«Il luogo della risurrezione del Signore Gesù alla base della nostra fede e della nostra speranza», come si esprimeva a Rodi ai primi di marzo il custode di Terra Santa, il trentino Francesco Patton ofm, dal 22 marzo torna ad essere un luogo di preghiera, dopo quasi un anno di lavori di restauro.
Da circa settanta anni una struttura metallica, posta dai britannici all’epoca del Protettorato, sorreggeva l’intera edicola che, altrimenti, sarebbe crollata per problemi strutturali. Negli ultimi anni, inoltre, la struttura si era ancora più deteriorata, a causa del numero dei fedeli, del fumo delle candele, l’usura del materiale, la risalita di umidità e altri problemi.
All’interno delle tre comunità proprietarie del santuario – cattolica, ortodossa e armena – si parlava ormai da anni della necessità di intervenire con lavori di restauro.
Tra la fine del 2014 e l’inizio del 2015 il dialogo fra le tre comunità, e nello specifico tra sua beatitudine Teophilos, l’allora custode fra Pizzaballa e sua beatitudine Nourhan, ha permesso di dare concretezza alla proposta di intervenire sull’Edicola con lavori di restauro.
Dopo un accordo verbale nel gennaio dello scorso anno che affidava la direzione dei lavori al Politecnico di Atene – committente il Patriarcato greco ortodosso, la Custodia di Terra Santa e il Patriarcato armeno – il 22 marzo 2016 veniva apposta la firma ufficiale per l’avvio dei lavori nel quale veniva anche istituito un comitato scientifico di supervisione composto da membri delle tre comunità e dallo staff del Politecnico di Atene guidato dalla prof.ssa Antonia Moropoulou. Per conto della Custodia è stata messa a disposizione la competenza dell’architetto Osama Hamdan per quel che riguarda i lavori di restauro, e la competenza del francescano e docente al Biblicum Eugenio Alliata per quel che riguarda la parte archeologica e storica.
Rispettando perfettamente i tempi stabiliti, il team del Politecnico di Atene, supportato dal comitato scientifico composto dagli esperti delle altre due comunità, ha potuto lavorare e portare a compimento i lavori, in modo tale da poter permettere la completa riapertura dell’Edicola prima della Pasqua di quest’anno, che per una felice e provvidenziale coincidenza vede le tre comunità celebrare la risurrezione di nostro Signore Gesù Cristo nella stessa data.
La soddisfazione del custode non si ferma ai, pur egregi, lavori materiali: secondo Patton è importante anche sottolineare il “valore aggiunto” di questi lavori in quanto si trattava di intervenire sul luogo in assoluto più importante per tutta la cristianità, il luogo chiave per interpretare la nostra vita e la nostra storia. «Il luogo fisico che conserva la memoria della sepoltura del nostro Signore Gesù Cristo ci testimonia che l’incarnazione del Figlio di Dio è talmente reale, talmente completa, talmente piena, da arrivare fino all’esperienza della morte, che è l’esperienza finale di ogni esistenza umana. Ma il santo Sepolcro è soprattutto il luogo fisico dove la carne del nostro Salvatore non ha visto la corruzione e la morte è stata vinta. Il sepolcro vuoto è il testimone silenzioso ed eloquente di questo evento. Il sepolcro vuoto è il luogo dove anche fisicamente è iniziata una nuova creazione, un mondo nuovo nell’istante di luce in cui Gesù è risorto».
E in più l’attività realizzata in quest’ultimo anno assume anche una valenza ecumenica di grande importanza: l’aver potuto intervenire sull’Edicola grazie alla collaborazione delle tre comunità ha un valore simbolico straordinario e aggiuntivo perché, a suo avviso, è il segno di un importante lavoro di consolidamento, restauro e riabilitazione che riguarda le relazioni tra le persone e le tre comunità.
Un po’ come dire che, grazie al lavoro di consolidamento, restauro e riabilitazione dell’Edicola del Santo Sepolcro si siano consolidate ancora di più le relazioni fraterne quasi con la restaurazione anche di un senso di profonda fiducia reciproca e collaborazione. «Attorno al suo Santo Sepolcro ci ha fatto ritrovare più vicini, più pronti a cooperare, più disponibili gli uni verso gli altri, come fratelli».
