Alla conclusione della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, abbiamo rivolto alcune domande a don Cristiano Bettega, direttore dell’Ufficio nazionale della Conferenza episcopale italiana per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso.
– Dalla misericordia – a tema nell’edizione 2016 – alla riconciliazione (“L’amore di Cristo ci spinge verso la riconciliazione”, tema di quest’anno). Quali sono gli elementi di continuità che segnano l’avanzamento di un cammino?
Penso che un indiscutibile elemento di continuità sia dato dal fatto che anche quest’anno si propone e si vive una Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Certo, il fatto che questa Settimana sia entrata nella tradizione delle Chiese in questo periodo può anche rischiare di trasformarsi in abitudine, in quell’insieme di “si è sempre fatto così, abbiamo sempre detto così”, che non è mai strettamente imparentato con situazioni vivaci e propositive. Ma, dall’altra parte, mi sembra che la Settimana contribuisca a diffondere cultura. Sono moltissimi, infatti, gli appuntamenti proposti: preghiere, conferenze, incontri di amicizia, progetti comuni… E una cosa dal mio punto di vista molto confortante è che, pian piano, la Settimana viene superata. Mi spiego: fino a qualche tempo fa, la gran parte delle Chiese concentrava la sua attività ecumenica tra il 18 e il 25 gennaio; ora sembra di capire che non è più così, e l’attenzione ecumenica sta crescendo a più livelli. Comunicati congiunti, presenza di esponenti di altre Chiese in momenti significativi, giornate di studio, momenti di preghiera comune stanno assumendo i colori di tutte le stagioni dell’anno, anche oltre la Settimana. Ecco perché, in un certo senso, la Settimana viene superata. Il fatto poi che dalla misericordia (tema quasi obbligato nel 2016, visto l’omonimo giubileo di casa cattolica) si passi quest’anno alla riconciliazione, mi pare ci aiuti tutti a “spingere in avanti”, se così si può dire. La misericordia di Dio, che è per tutti gli uomini, si traduce in un impegno comune alla riconciliazione.
– Dal conflitto alla comunione. Per la prima volta cristiani luterani e cattolici commemorano insieme l’inizio della Riforma. Quali sono gli elementi di novità di questo centenario?
Il fatto che il centenario sia vissuto in una forma realmente ecumenica. Il fatto quindi che anche i non protestanti si chiedano con sincerità quale contributo ha portato la teologia di Lutero, la Riforma e tutto ciò che ne è seguito alla comprensione di ciascuna Chiesa, anche di quelle Chiese che non si riconoscono nell’alveo della Riforma luterana. Mi pare cioè che a caratterizzare questo quinto centenario sia una onestà di fondo, che è disposta a costruire ponti e percorsi comuni di approfondimento anziché a concludere che l’anniversario della Riforma riguarda soltanto luterani & co. No, mi pare che oggi si è d’accordo nel dire che questo centenario, quindi la Riforma in sé, interessa anche noi. E questo diventa quasi per forza di cose un passo avanti: la prospettiva è proprio quella di passare dal conflitto, che pur c’è stato, alla comunione, che non è mai impossibile.
– Quali nodi ha palesato e quali prospettive ha aperto la “commemorazione congiunta” di Lund?
Penso che la commemorazione congiunta abbia fatto emergere innanzitutto l’impossibilità di celebrare l’anniversario in una comunione anche sacramentale. Certo, dichiarazioni, abbracci, firme, preghiere, davvero tanto si è fatto in comune: ma, evidentemente, è mancato il segno per eccellenza della comunione dei discepoli di Cristo, con il Signore e tra loro. È mancata un’eucaristia, la si chiami come si vuole. Credo, tuttavia, che anche la consapevolezza di questa mancanza sia da sottolineare. Se la nostalgia, in genere, si riferisce a qualcosa o qualcuno che non c’è più, in questo caso mi pare che si possa parlare della nostalgia di una situazione di là da venire: un’attesa quindi, una speranza forte. E la speranza non delude, sostiene san Paolo (Rm 5,5). Tra le prospettive in qualche modo aperte a Lund, quindi, mi pare di poter annoverare proprio questa: la presa di coscienza che una celebrazione condivisa del memoriale della Pasqua di Cristo sta diventando quanto mai urgente. Certo, non è un discorso così semplice; ma forse è proprio arrivato il momento di qualche passo in più.
