Cari amici,
ho letto con interesse l’articolo sull’erigenda cattedrale ortodossa di Bucarest. Vista da qui, in Romania, è davvero un progetto megalomane con cui la Chiesa ortodossa vuole dimostrare la sua forza e importanza, in un implicito confronto con San Pietro a Roma, piuttosto che un simbolo anti-islamico come evocato nel testo.
Riconosco che l’attuale cattedrale è piccola e che il desiderio dei cinque patriarchi che si sono succeduti nel ’900 di costruirne una nuova è legittimo. Del resto, nel suo viaggio in Romania nel 1999, papa Giovanni Paolo II regalò all’allora patriarca Teoctist 100.000 euro per l’impresa. Sono anche convinto che l’ottima scuola d’arte sacra locale saprà abbellirla al meglio.
Rimango perplesso davanti alle misure che mal si accordano alla spinta secolarizzante assai visibile nelle nuove generazioni e davanti a motivi come il fatto di riscattare le tre chiese distrutte in quell’area dal regime comunista. In realtà sono già state ricostruite.
Ma mi preoccupa molto di più la progressiva chiusura ecumenica nei confronti dei cattolici sia latini sia greco-cattolici. L’appello «unitade!, unitade!» che il popolo gridava davanti al papa e al patriarca si è spento da tempo. L’irrigidimento riguarda sia la preghiera comune, sia gli edifici a suo tempo sequestrati dal regime, sia la memoria dei trascorsi comunisti.
Pochi ricordano l’episodio del metropolita Nicolae Corneanu (1923-2014) che il 25 maggio 2008, durante la consacrazione di una chiesa greco-cattolica, chiese al vescovo Mesian di condividere il pane e il calice. Il gesto era la conclusione di uno straordinario percorso spirituale del presule, che non nascose di aver collaborato con la polizia segreta, ma che visse la liberazione del paese come una vera conversione del cuore. Nel luglio dello stesso anno fu sottoposto a giudizio dal Sinodo e censurato per il suo gesto sacrilego. Fu l’occasione per una dura disposizione data a gerarchi, preti e laici di non partecipare a preghiere comuni coi cattolici.
Anche nelle occasioni più solenni, come la visita di mons. Mamberti per il decennale del passaggio di Giovanni Paolo II (2009), non c’è stata preghiera. La si evita anche nella settimana per l’unità cristiana, si rendono difficili i funerali misti, non si canta insieme il Te Deum per le feste nazionali.
Vi era qualche episodio di comunicatio in sacris fra preti e pope: sono scomparsi. C’è una sorta di accanimento dei fondamentalisti ortodossi per evitare che non vi sia alcun momento di preghiera comune. Il loro riferimento è il metropolita di Transilvania, Bartolomeu Anania.
Dal 2004 si è interrotto il lavoro della commissione mista cattolico-ortodossa in ordine ai beni ecclesiastici sequestrati dal regime nel 1948 e passati d’imperio alla Chiesa ortodossa. Per quanto riguarda la Chiesa greco-cattolica, questo ha significato la perdita di 2.588 chiese, 2.200 case parrocchiali, 2.200 fra cimiteri, proprietà boschive e agricole. Attualmente sono in uso alla Chiesa greco-cattolica 111 edifici concordati a suo tempo, 20 per sentenza del tribunale, 81 perché occupati dai fedeli. Nessuno pretende di riaverle in toto, ma nella misura necessaria alle comunità, disponibili a condividerli, quando sia il caso. Sarebbe un buona risposta alle centinaia di chiese che le Chiese d’Occidente mettono a disposizione per gli ortodossi romeni emigrati.
L’ossessiva difesa della proprietà anche per edifici in evidente stato di abbandono nasconde una debolezza della pastorale che gira attorno ai funerali, ai battesimi, a benedizione varie, alle reliquie, ai cimiteri, al suono delle campane, ai pellegrinaggi, ma che non cura la catechesi, l’omiletica, la preparazione ai sacramenti, le iniziative di carità sociali.
C’è una sorta di monopolio del Patriarcato e dei vescovi su candele e altri oggetti di culto, una confessione costa dieci euro e così gli altri sacramenti. Per entrare in seminario ci vogliono dai 5 ai 10 mila euro. Per guidare una parrocchia si chiedono dai 10 ai 30.000 euro. Un “mercato” che può indurre facili sconfinamenti.
Nessuno nega che la Chiesa ortodossa sia largamente maggioritaria, che custodisca grandi valori spirituali e teologici (basta ricordare il grande teologo Dumitru Staniloae), che si faccia carico di un sentimento nazionale. Proprio per questo suo ruolo non dovrebbe avere paura di rivedere il proprio passato. È difficile pensarlo quando una legge impedisce di consultare gli archivi della securitate, la polizia segreta, per quanto riguarda il culto e le Chiese, senza il permesso del Patriarcato. Mettere la museruola agli storici non è un segno di forza né in Romania, né in Polonia. O quando si definiscono frettolosamente false le informazioni sulla collaborazione con i servizi segreti comunisti del vescovo Bartolomeu Anania (75 anni), vescovo di Cluj e metropolita della Transilvania, col titolo di Apostol. Anche la ricordata rimozione del martirio comune di vescovi e preti appesantisce il clima.
Ma la Chiesa vive di un respiro storico lungo e della potenza dello Spirito. I nuovi compiti e le nuove emergenze riguardano l’evangelizzazione delle giovani generazioni, il servizio agli umili e al popolo, la testimonianza personale. Giustizia e pace si baceranno.
