Com’è noto, a partire dal 1990, in sintonia con la dichiarazione conciliare Nostra aetate, i vescovi italiani invitano le comunità e le Chiese locali a vivere una Giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo religioso ebraico-cristiano, da tenersi il 17 gennaio di ogni anno.
L’iniziativa si deve soprattutto all’impegno del vescovo di Livorno Alberto Ablondi, scomparso nel 2010, e di Maria Vingiani, fondatrice del SAE (Segretariato Attività Ecumeniche), morta quasi centenaria due anni fa, proprio il 17 gennaio.
La scelta della data della Giornata non è casuale. La ricorrenza, che nel tempo ha spontaneamente assunto anche un valore ecumenico, infatti, si situa immediatamente prima della tradizionale Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani (18-25 gennaio), appena conclusasi, con la doppia, evidente intenzione di rimarcare la priorità dell’incontro con Israele, radice santa della fede cristiana rispetto a qualsiasi sforzo ecumenico e, nel contempo, l’impossibilità che quest’ultimo possa produrre risultati concreti senza un costante invito a porsi appunto, tutti insieme, alla scuola di Israele. Affinché il dialogo ebraico-cristiano non sia un impegno solo di vertice nella Chiesa, o di alcuni gruppi o movimenti, ma si faccia progressivamente coscienza ecclesiale di tutte e tutti.
In vista di una fruttuosa celebrazione di essa, non va mai dimenticato che lo scopo della Giornata non è di pregare per gli ebrei, ma di iniziare i cristiani al rispetto, al dialogo e alla conoscenza della tradizione ebraica, sulla scia della svolta del Vaticano II, dopo secoli di persecuzioni e incomprensioni (di insegnamento del disprezzo, come lo definì Jules Isaac).
È opportuno, pertanto, che diocesi e parrocchie promuovano nell’occasione momenti di approfondimento lungo questi due filoni complementari: la riflessione sul vincolo particolare, anzi unico, che lega Chiesa e Israele (NA 4), da un lato; e l’esistenza viva e attuale del popolo ebraico, dall’altro.
A partire da un testo di Geremia
In vista della scorsa 33ª Giornata, celebrata il 17 gennaio 2022, concluso il percorso sulle Dieci parole e quello sui Meghillot (i Rotoli), la Commissione episcopale della CEI per l’ecumenismo e il dialogo aveva predisposto un messaggio intitolato Realizzerò la mia buona promessa (Geremia 29,10): un versetto particolarmente in sintonia con il tempo complesso che stiamo attraversando, incastonato nella Lettera agli esiliati di Babilonia (29,1-14).
Il profeta Geremia, qui, reinterpreta l’esilio vissuto dal popolo ebraico come si trattasse di un nuovo inizio per la sua gente: Israele si trova in mezzo ai pagani, ben distante dalla terra della promessa, senza il tempio, ma è proprio in quella situazione drammatica dal punto di vista economico, sociale e religioso che potrà ritrovare il senso autentico della propria vocazione.
Alla fine, questo brano ci ricorda che quei deportati si danno da fare per una nazione straniera, lavorano, investono energie. Che “colui che viene da fuori” è sempre una potenziale risorsa per un Paese. Che lo straniero è una benedizione e che l’ospitalità, così centrale nelle tradizioni ebraica e cristiana, può essere lo stile con cui i credenti stanno nella storia.
Oggi, la pandemia globale in atto ci sta costringendo a rivedere gli stili della nostra presenza di credenti nella storia, in realtà largamente in crisi già ben prima di due anni fa. Una situazione che, in modo differente, tocca e interpella tanto gli ebrei quanto i cristiani.
Quello di Geremia è dunque un testo che, letto a due voci nella Giornata del 17 gennaio e più in generale valorizzato come possibile punto di partenza per il confronto tra credenti ebrei e cristiani, dovrebbe aiutarci a collocare la nostra esperienza di fede nella presente stagione: come ama sottolineare papa Francesco, un vero e proprio, e radicale, “cambio d’epoca”.
Ecco perché, a dispetto delle difficoltà oggettive, è stato significativo che la Giornata da poco trascorsa abbia registrato un notevole numero di iniziative comuni proposte da diocesi e Chiese locali, sparse per la penisola, talvolta in remoto e talvolta in presenza, ma sempre con molta attenzione da parte dei presenti. Ma c’è di più.