Una lunga storia di fede
Dal racconto evangelico della decisione di Giuseppe di Arimatea di offrire un luogo per la sepoltura di Gesù deposto dalla croce (Lc 23,50-56) le notizie sul luogo sono incerte fino all’epoca dell’imperatore Costantino che nel 324 vi fece costruire attorno una prima basilica. L’edificio lungo i secoli ha resistito a diversi attacchi di natura dolosa: i peggiori furono quello dei persiani nel 614 e il saccheggio musulmano del 1009. In quello stesso anno i crociati erano intervenuti con un notevole restauro sull’intera basilica (nel pavimento è ancora ben distinguibile il volto romanico), collocando anche la lastra di marmo che ancora oggi copre il luogo della sepoltura.
Nel 1555 un’imponente opera di restauro era stata portata avanti dai francescani per volontà dell’allora custode di Terra Santa, Bonifacio da Ragusa. In quell’occasione il banco di roccia su cui era stato deposto il corpo di Gesù era stato scoperto per la prima volta e l’avvenimento è descritto in una lettera dal custode stesso: «Si offrì ai nostri occhi il sepolcro del Signore in modo chiaro scavato nella roccia: in esso si vedevano raffigurati due angeli di cui uno con una iscrizione che diceva: “È risorto non è qui”, mentre l’altro indicando il sepolcro proclamava: “Ecco il luogo dove era stato deposto”. Le figure di questi due angeli, non appena vennero a contatto con l’aria, scomparvero quasi completamente. Quando, per necessità, si dovette rimuovere una delle lastre di alabastro che coprivano il sepolcro, posta là da santa Elena perché vi si potesse celebrare il santo sacrificio della messa, ci apparve quel luogo ineffabile nel quale riposò per tre giorni il Figlio dell’Uomo; ut plane coelos apertos videre tunc nobis, et illis, qui nobiscum aderant omnibus videremur. Il luogo che era stato bagnato dal sangue prezioso e da quella mistura di unguento, con cui fu unto per la sepoltura e che mandava ovunque bagliori di luce come fossero raggi luminosi del sole, fu da noi scoperto, venerato con letizia spirituale e con lacrime assieme agli altri che erano presenti. Al centro del santo luogo trovammo un pezzo di legno, che era stato ivi disposto e avvolto in un panno prezioso: non appena lo prendemmo in mano con molta devozione e lo baciammo, al contatto dell’aria, il panno si consumò completamente lasciando soltanto alcuni fili d’oro. Aggiunte a quel prezioso legno vi erano alcune iscrizioni, ma talmente consumate dal tempo, che non se ne ricavava nessuna frase completa, ancorché in principio ad una pergamena si poté leggere in lettere latine maiuscole Helena Magni…».
La medesima commozione si è ripetuta nell’ottobre scorso quando, a seguito degli ultimi lavori, si era resa necessaria l’apertura del letto funebre con il sollevamento della lastra (fatto accaduto solo parzialmente una seconda volta nella storia nel 1809): la “tomba del Cristo vivente”. «Abbiamo potuto vedere con il cuore e con la mente un sepolcro pieno di espressività … È qualcosa che abbiamo potuto sentire – ha confessato la direttrice dei lavori Antonia Mariopoulou – lo abbiamo sentito molto bene quando abbiamo aperto il sepolcro. Noi, professionisti coinvolti… tutti lo hanno sentito».
