In occasione del quinto anniversario, nella XX domenica dopo Trinitatis, festa della Riforma (29 ottobre 2017), la Comunità evangelica luterana di Roma, ha chiesto la predicazione a p. Heiner Wilmer, superiore generale dei dehoniani dal 2015.
Rm 3,21-28. Ora però, indipendentemente dalla legge, è stata manifestata la giustizia di Dio, della quale danno testimonianza la legge e i profeti: vale a dire la giustizia di Dio mediante la fede in Gesù Cristo, per tutti coloro che credono – infatti non c’è distinzione: tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio – ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, mediante la redenzione che è in Cristo Gesù. Dio lo ha prestabilito come sacrificio propiziatorio mediante la fede nel suo sangue, per dimostrare la sua giustizia, avendo usato tolleranza verso i peccati commessi in passato, al tempo della sua divina pazienza; e per dimostrare la sua giustizia nel tempo presente affinché egli sia giusto e giustifichi colui che ha fede in Gesù. Dov’è dunque il vanto? Esso è escluso. Per quale legge? Delle opere? No, ma per la legge della fede; poiché riteniamo che l’uomo è giustificato mediante la fede senza le opere della legge.
Schapen-Schale
Care sorelle, cari fratelli,
sono molto lieto di essere qui, oggi, nella comunità evangelica di Roma. Cari fratelli, caro pastore Kruse, è per me una gioia e un onore, e motivo di commozione, essere invitato a predicare nella Chiesa del Cristo in occasione del V centenario della Riforma. Vi sono lieto per la fiducia fraterna. Il vostro invito mi commuove, perché c’è una storia molto speciale, personale, che mi lega alle sorelle e ai fratelli evangelici.
Sono nato a Schapen, nel Sud-Ovest della Bassa Sassonia, nell’Emsland, per così dire
nell’ultimo villaggio prima del confine regionale. Tra Schapen e il villaggio vicino, Schale, corre l’antico confine confessionale. Se Schapen, ancora fino agli anni ’70, era quasi del tutto cattolica, Schale, a soli 6 km., era completamente evangelica.
Che cosa voleva dire, in concreto? Ecco, non si andava a Schale. Nella mia famiglia, non si imprecava contro gli evangelici del paese vicino, ma non si parlava mai di loro. Non si andava a Schale per la festa degli Schützen, né per la sagra, né per feste private. Niente fidanzate di Schale. Schale era tabù. Perché era evangelica.
Oggi, quasi 40 anni dopo, posso solo dire che sono grato alle mie sorelle e ai miei fratelli evangelici perché, grazie a loro e a Martin Lutero, non solo ho compreso la mia fede più profondamente, ma, se posso dirlo, la “tradizione evangelica” ha contribuito alla mia conversione interiore. Voglio spiegarvelo in due punti, muovendo da Romani 3: lo spirito biblico della Riforma e la giustizia soltanto per fede.
Rinnovatevi!
Quando Martin Lutero, 500 anni fa, a Wittenberg, attirò l’attenzione sulle disfunzioni della Chiesa, non lo fece solo in qualità di professore di teologia all’università di Wittenberg, ma anche di predicatore della chiesa cittadina di Wittenberg. Nel suo ruolo di predicatore, era sua cura la “salute dell’anima” della comunità. Rifacendosi al capitolo 4 del Vangelo di Matteo, sollecitò alla conversione: “Pentitevi!” (Mt 4,17): questo è quanto chiede nelle sue tesi.
Rinnovatevi. Non puntate sul vostro merito, sulla vostra prestazione e sui certificati di indulgenza. Convertitevi! Costruite una relazione personale, interiore con Gesù Cristo. Puntate sulla fede in Gesù Cristo soltanto, perché – e in questo Lutero è perfettamente in linea con la Lettera ai Romani – la giustizia di Dio viene dalla fede in Gesù Cristo.
Tutti sono e restano peccatori, scrive Paolo. Non c’è differenza. Nessuno può vantarsi davanti a Dio. Ciò che importa non sono le opere e le strutture ecclesiastiche. Ciò che importa non sono i programmi organizzativi e le idee strategiche. No. Ciò che importa è soltanto la mia fede in Gesù Cristo, il mio legame personale col Figlio di Dio. Sempre più profondamente cresciuto in Dio, con Gesù Cristo, trovando così una grandezza interiore di cui nessuno può vantarsi: questo è il messaggio di Martin Lutero. Questo fu il punto di partenza della Riforma.
Vi sono grato, care sorelle e cari fratelli, perché tenete alto lo spirito della riforma permanente, mettendo così a nudo uno strato profondo antichissimo, anzi, originario della nostra fede. Lo spirito di riforma non vive solo nella profondità misteriosa della nostra fede, ma è radicato nella Bibbia stessa. La sacra Scrittura fa ripetutamente cenno ai rinnovamenti e riferisce di riforme. Ma l’apice del tutto è questo: il primo riformatore è Dio stesso.
“Soli Deo gloria”
Mosè ci riferisce come la prima riforma della tradizione ebraico-cristiana venga da Dio stesso. Mosè, che da bambino era stato messo in un cesto di vimini, affidato al Nilo, per salvarlo dai suoi persecutori, era vissuto per 40 anni in Egitto. Secondo la tradizione biblica e la prima tradizione cristiana, come per esempio quella di Gregorio di Nissa, trascorse altri 40 anni in fuga dal faraone, presso Ietro, sacerdote di Madian, di cui sposò la figlia. A Madian, dove si era stabilito, condusse una vita tranquilla, una vita normale come quella di tutti gli altri; finché Dio stesso, manifestatosi nel fuoco del roveto ardente, lo strappò alle comodità e ne fece il liberatore del suo popolo Israele.