Le prossime Giornate programmate insieme
La data del 17 gennaio 2022, infatti, va segnata tra quelle importanti per il cammino del dialogo fra ebrei e cristiani anche per un altro motivo, decisamente rilevante. In quel giorno, infatti, si è tenuto, presso la sede della Conferenza episcopale italiana, un incontro istituzionale tra la stessa CEI e l’Assemblea Rabbinica Italiana (ARI). Fra i presenti, Stefano Russo, segretario generale della CEI, Derio Olivero, presidente della Commissione episcopale per l’ecumenismo e il dialogo, Giuliano Savina, direttore dell’Ufficio nazionale per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso (UNEDI), Alfonso Arbib, rabbino capo di Milano e presidente dell’ARI, e Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma.
L’incontro, svoltosi in un clima cordiale e fraterno, è stato dedicato alla programmazione delle prossime Giornate del 17 gennaio, che saranno accompagnate da un Messaggio dei vescovi italiani e da un Messaggio dell’ARI.
Contestualmente, è stata definita una modalità operativa di coordinamento tra CEI e ARI. Fra l’altro, va segnalato che, per la prima volta, nel 2021 l’UCEI (Unione delle comunità ebraiche italiane) ha designato un consigliere con delega per il dialogo interreligioso, Guido Coen. Un ulteriore segnale del fatto che sta crescendo anche nel mondo ebraico la consapevolezza della necessità e dell’urgenza di confrontarsi con le altre religioni e in particolare con il cristianesimo.
«Quello di oggi – ha commentato Russo – è stato un momento importante vissuto nella giusta prospettiva offerta dalla Giornata dedicata al dialogo tra cristiani ed ebrei. Ci si è ritrovati insieme per riflettere su un percorso condiviso. Il Messaggio della CEI per questa Giornata, approvato dal Consiglio episcopale permanente, esprime il desiderio comune dei vescovi di portare avanti la progettualità del nostro dialogo. Come ricorda papa Francesco nella Fratelli tutti: “Il dialogo perseverante e coraggioso non fa notizia come gli scontri e i conflitti, eppure aiuta discretamente il mondo a vivere meglio, molto più di quanto possiamo rendercene conto” (n. 198). Oggi abbiamo rinnovato la volontà d’incontrarci: quando ciò avviene, ne beneficia la società. Le religioni sono sempre per la pace».
«L’incontro – ha sottolineato Rav Arbib – ha rappresentato un’opportunità propizia per scambiare le nostre impressioni e le nostre opinioni. Oggi è stato definito un metodo di lavoro, che si esprimerà in un coordinamento operativo. Questo aiuterà a comprendere meglio il significato e il valore del dialogo. Ci sono infatti tante e diverse sfaccettature intorno al termine dialogo. Occorre capire meglio quali sono le differenze che possono creare criticità da superare oppure semplicemente da conoscere. Il dialogo parte anche dall’idea che le differenze ci sono o ci possono essere. L’auspicio è che si possa giungere a una sempre maggiore conoscenza reciproca».
La funzione strategica del dialogo
Il citato incontro istituzionale, accompagnato dalle tante iniziative promosse a livello locale per celebrare la Giornata, rappresenta un’evidente espressione dell’accresciuta consapevolezza della funzione strategica del dialogo fra cristiani ed ebrei.
C’è – del resto – ancora molta strada da fare, in ambito cristiano, per allargare il campo dei partecipanti al dialogo e per approfondire le ragioni profonde di tale percorso, se aveva ragione il card. Martini nel sostenere che «il dialogo cristiano-ebraico è un caso serio la cui posta in gioco non è semplicemente la maggiore o minore continuazione vitale di un dialogo, bensì l’acquisizione della coscienza, nei cristiani, dei loro legami con il gregge di Abramo e delle conseguenze che ne deriveranno sul piano dottrinale, per la disciplina, la liturgia, la vita spirituale della Chiesa e addirittura per la sua stessa missione nel mondo d’oggi».
Sono contento che la Chiesa dialoghi con gli Ebrei che non hanno accolto Cristo, ma sarei ancora più contento se la Chiesa cercasse non solo il dialogo con gli Ebrei che hanno accolto Cristo perchè ne trarrebbe un beneficio maggiore. Lo sbandamento della Chiesa è dovuto anche al fatto che manca in lei il suo patner voluto da Dio. Min auguro che avvenga presto questo recupero.