P.S. Apprendo ora che l’arcivescovo cattolico di Bucarest, S.E. Ioan Robu (uomo di lunga esperienza e di acuta intelligenza) avrebbe dichiarato qualche tempo fa che sarebbe arrivato a Papa Francesco anche l’invito della Chiesa ortodossa romena. In verità, però, è talmente generica e vaga tale dichiarazione (a fronte invece della chiarezza e durezza del “non implichiamoci” da parte del Sinodo ortodosso romeno) che a mio parere poco cambia nella valutazione generale da me precedentemente espressa. E di certo nulla cambia circa il fatto che se Papa Francesco non andrà ANCHE a Bucarest, il valore della sua visita (nel 2019? la si rimanda di anno in anno…) sarà ridotto di almeno l’80%. Cioè diventerà un (triste) viaggio molto di nicchia e molto etnico-confessionale.
Cari amici
non so di chi sia il commento all’articolo sulla erigenda cattedrale ortodossa di Bucarest e non comprendo perché non ve ne sia la firma. Ho qualche ipotesi sul suo autore, ma non è questo il tema del mio intervento, anche se ritengo doveroso che ogni testo venga firmato (diversamente, si taccia).
Premetto, per ben inquadrare il tono e il merito del mio breve intervento, che sono un sincero amico della Romania in quanto Paese (cui ho dedicato molti lavori e della cui promozione culturale mi occupo tuttora) e della Chiesa ortodossa romena (nel cui ambito ho buoni amici, molto qualificati sul piano istituzionale). E’ importante precisare che il sottoscritto è un sincero amico della Chiesa ortodossa, perché solo su questa base mi sento in diritto e in dovere di dire che, in generale, l’attuale atteggiamento pubblico e istituzionale delle gerarchie e dell’establishment istituzionale della Chiesa ortodossa romena verso la Chiesa cattolica è penoso, per non dire talvolta vergognoso. Tra i numerosi esempi che si possono citare, segnalo la decisione del Sinodo della Chiesa ortodossa di non implicarsi in alcun modo nell’invito ufficiale che lo Stato romeno ha fatto a Papa Francesco per una sua visita in Romania: si è trattato di una decisione consapevolmente e deliberatamente presa dopo relativo dibattito nel Sinodo, e salutata con improvvido (ed emblematico!) plauso dalla rivista ortodossa romena in assoluto più diffusa e letta, ossia il mensile Lumea Credintei Diciamolo apertamente: una vergogna, resa ancora più grave da una sorta di doppiogiochismo che sembra essere in atto, ovvero grande cortesia e apertura in Italia verso la Chiesa cattolica, e grande chiusura in Romania verso la medesima.
Elenco e chiarificazione dei probabili motivi di questo inaccettabile atteggiamento richiederebbero un lungo spazio. Di certo, è ben lungi dall’essere risolta la dolorosa diatriba tra la Chiesa ortodossa e la Chiesa greco-cattolica, vero pomo della discordia (un alto prelato ortodosso mi ha confessato apertamente che con la Chiesa romano-catttolica i rapporti sono ottimi, mentre pessimi sono con quella greco-cattolica – chiedo: siamo sicuri che quest’ultima stia percorrendo la strada giusta con le sue rivendicazioni? serve a qualcosa una inconcludente polemica che si trascina da decenni, tanto comprensibile nella sua origine quanto inutile e controproducente nei suoi effetti?).
Non c’è alcun dubbio: alla Chiesa ortodossa romena vanno chieste una franchezza e una coerenza nei confronti della Chiesa cattolica oggi spesso smentite da dolorose e insensate chiusure. In Romania – duole dirlo, ma è la verità – ecumenismo, dialogo tra i cristiani, sono parole pressoché inesistenti. Peggio: sono in gran parte avversate, soprattutto da una larga parte di vescovi ortodossi e, quasi in toto, dai monasteri.
Chiudo con un simbolo, ma importante. Con tutta la modestia necessaria, mi permetto di dire a Papa Francesco: Santo Padre, vada di cuore in Romania, ma non accetti il ricatto di chi non la vorrebbe invitare a Bucarest. Sappia che andare in Romania e non andare a Bucarest (per limitarsi magari alle zone “cattoliche” di Transilvania e Moldavia) è come non andare in Romania, anzi peggio: è confermare l’idea del recinto, dell’enclave, l’idea confessionalista – così estranea al suo stile, caro Papa Francesco – che a lei interessano solo quei due milioni di romeni cattolici (romano-cattolici e greco-cattolici) e che di tutti gli altri 12-14 milioni di romeni poco gliene importa. A Bucarest i cattolici sono una infima minoranza, ma sul piano dell’immagine collettiva e delle istituzioni “Bucarest è la Romania”. Santo Padre, non si faccia imbrigliare e imbrogliare dall’ambiguità di certa Chiesa ortodossa e vada libero ANCHE per le strade della capitale romena, perché tutti i romeni – cioè quel 90% di ortodossi che in Romania vivono – hanno sincera simpatia e ammirazione per lei.
Ciò detto, intatta rimane la mia ammirazione per i tanti santi di ieri e di oggi che la Chiesa ortodossa romena ha avuto e ha. E proprio per questo, amici miei ortodossi, coraggio… chi è forte non ha bisogno di chiudersi e di escludere. La vita è troppo bella e il mondo – anche in Romania – è troppo stanco perché le chiese si perdano in queste ostilità e chiusure grette e retrograde. Coraggio fratelli, haideti fratilor!