Sulla 15ª sessione della Commissione mista internazionale per il dialogo fra Chiesa cattolica e Chiesa ortodossa (Alessandria d’Egitto, 1°-7 giugno) ha scritto su queste pagine mons. Piero Coda (qui).
Qui si offre qualche nota informativa sul lato in ombra, sul non detto, cioè il peso della frattura scismatica fra Chiese ortodosse slave (Russia, Serbia) e Chiese elleniche.
Il tema era relativo alla sinodalità e al primato nel secondo millennio (il primo millennio è stato affrontato a Chieti nel 2016).
Se vi è un relativo consenso ortodosso circa il rifiuto del primato papale e la sua giurisdizione, le scontro durissimo interno all’Ortodossia riguarda la comprensione della primazia di Costantinopoli (primus) dentro la propria tradizione e l’attualità.
Paradossalmente, mentre si avvicinano le sponde sulla comprensione e sull’esercizio del primato di Roma, si allargano quelle dell’interpretazione della primazia (primus) di Costantinopoli. Non è casuale che un esponente ortodosso ad Alessandria confidasse a uno cattolico la maggior facilità di dialogo in quella sede piuttosto che fra Chiesa ortodosse.
Né piramide, né federazione
Nella conclusione del documento di Alessandria si scrive: «La Chiesa non è correttamente intesa come una piramide governata dall’alto, ma nemmeno come una federazione di Chiese autosufficienti. Il nostro studio storico della sinodalità e del primato nel secondo millennio mostra l’inadeguatezza di entrambe queste visioni. Allo stesso modo, è chiaro che, per i cattolici romani, la sinodalità non è solo consultiva come, per gli ortodossi, il primato non è solo onorifico…
(Nella Chiesa cattolica) c’è anche la volontà di distinguere quello che potrebbe essere definito il ministero patriarcale del papa all’interno della Chiesa occidentale o latina dal suo servizio di primato nei confronti della comunione di tutte le Chiese».
Mosca: le colpe di Costantinopoli
La Chiesa russa, non rappresentata ad Alessandria, ha interrotto da un decennio l’impegno per il dialogo teologico con la Chiesa cattolica, coltivando solo quello che Cirillo di Mosca indica come “strategico”, cioè di tipo storico-civile e umanistico. Le ripetute e recenti visite a Roma del metropolita Antonio, responsabile del dipartimento patriarcale per le relazioni estere, anche in un contesto di guerra, ne rappresenta l’esempio.
Contemporaneamente alla riunione della Commissione mista, è uscito a Mosca un libro sugli atti del convegno teologico organizzato dalla Chiesa russa nel settembre del 2021 col titolo: Ortodossia mondiale: primato e cattolicità alla luce della fede ortodossa.
Il testo si apre con un intervento del patriarca Cirillo che denuncia i gravi disaccordi fra le Chiese ortodosse su «come intendiamo la struttura dell’ortodossia ecumenica (universale), cosa intendiamo per primazia e cattolicità, come correliamo la struttura canonica della Chiesa con le azioni di governo». Accusa la Chiesa di Costantinopoli di aver bloccato il consenso raggiunto sull’autocefalia durante la preparazione del Grande sinodo di Creta (2016) permettendo a Bartolomeo la concessione del tomo sull’autocefalia alla Chiesa “scismatica” di Epifanio in Ucraina (2019), senza il consenso delle altre Chiese. Costantinopoli avrebbe applicato i poteri sui metropoliti del suo patriarcato a tutte le Chiese ortodosse, violando i canoni della tradizione. Arrivando a definirsi non solo primus inter pares, ma primus sine paribus (primo fra pari, primo senza pari).
Nel 2013 il sinodo della Chiesa russa rifiutava la posizione ecumenica raggiunta a Ravenna nel 2007, sottolineando che la primazia pretesa da Costantinopoli «entra in una contraddizione insopportabile con la secolare tradizione canonica su cui si basa l’esistenza della Chiesa ortodossa russa e delle altre Chiese».
Il primato d’onore – sottolinea Cirillo – che la tradizione riserva a Costantinopoli «non può essere sostituito dalla primazia del potere». «Una violazione particolarmente pericolosa e grave del sistema canonico è stata l’invasione di Costantinopoli in Ucraina, nel territorio canonico di un’altra Chiesa ortodossa locale».
“Primus” d’onore non di potere
Nel Documento di Ravenna (2007) approvato dalla Commissione di dialogo cattolica e ortodossa si concludeva con questi due punti: «1. Il primato, a tutti i livelli, è una pratica fermamente fondata nella tradizione canonica della Chiesa. 2. Mentre il fatto del primato a livello universale è accettato dall’Oriente e dall’Occidente, esistono delle differenze nel comprendere sia il modo secondo il quale esso dovrebbe essere esercitato, sia i suoi fondamenti scritturali e teologici».
Estendendo la teologia dell’assemblea eucaristica alla struttura della Chiesa, si afferma: come il vescovo presiede la celebrazione con i suoi presbiteri e fedeli, come il metropolita presiede rispetto ai vescovi della sua provincia e come i cinque patriarchi delle metropolie storiche presiedono i metropoliti, così il vescovo di Roma è protos-primus tra i patriarchi. «Tale distinzione di livelli non diminuisce né l’eguaglianza sacramentale di ogni vescovo né la cattolicità di ciascuna Chiesa locale». «Resta da studiare in modo più approfondito la questione del ruolo del vescovo di Roma nella comunione di tutte le Chiese».