– Il Comitato organizzativo nazionale tedesco ha voluto conferire alla Settimana di preghiera la duplice dinamica: celebrazione della grazia e riconoscimento della divisione.
Certo, e credo che anche qui si possa intravedere la volontà di una spinta in avanti. Celebrare la grazia significa concentrare lo sguardo sull’autore della grazia, su Cristo quindi: e mi pare che la “sola gratia” e il “solus Christus” di Lutero dicano qualcosa di significativo in merito. Invitare tutti i cristiani a guardare a Cristo non solo non è mai sbagliato, ma è, allo stesso tempo, sempre attuale: perché sempre in agguato rimane il rischio di sviare da Lui, di annacquare il suo Vangelo, di trovare scorciatoie più comode alla via di salvezza che passa per forza di cose sul Calvario. E riconoscere la divisione – se ci pensiamo bene – è a sua volta celebrazione della grazia. Quasi parafrasando san Paolo (cf. Rm 5,20), dove ha sovrabbondato la divisione, sovrabbonda la grazia: la grazia di riconoscere la bruttura della divisione, la grazia di non sopportarla più, la grazia di sentirla come un’evidente controtestimonianza al Vangelo. E quindi anche, in un certo modo, la grazia di dire “basta, siamo stufi!”. Credo che non si debba mai dimenticare un dato di fatto: l’unità delle Chiese non siamo noi a volerla, ma il Signore stesso («donale unità e pace secondo la tua volontà», preghiamo infatti); la divisione tra le Chiese invece non la vuole mai il Signore, siamo noi che non riusciamo a superarla.
– Tra i segni di riconciliazione, le iniziative comuni a favore dell’accoglienza di profughi e rifugiati, che provengono soprattutto dall’Oriente dove le comunità cristiane subiscono guerra e persecuzione. Sta maturando in questo contesto una qualità di rapporto diversa fra le Chiese?
Penso che queste iniziative comuni tra le diverse Chiese siano la concretizzazione di un principio di fondo che già da molti anni ci stiamo ripetendo: ciò che ci unisce è molto più di ciò che ci divide. Ciò è verissimo, e ogni iniziativa congiunta non fa che dimostrarlo. In altre parole: i cristiani non si stanno limitando a riconoscere “a tavolino” il molto che li unisce tra loro, ma stanno cercando anche di mettere insieme le mani e la forza. Come a dire: se è possibile ragionare e pregare insieme, figuriamoci se non è possibile lavorare insieme! E ho l’impressione che dovremmo dare sempre maggior credito a iniziative congiunte tra le Chiese: possono essere più faticose da programmare, ma i frutti che danno sono decisamente più duraturi, e ci avvicinano passo dopo passo a quella comunione piena della quale abbiamo tutti bisogno.
– Nella sintesi finale del convegno di Trento «si intravedevano i compiti futuri: un organismo di rappresentanza sistematica a livello nazionale, il prosieguo sul catechismo per i matrimoni interconfessionali, il prolungamento delle azioni caritative comuni, l’allargamento alle Chiese ortodosse operanti in Italia».
Certo, perché sono convinto che qualsiasi iniziativa, sia essa un convegno o un’attività pratica, non possa limitarsi a essere una manifestazione, magari bella e ben riuscita, ma che poi viene in qualche modo messa tra parentesi. Un convegno e altre iniziative forti hanno senso se provano (almeno provano!) a segnare un cammino, a far capire che, se siamo arrivati fin qui, si può tentare un passo in più, a creare attesa, e anche a nutrire speranza.