Il 20 novembre è morto a Belgrado il patriarca serbo Ireneo. Aveva 90 anni ed era stato ricoverato per la pandemia Covid-19 il 4 novembre. In pochi giorni scompaiono due delle figure apicali della Chiesa ortodossa serba. Il 30 ottobre scorso è morto Anfiloco di Cetinje metropolita del Montenegro. Ireneo ha celebrato i suoi funerali il 1 novembre a Podgorica e probabilmente in quell’occasione ha contratto il virus.
Nato il 27 agosto 1930 nel villaggio di Vidova (Cacak) viene battezzato col nome di Miroslav. Dopo gli studi superiori entra nella scuola teologica a Prizren. Si laurea alla facoltà teologica di Belgrado. Il suo dottorato è legato alla facoltà di Atene. Prende la tonsura monastica nel 1959 da parte del patriarca Germano. Diventa ieromonaco a Ruzica, insegna alla scuola teologica di Prizren di cui diventa preside. È vescovo a Niš dal 1975 al 2010, quando viene eletto vescovo di Belgrado e patriarca, dopo la morte di Pavle I.
L’elezione a patriarca, seguendo una antica tradizione, avviene fra tre nomi di vescovi eletti dal sinodo, posti un apposto contenitore sostenuto da un monaco e sorteggiati da un ragazzo. L’intronizzazione avviene nell’antica sede di Pec alla presenza di tutti i rappresentanti delle Chiese ortodosse.
Ireneo e le spinte centrifughe
Come patriarca è stato il punto di riferimento per 12 milioni di fedeli, 7 dei quali in Serbia, e gli altri in Bosnia, Montenegro, Kosovo e nella diaspora. Considerato un moderato ha dovuto affrontare le conseguenze della guerra anti-serba della Nato (1999) e delle guerre etniche nell’area balcanica, rappresentando l’anima spirituale della tradizione. Particolarmente dolorosa per la Chiesa è stata la perdita di alcune aree del Kosovo che raccolgono le prime fondazioni monastiche della sua tradizione. Per questo si è adoperato per evitare i riconoscimenti internazionali al nuovo stato. Problemi significativi del suo mandato sono arrivati dal Montenegro e dalla Macedonia.
La paura di una Chiesa autonoma nel Montenegro è stata risolta grazie all’opera pastorale e politica del metropolita Anfiloco (cf. SettimanaNews: Montenegro: il dopo-Anfiloco). Ancora aperta invece la tensione con la Chiesa della Macedonia che si è resa autonoma da Belgrado da molti decenni e che aspira a un riconoscimento di autocefalia, raccogliendo la grande maggioranza della popolazione ortodossa del paese che ha assunto recentemente il nome di Repubblica della Macedonia del Nord (cf. SettimanaNews: Macedonia, verso l’autocefalia?).
La domanda del governo serbo di entrare nell’Unione Europea non ha trovato in lui particolari resistenze: «La Serbia non dovrebbe guardare con sospetto all’UE, se l’UE rispetto l’identità, la cultura e la religione serbe. Crediamo di essere una parte storica dell’Europa e vogliamo riconoscerci in questa famiglia di popoli. Nell’adesione accetteremo tutto ciò che non è in contraddizione con la nostra identità culturale e storica».
Liturgia, catechesi e la nuova cattedrale
La sua attività pastorale si è sviluppata soprattutto nella predicazione e nella riforma liturgica. Come patriarca ha dovuto tenere e rafforzare la comunione dei gerarchi. È noto il suo intervento di rimozione del vescovo serbo operante in Canada, Giorgio Djokic (2015). Fra i difensori di quest’ultimo il vescovo Ireneo Bulovic (Novi Sad) che era stato fra i tre vescovi candidati alla successione di Pavle I e che forse rientrerà ora in gioco. Stava per coronare il sogno di consacrare la nuova cattedrale di Belgrado, dedicata a San Sava.
Iniziata nel 1904 la costruzione venne interrotta prima dalla guerre e poi dal socialismo iugoslavo. È potuta ripartire solo nel 1985 e si pensava di poterla inaugurare nel 2019 in occasione degli 800 anni di autocefalia della Chiesa ortodossa serba. Costata quasi un centinaio di milioni di euro ha una superficie a mosaico di 15.000 metri quadrati. È la più grande basilica cristiana dei Balcani e si candida ad essere considerata la nuova «Santa Sofia» ora che la basilica di Costantinopoli è stata trasformata in moschea.
Sorge nel luogo in cui il 27 aprile 1595 gli ottomani del gran visir Koca Sinan Pasha bruciarono i resti di san Sava per umiliare i serbi che si erano ribellati. San Sava (1174 – 1236) è la figura spirituale maggiore della tradizione serba, la cui santità è riconosciuta sia dagli ortodossi che dai cattolici.
A fianco della Chiesa russa
Sul versante ecumenico è stato considerato un dialogante, in particolare verso la Chiesa cattolica. In occasione dei 1700 anni dell’editto di Milano da parte di Costantino che nacque a Niš, Ireneo si disse disponibile ad una presenza di papa Benedetto XVI, poi impedita da un voto del sinodo. Molto autorevole e molto legato all’intera Ortodossia, Ireneo ha partecipato al grande concilio di Creta del 2016, ma si è duramente opposto alla decisione di Bartolomeo di Costantinopoli di riconoscere l’autocefalia della Chiesa ucraina.
Da allora ha sempre condiviso le scelte di Mosca (senza interrompere la comunione eucaristica col Fanar) ed è stato ricambiato con l’aperto sostegno di Cirillo in tutte le controversie coi territori limitrofi. Una sintonia che ha assunto anche caratteri politici. La visita di Putin a Belgrado il 17 gennaio 2020 è stato un trionfo di popolo. 120.000 persone hanno accompagnato il corteo del presidente russo, in particolare nella visita alla nuova cattedrale di San Sava per la cui costruzione il governo russo ha dato oltre dieci milioni di euro.
L’elezione del successore di Ireneo è condizionata dalla pandemia, ma difficilmente la Chiesa serba rinuncerà alla sua tradizione. Solo dopo i solenni funerali sarà possibile raccogliere i nomi dei candidati a succedergli. Il Covid-19 ha colpito la Chiesa serba, ma anche altre Chiese ortodosse. Sono ricoverati in ospedale sia l’arcivescovo di Albania, Anastasio, sia il primate di Atene, Ieronimo.