Nel 2013 il già citato documento del sinodo della Chiesa russa argomenta il rifiuto delle posizioni ecumeniche raggiunte ricordando che, mentre il potere del vescovo è sacramentale, quello della Chiesa autocefala è di tipo elettivo. A livello universale, in base ai canoni e ai dittici della tradizione, esso è solo di tipo onorifico. Trasferire le funzioni sacramentali del vescovo a livello universale significa una sorta di vescovo universale con un potere magisteriale e amministrativo su tutte le Chiese ortodosse. Una giurisdizione di cui non si parla mai nei sacri canoni.
«La Chiesa ortodossa non accetta la dottrina della Chiesa romana sul primato papale e sull’origine divina del potere del primo vescovo della Chiesa universale. I teologi ortodossi hanno sempre insistito sul fatto che la Chiesa di Roma è una delle Chiese locali autocefale e non ha il diritto di estendere la propria giurisdizione al territorio di altre Chiese locali».
La polemica è solo apparentemente contro Roma, in realtà è contro Costantinopoli. Si dice infatti: «Nella Chiesa ortodossa non c’è e non c’è mai stato un centro amministrativo unico a livello universale». «Nell’esercizio della primazia, il primate della Chiesa di Costantinopoli può proporre all’Ortodossia iniziative su scala generale e parlare al mondo a nome di tutta la Chiesa ortodossa, purché sia stato autorizzato a farlo da tutte le Chiese ortodosse locali».
Le tentazioni mondane di Mosca
La risposta di Costantinopoli è stata affidata al teologo Elpidoro Lambriniadis. Esso rileva che sottrarre l’ecclesiologia alla cristologia, affidare cioè la struttura ecclesiale a sé stessa senza un legame col il mistero eucaristico, significa trasformarla in una amministrazione. Se non c’è una continuità nella presidenza del primus, la Chiesa «sarebbe separata dalla teologia e si ridurrebbe ad un’arida amministrazione di tipo civile, mentre, dall’altro lato, una teologia senza corrispondenza nella vita e nella struttura della Chiesa diventerebbe una sterile preoccupazione accademica».
Inoltre, la presidenza, il primus, nella Chiesa è sempre espresso in una specifica persona. Presiedere non è un ruolo intercambiabile, un ruolo che si dà al di fuori della persona che lo esercita, una sorta di istituzione impersonale. Senza il primus, un sinodo è incompleto. I dittici e i canoni riflettono una pratica e non sono il fondamento. Costantinopoli non è soltanto una diocesi, ma anche un patriarcato e un patriarcato ecumenico cioè universale. «Questa triplice primazia si traduce in privilegi specifici, come il diritto di ricorso e il diritto di concedere o rimuovere l’autocefalia».
Non accettare la dimensione teologica ed ecclesiologica del primus significa ridurre la Chiesa universale a una confederazione sociologica di Chiese, introdurre un principio mondano, come avviene per la pretesa moscovita.
«Negli ultimi tempi si osserva l’applicazione di una novella primazia, cioè un primato di numeri, per cui coloro che oggi criticano il primato universale canonico della Chiesa madre (Costantinopoli) dogmatizzano un ordine che non è testimoniato nella tradizione della Chiesa, ma piuttosto basato sul principio “ubi russicus ibi ecclesia russica”, vale a dire che ovunque ci sia un russo, anche lì si estende la giurisdizione della Chiesa russa». Per evitare questa deriva mondana, è necessario un “primo senza eguali”, un primus sine paribus.
La guerra divide le Chiese
La complessità dell’intreccio fra questioni teologiche, storiche e politiche, soprattutto in questo momento di guerra, è visibile nelle scelte di una Chiesa molto vicina a Mosca, cioè la Chiesa serba. Essa è sempre stata presente ai lavori della Commissione di dialogo fra cattolici e ortodossi, ma ad Alessandria non si è presentata. Le ragioni sono solo parzialmente ecclesiologiche (non riconosce l’autocefalia della Chiesa ucraina di Epifanio), perché ha mantenuto la comunione eucaristica con Costantinopoli, nonostante la scelta diversa di Mosca. E non per sottrarsi al cammino ecumenico.
Negli stessi giorni dell’assemblea ad Alessandria, il patriarca di Serbia, Porfirio, era a Vienna e, in un importante discorso alla fondazione ecumenica Pro Oriente, il 9 giugno diceva: «Com’è noto, la Chiesa ortodossa serba partecipa al dialogo ecumenico, praticamente fin dall’inizio… e non ha mai rinunciato a sostenere il dialogo». E tuttavia le tentazioni della divisione «hanno raggiunto negli ultimi tempi un culmine sia ecclesiale che politico nei drammatici conflitti della guerra in Ucraina. Si può effettivamente dire che la guerra in Ucraina ha aperto una ferita profonda nel corpo della Chiesa ortodossa».
Se è vero che è un imperativo evangelico impegnarsi affinché tutti siano in comunione, è anche vero che da tempo ormai il dialogo tra cattolici e ortodossi e tra gli stessi ortodossi al loro interni è in stallo. I ciclici annunci della “ripresa” dei dialoghi lo conferma, si riprende sempre qualcosa che in realtà non avanza mai. L’impressione è che si procede con fiumi di parole, di convegni e di pubblicazioni che non hanno però nulla o poca risonanza nella vita concreta e nella sensibilità dei fedeli delle diverse confessioni cristiane. Da persone di fede è giusto e opprtuno proseguire per quanto possibile nel dialogo, senza però farsi troppe illusioni a fronte di differenze e divisioni che si stanno rivelando molto più complesse e profonde di quanto in genere si pensa