Il papa andrà in Russia? Perché nel paese si sta diffondendo la paura di una guerra da parte dell’Occidente? Perché la Chiesa ortodossa si sta spendendo molto sui temi etici? Perché l’Europa sta perdendo ruolo e fascino? Ne ho parlato con alcuni interlocutori ed ecco quanto ho potuto raccogliere.
La visita
In occasione dei 70 anni del patriarca Cirillo (20 novembre) e degli 80 di papa Francesco (17 dicembre) vi sono state molte visite reciproche: i cardinali G. Bertello e K. Koch, il nunzio a Mosca, mons. C. Migliore e, in Vaticano, il metropolita Hilarion Alfeyev. Reciproci scambi di doni e di preziose reliquie (san Serafino di Sarov e san Francesco d’Assisi). L’agenzia Nova dà per certo che il dialogo fra il ministro degli affari esteri di Mosca, S. Lavrov e il card. segretario di stato, P. Parolin (2 dicembre), abbia avuto come tema la possibile visita di Francesco in Russia. A una domanda dei giornalisti il metropolita Alfeyev ha risposto che il viaggio non è in agenda, ma ce se avverrà, sarà un sorpresa come è successo per l’incontro ad Avana in Cuba, il 12 febbraio scorso. I media russi non parlano molto del papa, ma se lo fanno è con rispetto e soprattutto per sottolineare la comunanza di vedute (persino forzata) in linea con il conservatorismo interno e con la posizione della Russia nella crisi siriana e ucraina. Alcuni vescovi e sacerdoti diocesani lo ammirano e un po’ «invidiano» i cattolici. Ma la maggioranza del popolo ortodosso è ancora diffidente o ostile, in ragione delle riserve accumulate per secoli. Il patriarca parla con convinzione dell’incontro avuto a Cuba, anche se sconta il dissenso di molti monaci e di alcuni vescovi. Ne parla con sincerità di sentimento e quasi ansioso di poterlo manifestare con una libertà che il suo Sinodo non gli consente ancora. Più sfuggente e ambivalente il metropolita Alfeyev, che uno dei suoi maggiori collaboratori.
La guerra
È difficile percepire sulle nostre sponde l’allarme per una imminente guerra dell’Occidente che si è sparso nel paese. Ci sarebbero 50.000 soldati Nato pronti ai confini per l’intervento. «La televisione prepara la popolazione alla guerra di fronte agli americani che sono pronti a dichiararla», ha detto il politologo S. Markov. La gente semplice chiede a vescovi e preti se davvero il pericolo è così imminente come i media sottolineano. A fine settembre il ministero per le situazioni di emergenza ha fatto sapere che tutti i rifugi atomici di Mosca erano stati ispezionati e trovati in condizioni funzionanti. A ottobre il presidente Putin ha sospeso il trattato con gli USA sulle armi al plutonio. Una massiccia mobilitazione per la difesa civile ha interessato 40 milioni di cittadini. È stata annunciata l’intenzione di ricostruire basi militari a Cuba e in Vietnam (che ha subito declinato l’offerta).
Sembra trattarsi di movimenti d’opinione provocati ad arte per rafforzare la retorica del ritorno della grande Russia, superpotenza militare e nucleo di un grande impero. Le manovre della Nato sono di entità assai minore, sollecitate soprattutto dalla paura di polacchi, bielorussi ed estoni, impauriti dall’occupazione militare della Crimea e dalla guerra nelle regioni del Donbass in Ucraina. Il Patto di Varsavia non esiste più. L’economia è troppo debole e gli oligarchi che reggono il mercato e l’attuale politica russa non sono disposti a perdere gli affari, il mercato immobiliare e le banche. E neppure le scuole occidentali per i propri figli.
In assenza di una vera ideologia unificante in Russia il collante della società è diventato quello che molti osservatori chiamano «ultraconservatorismo», cioè il ritorno a simboli e tradizioni del passato zarista e sovietico, con il corollario del militarismo e del riferimento alla religione dell’Ortodossia, a fronte della decadenza culturale, civile e religiosa dell’Occidente. Un impasto filtrato dai mezzi di comunicazione, alimentato dai nuovi libri di testo nelle scuole e interpretato con la riscrittura della storia del paese. In linea con il detto popolare «Il futuro è incerto, ma il passato è imprevedibile». L’erezione di monumenti e di chiese (30.000 negli ultimi 25 anni; 5000 a partire dal 2010) è una conseguenza. È in corso la redazione di una nuova legge sul concetto di nazione russa e dilaga il sentimento anti-occidentale e slavofilo.