Per i frati minori il sepolcro assume anche un significato affettivo legato alla storia della presenza francescana a custodia dei luoghi santi. Lo stesso san Francesco in una delle sue Lettere ricorda la venerazione per il sepolcro dovuta al fatto che lì il corpo del Signore Gesù giacque per qualche tempo. I primi frati arrivarono in Terra Santa nel 1217 e nel breve periodo in cui furono espulsi, dopo la caduta del Regno Latino, tra il 1291 e il 1233, facevano avanti e indietro via nave da Cipro pur di poter pregare in questo luogo. Fra Patton ama ricordare uno dei fondatori dello Studium biblicum franciscanum di Gerusalemme, p. Virgilio Corbo (1918-1991), che negli anni ‘60 aveva condotto e documentato ricerche archeologiche significative nell’area del Santo Sepolcro, un lavoro che ha facilitato anche gli studi preliminari all’attuale lavoro di restauro. «La Custodia dei luoghi santi ha uno straordinario valore affettivo».
La preghiera ecumenica del 22 marzo
Rimossi i ponteggi e conclusi gli ultimi lavori di ripulitura, il Santo Sepolcro torna ora luogo sacro di preghiera e adorazione del mistero che ha dato origine alla nostra fede: il corpo lì sepolto non c’è più a testimonianza di colui che ha vinto la morte.
E quel luogo santo diventa fisicamente in grado di compiere il miracolo dell’unità tra le confessioni cristiane presenti in quella terra. Mercoledì 22 marzo, alle 10 del mattino, le tre comunità di cristiani in Terra Santa, riunite in preghiera, ringrazieranno insieme il Signore per il dono e i risultati dei dieci mesi di lavori.
Presenti i leader delle Chiese firmatarie dell’accordo che ha consentito l’avvio dei lavori – s.b. Theophilos III, patriarca greco-ortodosso, fra Francesco Patton, custode di Terra Santa, s.b. Nourhan Manougian, patriarca armeno apostolico – e insieme a loro anche mons. Pierbattista Pizzaballa, oggi amministratore apostolico del Patriarcato di Gerusalemme dei latini, che firmò l’accordo come allora custode.
Alla preghiera ecumenica parteciperanno anche tutti gli ausiliari patriarcali delle Chiese del Santo Sepolcro, copti, siriaci ed etiopi oltre ai rappresentanti delle altre confessioni cristiane di Terra Santa, il patriarca di Costantinopoli, Bartolomeo I (a Gerusalemme nel 2014 durante il pellegrinaggio di papa Francesco) e un rappresentante della Santa Sede che sabato ha annunciato una cospicua donazione del pontefice di 1 milione di dollari destinata ai futuri lavori di restauro (per eliminare le sacche d’acqua stagnate ad ogni evento pluviale) del Santo Sepolcro e della Basilica della Natività a Betlemme.
Un’altra celebrazione, questa volta una messa di ringraziamento, era stata celebrata il 14 marzo nella Chiesa di Santa Caterina a Betlemme per ricordare l’anniversario dell’elezione di papa Francesco. La messa, celebrata in arabo, è stata presieduta da Giuseppe Lazzarotto, nunzio apostolico in Israele e Cipro e delegato apostolico in Gerusalemme e Palestina, concelebranti il custode di Terra Santa fra Francesco Patton e l’amministratore apostolico del Patriarcato latino Pierbattista Pizzaballa.
«Siamo qui per l’anniversario dell’elezione di papa Francesco. Noi preghiamo per lui e allo stesso tempo lo vogliamo onorare, perché nei comandamenti è scritto di onorare il padre e la madre e lui è il nostro padre spirituale» ha detto all’omelia George Wadih Bacouni, vescovo melchita della Galilea e presidente della AOCTS (Assemblea degli ordinari cattolici di Terra Santa). «Noi crediamo che sia stato scelto dallo Spirito Santo e sia stato mandato a noi per questo tempo difficile. E la sua vita è come quella dei profeti che si leggono nella Bibbia: egli non solo pronuncia bei discorsi, ma vive quello di cui parla».
Ed è nello spirito evangelico di Bergoglio che i frati minori si adoperano per i luoghi santi, ma contemporaneamente per far fronte a tutte le esigenze della popolazione: è forte l’impegno sociale della Custodia, come ad esempio le scuole e le case che vengono messe a disposizione dei cristiani locali per facilitare la loro permanenza in questa terra. Perché, come ricordava Patton all’indomani della sua designazione, «si custodiscono soprattutto le persone».