata una scelta squalificante l’aver finanziato, dopo il 1990, la costruzione di 3.000 chiese e solo 3 ospedali e 5 scuole. Attualmente, l’80% delle opere sociali di proprietà ecclesiastica sono fondate e gestite dalla Chiesa cattolica (latina e greca), che raccoglie solo l’8% della popolazione.
In base al concordato, tutte le Chiese devono avere come finalità l’inclusione sociale. Il principio “post hoc ergo propter hoc” è sospetto in logica, fatto sta che successivamente alla destinazione di fondi dello Stato per opere sociali, il patriarca Daniel ha invitato le parrocchie ortodosse a dar vita ad opere sociali (nelle quali è più facile fra l’altro trovare impiego per la moglie del prete). È prassi nota che la consacrazione sacerdotale e l’assegnazione di una parrocchia comportino una “donazione” di circa 15.000€ in campagna e 30.000 in città. Con tutto ciò, le vocazioni ortodosse sono fin “troppe” e l’assegnazione delle parrocchie è inferiore alla domanda.
Non è solo l’ordine ad essere tariffato. Anche gli altri sacramenti, compresa la confessione, sono di fatto esercitati dietro compenso. In alcune chiese si può trovare affisso il listino. La catechesi è ripetitiva e normativa.
Molti sono anche gli iscritti alle facoltà teologiche (1.500 a Bucarest). I dottorati sono coperti da borse di studio e perciò a numero chiuso. L’insegnamento nelle facoltà teologiche – inserite nell’università di Stato – esige la “benedizione” del patriarca, e la progressione nella carriera è prospettiva riservata ai preti, che per statuto sono sottoposti all’autorità ecclesiastica. Alcuni docenti rinunciano alla carriera per non dover far voto di obbedienza al patriarca. Lo stipendio dei docenti è erogato dallo Stato, ma il piano di studi richiede l’approvazione del patriarca.
Post-ortodossia e post-ecumenismo
Al di là delle forme appariscenti e dei numeri suggestivi, la Romania vive un clima di post-ortodossia. L’identificazione fra romeno e ortodosso è artificiosa. La divina liturgia e la spiritualità filocalica hanno ancora un certo fascino per i giovani. Il patriarca Daniel ha lanciato da un paio d’anni l’ITO (Incontro dei giovani ortodossi), il corrispettivo delle nostre GMG (Giornate mondiali della gioventù). Gode di un certo seguito ma, come le nostre GMG, si presenta più come un evento di piazza che come occasione pastorale. Le convivenze sono ormai fenomeno maggioritario, anche nella Chiesa ortodossa che tuttavia non le ammette e prima del rito porta gli sposi, approdati al matrimonio dalla convivenza, fuori dall’aula della chiesa per aspergerli con una benedizione che li purifichi.
La Chiesa è stata, soprattutto negli anni del regime e fino alla fine del secolo scorso, l’agenzia che godeva della maggiore credibilità. Oggi la fiducia nella Chiesa è scesa dall’80 al 50% e l’indice non ha intenzione di rialzarsi. Sembra che un crinale sia stato determinato dalla condanna espressa con parole “inopportune” dal patriarca – e da altri ecclesiastici con lui – verso le vittime dell’incendio sviluppatosi il 30 ottobre 2015 nella discoteca Colectiv di Bucarest. I 64 giovani morti nel rogo e nella calca sarebbero stati puniti per aver partecipato a un evento sommariamente classificato come diabolico (non siamo nuovi nemmeno dalle nostre parti a queste voci stridule). Il governo Ponta si è dimesso qualche giorno dopo l’accaduto. La Chiesa ortodossa ha visto precipitare la sua credibilità e da allora non si è più ripresa. Romanzi e film[2] si possono permettere di esprimere critiche dure nei suoi confronti.
Anche l’ecumenismo – mai in gran forma – riporta temperature glaciali. Nella Chiesa ortodossa dei preti e dei vescovi si cita ambiguamente il teologo Staniloae per ripetere che «l’ecumenismo è l’eresia del XXI secolo» e, più ancora, «l’ecumenismo è il compendio di tutte le eresie del passato». Nelle fiammelle di fraternità che ancora brillano nella notte non si parla di ecumenismo, ma di “dialogo intercristiano”.
Dopo il Sinodo di Creta (18-27 giugno 2016), molti sacerdoti rifiutano la menzione del patriarca nella preghiera eucaristica perché in quell’assise sono state assunte posizioni troppo accondiscendenti. Purtroppo per l’ecumenismo, in quella sede il patriarca ecumenico ha esplicitamente elogiato il patriarca Daniel per il suo contributo decisivo alla stesura dei testi sinodali. Non è soltanto Bartolomeu Anania a soffiare sul fuoco già voluminoso dell’ostilità confessionale; anche alcuni monasteri sono scuola di quello che in altri contesti definiremmo fondamentalismo religioso. La voce del patriarca Daniel è in sintonia col sentire diffuso e a sua volta lo rinforza. E tuttavia, il Patriarcato romeno sente la vocazione a fare da ponte, per la propria sensibilità e storia “latina”, nelle tensioni tra Mosca e Costantinopoli. Per quanto riguarda i rapporti con la Chiesa cattolica, è stata costituita una Commissione teologica con l’incarico di approfondire le piste di dialogo ecumenico. All’ordine del giorno il mandato di studiare “primato e sinodalità”, che sono pure allo studio della Commissione teologica internazionale.
Ma è sul terreno del vissuto che gli attriti surriscaldano le parti, fino a deformarle. Eppure, la società è lì, proprio con le sue esigenze vitali, a invocare una collaborazione solidale per il bene comune. I matrimoni misti sono lì ad esigere cura pastorale inclusiva, non divisiva. Le generazioni di mezzo, che hanno conosciuto i recinti brutali e oscurantisti del regime, sono lì con la loro voglia di conoscere, di andare oltre le cortine, oltre le omogeneità imposte. I giovani sono lì, con la loro nostalgia del mare aperto, disposti alla vita di cantiere per costruire navi. Ma non galere.
[1] Il patriarca Kirill non sarà presente. Il patriarca Neofito di Bulgaria non si è ancora pronunciato.
[2] Ha riscosso un certo successo il film Un Pas in Urma Serafimilor (A un passo dai serafini), sulla vita nei collegi.
io sono shia musalmano ma sto cambiare per essere cottolico io non mi piace musalmani Italia non ce lavoro io sono senza lavoro o senza a casa io non mi abiti con musalmani romania una buono paese romania mi piace tanto anche Italia mi piace tanto
Sono d’accordo con il contenuto dell’articolo. Avete fatto bene scrivendo su tutte queste cose affinché il mondo cristiano occidentale sappia! Grazie mille!
Un très grand merci pour l’article sur la Roumanie ” construire les églises et construire l’Eglise”. C’est vraiment très intéressant, clair, précis, bien documenté. On reste quand même très triste après la lecture. On est renvoyé à la prière et à l’espérance.
Di solito il dialogo tra ortodossi e cattolici ha più possibilità di sviluppo nei paesi dove i fedeli ortodossi sono in diaspora. E’ possibile un reportage sull’influenza che le posizioni prese in Romania hanno nelle comunità ortodosse in Italia nel loro rapporto con i cattolici e capire se l’esperienza di accoglienza ricevuta dalla chiesa cattolica ha un’eco in Romania e se può generare una posizione più ecumenica?