La Chiesa
Una situazione che alimenta il ruolo di religione civile dell’Ortodossia a cui la dirigenza politica mostra un grande ossequio e che la Chiesa paga con un sostanziale assenso. La tradizione della «sinfonia» fra Chiesa e potere è l’imperativo condiviso. Sia Cirillo che Alfeyev cavalcano il messianismo russo: siamo i salvatori della società umana e della civiltà cristiana che si stanno sfaldando sulle sponde occidentali, là dove le Chiese (protestanti e anglicane e, in parte, cattoliche) hanno abdicato al loro ruolo. Militarismo e nazionalismo – il dato è comune anche alle Chiese cattoliche dei paesi dell’Est – diventano patriottismo acritico. Alle attenzioni sociali (poveri, immigrati, senza lavoro) si sostituiscono le emergenze di morale sessuale e familiare. Fra gli ortodossi russi sta crescendo un vociante fronte «pro-life», sostenuto dal nuovo Ombusdswoman del bambino, Anna Kuznetsova e da un deputato della Duma, Elena Mizulina. È in corso la raccolta di firme per introdurre nella Duma la proposta di una graduale messa al bando dell’aborto. La prima fase della strategia prevede la cancellazione dell’aborto dalle prestazioni mediche gratuite.
L’iniziativa ha raccolto il favore del patriarca Cirillo che l’ha solennemente firmata, anche se il suo portavoce ha precisato che si trattata di iniziativa privata, non come capo della Chiesa ortodossa. Cirillo ha dato disposizioni ai vescovi perché creino consultori familiari per accompagnare le donne che desistono dall’intenzione di abortire e ha chiesto ai governatori misure legislative per privilegiare la consulenza della Chiese su quella dei centri sanitari statali. Al fine di creare una cultura della vita che possa illuminare le coscienze prima di una decisione così importante. Difficile immaginare a Mosca la manifestazione massiccia delle donne polacche a Varsavia che ha archiviato una proposta di legge restrittiva (4 ottobre) o una legge, come quella approvata dal senato francese (8 dicembre), che punisce i siti «pro-life» quando condizionassero erroneamente la scelta anti-abortiva delle donne.
Meno in evidenza l’anima monastica russa. I capisaldi della spiritualità ortodossa sono infatti al liturgia e la direzione spirituale. Dei vecchi starez (padri spirituali) ne sopravvivono pochi e malconci. I nuovi, sorti nell’abbondanza delle vocazioni monastiche spesso dettate da motivi contingenti non adeguatamente verificati – qualche hanno fa il sinodo si è espresso negativamente sugli starez improvvisati – non sembrano particolarmente apprezzati. Qua e là si distinguono alcuni capaci di cantare fuori del coro, ma il clima è di controllo, come ha mostrato la riunione di tutti i superiori dei monasteri svoltasi a Mosca il 22 settembre 2016.
L’Europa
La distanza dall’Europa è duplice: da un lato per la sua inconsistenza politica e di influsso internazionale, dall’altro per il sistema di valori che propone. Né in Siria, né in Ucraina, né sullo scacchiere internazionale l’Unione Europea ha condizionato le politiche delle superpotenze (Cina-Usa) o delle potenze regionali. Accompagna la continuità degli affari con la censura rispetto a valori sempre più schiacciati sul narcisismo individualista.
Dopo l’elezione di Trump, ampiamente apprezzata in Russia, si parla di uno scambio sottobanco: la Russia si rende flessibile sul potere di Assad in Siria e gli USA chiudono un occhio sull’Ucraina, che, fra il resto, è essenziale alla memoria e al presente della Chiesa. Lì c’è la percentuale maggiore dei praticanti, la sede storica (Kiev) dell’ortodossia russa, un numero consistente di vocazioni e il pericolo dello scisma interno. Già 40 parrocchie sono passate dalla Chiesa filo-russa a quella nazionalista e ai greco-cattolici. La distanza più esibita rispetto all’Europa è quella dei valori morali. Sulla famiglia, sul diritto alla vita, sulle unioni omosessuali la carta di riferimento è la Dichiarazione dell’Avana (12 febbraio) in cui si mette in guardia da una integrazione continentale «che non sarebbe rispettosa delle identità religiose… Siamo convinti che l’Europa debba restare fedele alle sue radici cristiane» (n. 16).
I tratti autoritari del potere russo sono evidenti. A differenza del passato non si esercitano più con le purghe e gli omicidi, ma non un controllo capillare. Da qualche mese hanno ripreso il sopravvento gli uomini dell’antica polizia segreta (KGB), grazie a una efficiente interazione coi media elettronici. Si governa mantenendo tutti e tutto sotto il controllo. Tutto questo ha un risvolto militare perché, come è successo per l’Estonia nel 2014, la guerra cibernetica è già nei programmi e nei fatti.
C’è anche un risvolto nei rapporti internazionali. Dopo la rivelazione della CIA, il servizio segreto americano, circa l’attività degli hacker «russi» per «favorire un candidato rispetto all’altro, per aiutare Trump ad essere eletto», il presidente Obama ha chiesto chiarezza sull’intero processo elettorale. Indebolire le istituzioni americane e infragilire il consenso all’Unione Europea sembra l’imperativo perseguito. Interferenze si sono registrate in occasione del referendum costituzionale in Italia, ma si temono in particolare sulle prossime elezioni in Germania e in Francia. La retorica populista delle sponte occidentali, un conglomerato di risentimento, localismo ed etnocentrismo, è l’alleato più utile per chi copre la propria debolezza favorendo quella altrui.