Il Kosovo (1.800.000 abitanti) si è reso indipendente rispetto alla Serbia (7 milioni) nel 2008. Fra i problemi rimasti aperti, vi è l’area della Metochia, che contiene le chiese e i monasteri più antichi e preziosi della tradizione ortodossa serba.
La Serbia non ha riconosciuto l’indipendenza del Kosovo e mantiene nella Metochia la sua amministrazione che si sovrappone a quella kosovara. Un’ipotesi di soluzione fu proposta nel 2008. Essa voleva garantire il mantenimento dei monumenti religiosi (18 di essi furono gravemente danneggiati nello scontro etnico nel 2004) e l’autonomia della popolazione locale, in maggioranza serba.
Metochia, la radice santa
La mediazione dell’Unione Europa ritenta in queste settimane (l’annuncio è del 28 febbraio) di risolvere l’intricata questione chiedendo alla Serbia il rispetto dell’integrità territoriale montenegrina (senza un formale riconoscimento dell’indipendenza), la validità dei documenti d’identità, la rimozione del divieto di rappresentanza all’ONU e una missione permanente a Pristina (capitale del Kosovo).
Al Kosovo, a grande maggioranza musulmana, si chiede il rispetto dell’intangibilità del patrimonio storico della Chiesa serba e l’avvio dell’“Associazione delle municipalità serbe dell’area”, dotate di ampia autonomia amministrativa.
C’è, soprattutto da parte serba, una forte spinta nazionalistica e una parte significativa della Chiesa teme la migrazione della popolazione serba, la nazionalizzazione del patrimonio storico e la perdita del controllo delle sue radici più antiche.
Nel corso degli ultimi anni e mesi gli scontri (pochi), i blocchi stradali e soprattutto le polemiche mediali hanno infuriato, annunciando talora anche il conflitto armato.
Le questioni hanno riguardato le strade (il Kosovo cerca di costruirne in modo da evitare il territorio serbo), le targhe (quelle serbe dei circa 10.000 veicoli locali dovrebbero essere sostituite), e i sospetti di traffici illeciti e di presenze mafiose nella terra di nessuno.
Ci resteremo
Il patriarca serbo Porfirio condivide con quello di Mosca, Cirillo, il problema del legame canonico con territori ormai fuori dai confini nazionali (è il caso della Metochia, ma anche del Montenegro e, fino al riconoscimento autocefalo, anche della Chiesa della Macedonia del Nord).
Ma il gerarca serbo è molto meno politicamente esposto. Ha chiamato tutta la Chiesa ad una preghiera intensa per la pace dell’area contesa, straordinaria concentrazione d’arte cristiana, e la salvaguardia della presenza ecclesiale.
In un ampio e appassionato intervento del 3 marzo a Vračar ha parlato di «giorni estremamente difficili per la nostra gente… per il nostro popolo in Kosovo e Metochia, per i nostri santuari», assicurando che la Chiesa non ha mai abbandonato l’area e non lo farà mai: «La chiesa è in Kosovo e Metochia e lo sarà sempre!».
La consapevolezza della centralità di quell’area è declinata con la necessità di buoni rapporti con lo stato vicino e, soprattutto, fra le due etnie. A quanti amerebbero «moltiplicare incomprensioni, discordie e litigi possibili» ricorda che la difesa della presenza serbo-ortodossa non è un invito alla guerra per riprendersi i territori, «senza tenere conto di tutti gli aspetti della situazione complessiva, estremamente difficile e complicata».
Le soluzioni attese possono essere legittimamente diverse ma, come Chiesa, «dobbiamo stare attenti a non lasciarci usare in alcun modo, anche quando – lo ripeto – qualcuno lo faccia con le migliori intenzioni». «La Chiesa non è mai stata, né può essere, né lo sarà mai… un fattore di discordia e di conflitto, ma piuttosto fonte e fondamento di unità e comprensione». La Chiesa non rinuncerà mai ai suoi diritti sull’area né smetterà di sostenere in ogni modo quanti non sono fuggiti e continuano ad abitare quei territori.
La prudente posizione di Porfirio è “messa in chiaro” dall’intervento del vescovo Ireneo di Backa che esprime l’anima più intransigente del sinodo. In un articolo su Politika così sintetizza la posizione della Chiesa serba sulla Metochia e il Kosovo: «1. Il Kosovo e Metochia sono parte integrante e inalienabile della Repubblica di Serbia. 2. La conservazione del Kosovo e della Metochia entro i confini della Repubblica di Serbia è un obbligo costituzionale e un imperativo sia per la Chiesa come per lo stato. 3. La leadership della Serbia e il presidente Aleksandar Vučic non accetteranno e non possono accettare alcuna condizione volta a stabilire l’indipendenza del Kosovo e Metochia».
Esicasmo non yoga
Tanto antiche le radici storiche, tanto contemporanee alcune altre attenzioni pastorali. Fra cui una, curiosa, riguarda la diffusione della ginnastica e dei principi yoga.
Il 18 gennaio, il sinodo della Chiesa serba ha pubblicato un documento che mette in guardia dall’utilizzo di pratiche fisiche “spirituali” di cui non si conoscono le radici e i probabili influssi sulla fede di chi li accoglie in forma acritica. Si ricorda che lo yoga è un insegnamento fondamentale dell’induismo e che il sistema degli esercizi fisici non ha un valore religioso neutro. Sottolinea le prese di posizione della Chiesa greca e di quella d’Albania.
«Con tutto il rispetto per i membri di tutte le religioni e filosofie del mondo, come cristiani ortodossi siamo obbligati a contrastare ogni apparenza di sincretismo religioso, che è completamente estraneo al nostro essere. Per questo non c’è bisogno di fare riferimento al tema delle tecniche meditative dello yoga, diametralmente opposte per fondamento, metodo, finalità e risultati rispetto alla tradizione esicasta ortodossa».
L’esicasmo è un’importante corrente ascetico-mistica del monachesimo ortodosso che mira a guidare l’orante, liberato da ogni passione, allo stato di quiete, alla contemplazione di Dio. Valorizzando per questo gli elementi psicodinamici della persona, come le tecniche respiratorie e gli strumenti della concentrazione.
Pertanto – conclude il patriarca Porfirio – in un’omelia del 19 gennaio, «non abbiamo ragione per “arricchire” il Vangelo con qualsiasi altra idea e ideologia. In Lui è la pienezza, la perfezione, Cristo stesso. Lui è il Vangelo, Lui la buona novella».
La prudente posizione di Porfirio è “messa in chiaro” dall’intervento del vescovo Ireneo di Backa che esprime l’anima più intransigente del sinodo. In un articolo su Politika così sintetizza la posizione della Chiesa serba sulla Metochia e il Kosovo: «1. Il Kosovo e Metochia sono parte integrante e inalienabile della Repubblica di Serbia. 2. La conservazione del Kosovo e della Metochia entro i confini della Repubblica di Serbia è un obbligo costituzionale e un imperativo sia per la Chiesa come per lo stato. 3. La leadership della Serbia e il presidente Aleksandar Vučic non accetteranno e non possono accettare alcuna condizione volta a stabilire l’indipendenza del Kosovo e Metochia».
penso che dichiarazioni come queste facciano sollevare molte sopracciglia sulla separazione e l’indipendenza della Chiesa Serba dallo Stato Serbo.
e mi chiedo se non facciano pensare che lo scopo della Chiesa Serba non sia annunciare Cristo e santificare gli uomini, ma favorire l”identità nazionale’