Non sapendo bene con chi avesse a che fare, e soprattutto di chi dovesse riferire ai suoi connazionali israeliti, si sente dire da Dio: non ho nome. Prima mi chiamavano El Shaddai (Gn 17, 1). Ma non voglio più essere chiamato così. Da adesso non ho più nome. Se la tua gente ti chiede quale sia il mio nome, dì loro: Non ho nome. Io sono, semplicemente. Io sono colui che sono. Io sarò qui, colui che sarò qui (Es 3,14-15). Punto. Fine. Basta.
Questa è la prima riforma della nostra lunga storia religiosa biblica. Viene da Dio. Dio stesso corregge il suo rapporto con noi esseri umani, rinunciando, da quel momento in poi, al vecchio, chiaro nome di “El Shaddai”, e dicendo, in pratica: “Ho detto al mondo: basta”.
“Sola gratia”
Sono grato ai riformatori biblici e post-biblici per questo spirito di riforma biblico; per il fatto che io stesso, che ognuno di noi necessita di costante riordinamento del proprio rapporto con Dio: semper reformanda. Dio non si fa catturare. Nessuna immagine riesce a raffigurarlo. Non si fa afferrare con un nome. Dio è e resta il più grande mistero della nostra vita.
«Senza merito sono giusto, per grazia, mediante la redenzione avvenuta per il tramite di Cristo Gesù», dice l’apostolo Paolo. Dove io sono nato e cresciuto, nella mia patria nella Germania del Nord-Ovest, la prestazione ha un ruolo importante. Sforzati, dà il meglio di te stesso; puoi fare di più e ce la farai, ma devi fare qualcosa così come si deve. Dal niente non viene niente. Questi erano i messaggi centrali della cultura in cui sono cresciuto.
Mi ci è voluto molto tempo per mettere le parole dell’apostolo Paolo, tratte dal terzo capitolo della Lettera ai Romani, in relazione con la mia vita. In ciò sono stato aiutato da un gruppo ecumenico di cristiani, composto di luterani, riformati, presbiteriani, anglicani, battisti e cattolici.
Ho davanti agli occhi l’“Arca”, comunione di cristiani di diverse confessioni, che oggi annovera anche membri di altre religioni. L’Arca venne fondata a nord di Parigi, nel 1964, da Jean Vanier. Nelle sue comunità vivono insieme persone con e senza handicap psichici.
Ho vissuto quattro mesi in una comunità dell’Arca in Canada, a Toronto. È stato qualcosa di straordinario. Gli abitanti della casa non mi hanno mai chiesto delle mie prestazioni, di meriti di qualsiasi genere, di diplomi scolastici, di titoli o di posizioni sociali o di grandi viaggi. Invece, mi è stato domandato: chi sei? Hai tempo per me? Ti piaccio? Ti piace il mio nuovo berretto da baseball? Hai voglia di cucinare insieme a me, stasera? Posso farti vedere le foto della mia famiglia?
All’Arca, ho imparato che il mangiare è importante; che è molto di più che mera assunzione di alimenti. Ho imparato che la comunione di mensa, a tavola, e l’interesse per l’altro e la domanda “Come è andata la tua giornata?” contribuiscono in modo essenziale alla felicità interiore. Ho imparato che, non casualmente, stare seduti insieme e raccontare sono i fondamenti della nostra religione. Ho imparato che della comunione di mensa fa parte la preghiera, la semplice preghiera che intercede e ringrazia; che, appunto, apre il cuore davanti a Dio, nella percezione profonda che ciò che di meglio c’è nella mia vita è sempre solo dono e mai il risultato di una prestazione. O, per dirla come Paolo: tu sei giusto davanti a Dio, senza tuo merito.
Cinquecento anni di Riforma, rinnovamento e cammino di fede. Come cattolico, sono grato allo Spirito Santo di Dio per questi secoli speciali. Sono grato di molti punti della mia fede a Martin Lutero e voi, care sorelle e cari fratelli evangelici. Oggi, voglio evidenziare due di questi punti, che fanno parte del fondamento della nostra fede.
Primo: il mio rapporto con Dio necessita costantemente di riordinamento e il primo
riformatore è Dio stesso. Secondo: importa soltanto la mia fede in Gesù Cristo. Non sono le opere a rendere giusti e a perdonare i peccati, ma soltanto la sua grazia.
Possa lo Spirito Santo di Dio che, pur in tutte le divisioni dolorose della Chiesa, ci unisce nel battesimo, attrarre ciascuno di noi a Gesù Cristo. Possa Gesù Cristo affascinarci per tutta la vita. Come ha detto Paul Gerhard (1607-1676) nella quarta strofa del suo inno: «Qui sto alla tua greppia» [or. «Ich steh an deiner Krippen hier»]: «Guardo a te con gioia / e non mi sazio di guardarti; / E poiché null’altro posso fare, / resto qui, adorante». Amen.
Nella parrocchia di Castiglione delle Stiviere, nella quale risiedo, sono presenti i Padri Dehoniani da oltre trent’ anni. Leggendo l’ omelia di padre Heiner Wilmer superiore generale della loro congregazione ho provato una grande gioia
per due motivi. Anzitutto per le riflessioni ivi contenute: si tratta di proposte “indispensabili” per essere cristiani. Inoltre mi auguro che tale superiore sia un dono importante per tutti i Dehoniani e per la Chiesa.