Attorno al riconoscimento dell’autocefalia della piccola Chiesa della Macedonia del Nord (ex repubblica Jugoslava, indipendente dal 1991), che ha ottenuto la piena autonomia ecclesiale sia da Belgrado sia (parzialmente) da Costantinopoli (cf. qui), si riaccende la disputa intra-ortodossa e, in particolare, lo scontro fra slavi ed ellenici.
Il milione e mezzo di credenti della Chiesa balcanica ha già avuto il pieno riconoscimento di autocefalia dalla Serbia (superando uno scisma che datava dal 1967), dalla Polonia, dall’Ucraina (Chiesa filo-russa) e dalla Bulgaria. Ora ha ottenuto il “via libera” dal patriarcato di Romania (9 febbraio 2023).
La formulazione con cui il riconoscimento è stato espresso ignora il ruolo di Costantinopoli che si attribuisce la parola decisiva in merito. Il Fanar ha subito denunciato l’abbandono della posizione neutrale di Bucarest nella tensione Mosca-Costantinopoli e il suo allontanamento dalla tradizione canonica, «ignorando il fatto che il diritto di concedere l’autocefalia nella Chiesa ortodossa spetta al patriarcato ecumenico».
Il vistoso appoggio rumeno alla pretesa serba di essere l’unica Chiesa madre rispetto alla Macedonia suona come un consenso all’analoga posizione della Chiesa di Mosca che non sopporta le pretese della “primazia” costantinopolitana. Senza ignorare che, nell’attuale condizione di guerra fra Russia e Ucraina, l’appoggio a Mosca del patriarca Daniele di Bucarest irrita il mondo politico rumeno schierato con l’Occidente.
Bucarest si corregge
Quattro giorni dopo, il 13 febbraio, la Chiesa ortodossa rumena aggiusta il tiro e, in una dichiarazione ufficiale, afferma: «Dopo aver riconosciuto il tomo sinodale iniziale rilasciato il 5 giugno 2022 dal patriarcato di Serbia che concede l’autocefalia alla Chiesa ortodossa della Repubblica della Macedonia del Nord, il santo sinodo della Chiesa ortodossa rumena attende l’avvio delle consultazioni del patriarcato ecumenico per emettere un tomo finale di autocefalia ed esprimere il consenso pan-ortodosso su questo argomento».
La Chiesa ortodossa rumena, presieduta dal patriarca Daniele, rappresenta oltre l’80% dei circa venti milioni di abitanti del paese ed è la seconda Chiesa maggiore dopo quella russa. Ha reagito con sospetto alla decisione di Costantinopoli di riconoscere l’autocefalia alla Chiesa ucraina (di Epifanio), ma ha un contenzioso di decenni con la Chiesa russa per le comunità sotto la sua obbedienza in Moldavia che Mosca ritiene appartenere al proprio “gregge”. Dopo l’invasione russa in Ucraina, si è schierata contro Putin e il patriarca Cirillo che lo sostiene.
Verso la Chiesa della Macedonia vi è un riconoscimento non ancora pieno da parte di Costantinopoli, della Chiesa greca, della Chiesa di Gerusalemme e d’America. Non ci sono ancora decisioni in merito dalla Chiesa di Alessandria, di Georgia, di Cipro e di Albania. La Chiesa ortodossa delle terre ceche e slovacche ha invece riconosciuto la sua autocefalia appoggiandosi all’autorità di Belgrado e di Costantinopoli il 7 febbraio 2023.
Autocefalia: un campo minato
Il tema dell’autocefalia si intreccia con la disputa al calor bianco fra Mosca e Costantinopoli sul ruolo primaziale di quest’ultima e sulla pretesa di “Chiesa universale” della prima.
La guerra russo-ucraina in corso ha alzato la febbre autocefala in tutte le Chiese dell’ex Unione Sovietica.
In Lettonia il parlamento proclama l’autocefalia della Chiesa ortodossa locale (7 settembre 2022).
In Lituania il governo favorisce la spaccatura interna alla Chiesa ortodossa e chiede che i dissidenti siano riconosciuti da Costantinopoli.
Il 17 febbraio il patriarca di Costantinopoli ha dichiarato ingiustificate le censure a un gruppo di pope ortodossi lituani che si erano schierati contro la guerra russa-ucraina (disobbedendo al metropolita Innocenzo, filo-russo) e li ha accolti sotto la sua responsabilità canonica.
In Estonia il ministro dell’interno convoca per due volte in pochi mesi il metropolita Eugenio, a capo della locale Chiesa ortodossa di obbedienza russa, minacciandolo di espulsione se non prende costante distanza dal patriarca Cirillo e dall’azione bellica russa contro l’Ucraina.
La guerra sta lacerando le Chiese ortodosse dell’ex Unione Sovietica e, cumulandosi con la tensione ecclesiale, trasforma la domanda di autocefalia in un campo minato.