«A volte chi lavora nel dialogo interreligioso viene visto come una persona un po’ ingenua, ma in realtà, chi lavora in questo campo deve conoscere i problemi, le tensioni e le differenze. Quando si ha la capacità di lavorare tra le differenze e di attraversarle, allora si costruisce qualcosa di veramente importante». A dirlo è il prof. Ambrogio Bongiovanni, nuovo direttore del Centro Studi Interreligiosi della Gregoriana e professore straordinario della Facoltà di Missiologia. Con alle spalle un’esperienza trentennale in India nel campo della cooperazione, è inoltre Presidente della Fondazione Magis, l’opera missionaria della Provincia Euro-Mediterranea dei gesuiti.
- Professore, qual è lo stato di salute del dialogo interreligioso?
Anche nei momenti in cui ci sembrava che il dialogo stesse per interrompersi o ci fossero delle forze che lo ostacolassero quali i fondamentalismi – sia politici che religiosi o secolari – la cultura del dialogo è cresciuta ed è andata avanti. E se abbiamo anche dei documenti magisteriali che hanno dato un nuovo impulso al dialogo, questo è stato possibile perché papa Francesco ha saputo riconoscere il terreno fertile che era stato mantenuto e i semi del dialogo sparsi in vari contesti, che andavano curati, rafforzati e fatti germinare.
- È vero che molti processi si sono riavviati a livello istituzionale. Al tempo stesso, però, si avverte che manca qualcosa…
Questo perché la cultura del dialogo va portata sempre più a un livello di base, il che non significa abbassare il contenuto o la qualità del dialogo, ma fare in modo che sia vissuto dalle persone, a tutti i livelli. Per far sì che questo diverso approccio alla complessità della realtà umana divenga cultura e parte integrante del nostro vivere un’epoca globale sono necessarie occasioni formative e incontri profondi. Sarei scettico se il dialogo fosse solo a livello istituzionale, perché talora le istituzioni hanno più finalità e si può restare al calcolo di facciata, vincolati alla diplomazia della reciprocità.
Sono ottimista, invece, perché vedo tanta buona volontà, impegno e sacrificio per portare avanti il dialogo nonostante minacce e ostacoli. Ci sono martiri del dialogo. Charles de Foucauld o i monaci di Thiberine hanno seguito la legge dell’amore fino in fondo. E la legge dell’amore fa saltare i calcoli e il principio di reciprocità, perché ci lancia verso una prospettiva diversa. Per questo la regola d’oro del dialogo non può che essere il primato dell’amore.
- Come si colloca in tutto questo il Centro Studi Interreligiosi?
Credo che il Centro sia un’antenna per la Gregoriana: riceve e manda messaggi. Siamo ancora una realtà piccola, rispetto ad altre unità accademiche consolidate, ma con grandi potenzialità. Certo, struttura e numero di studenti sono dati importanti per una unità accademica, ma il nostro dinamismo, la flessibilità, la possibilità di poter offrire spazi formativi non strutturati lo sono altrettanto. È significativo vedere come realtà del mondo diplomatico, magari che operano in contesti non cristiani, si rivolgono proprio a noi.
- Oltre che all’esterno, il Centro offre le sue competenze alle altre unità accademiche della Gregoriana. Come può un’unità accademica di questo tipo interpellare le altre discipline, interrogarle, interagire con esse, sfidarle e fecondarle?
Gli studi interreligiosi non sono solo studi in una prospettiva esclusivamente teologica, ma richiedono maggiore inter- e trans-disciplinarietà. Spesso usiamo il solo approccio storico per studiare lo sviluppo delle tradizioni religiose, senza poi entrare nella riflessione sull’interreligiosità e sul dialogo interreligioso, che abbracciano invece tutte le categorie delle scienze umane. Lo studio interreligioso è un avamposto del dialogo, è necessario acquisire strumenti, competenze e conoscenze per concretizzare il dialogo. Il dialogo non può essere solo intellettuale, perché è vita, e non possiamo separarlo dalla vita.
- Qual è allora la specificità del Centro, che si qualifica come Centro “Studi Interreligiosi”?
Faccio un esempio. Ci sono centri di eccellenza come il Pontificio Istituto di Studi Arabi e di Islamistica (PISAI), con il quale collaboriamo, che già offrono competenze in Islamistica o studio della Lingua araba; ciò che noi offriamo è uno studio delle relazioni islamo-cristiane e il loro contesto attuale. Sono ambiti complementari, che presuppongono competenze comuni, ma con ruolo e prospettiva diversi. Credo fortemente in questo lavoro, proprio perché il mio campo di lavoro è stato la formazione al dialogo, la pedagogia al dialogo, studiare le categorie coinvolte nel dialogo.
- Il Centro lavora in stretta sinergia con la Facoltà di Missiologia, valorizzando la “prospettiva contestuale”. Di cosa si tratta?
Ogni esperienza religiosa si sviluppa in un contesto specifico e interagisce con elementi culturali propri che hanno anche un’azione trasformativa. Le tradizioni religiose, anche cristiane, vanno quindi collocate. Ho vissuto nel contesto indiano dove in ambito cattolico ci sono tre riti – latino, siro-malabarese e siro-malankarese – con altrettante sensibilità.
Possiamo pensare di comprendere un’unica religione per categorizzazione, considerando i soli elementi generali, ma se ci caliamo nei differenti contesti, le cose si complicano. Bisogna studiare non solo il rapporto tra tradizioni religiose, ma come esso si concretizza nei diversi contesti: storici, geografici, culturali. Un conto è parlare del rapporto tra Cristianesimo e Islam in Europa, altro nell’Asia meridionale, o nell’Iran. Bisogna quindi saper lavorare in questo intreccio tra la dimensione culturale – nel senso più ampio del termine – e la dimensione religiosa.
Il nostro sforzo è quello di guardare i contesti in un orizzonte di comunione e di universalità, per saper vivere i contesti come ricchezze che fanno parte del processo di inculturazione della Chiesa e, al tempo stesso, di saper riferire ogni contesto particolare alla tradizione e all’universalità della Chiesa.
- Oltre al Diploma, il Centro ha sviluppato in questi anni altre aree, che fanno parte integrante del percorso accademico. In particolare sono due: quella dei Forum interreligiosi e quella delle sessioni intensive di studio. Con l’anno accademico 2022-2023 anche i Forum settimanali assumeranno una nuova fisionomia?
I Forum settimanali (cf. qui) sono un’iniziativa aperta al pubblico: incontri di carattere più culturale e di approfondimento, spesso con voci esterne alla Gregoriana. Nel loro alternarsi riflettono i due indirizzi di studio del Centro: “Cristianesimo-Islam” e “Cristianesimo-Religioni e Culture dell’Asia”. Sono sempre andati piuttosto bene e sono stati molto apprezzati, per cui abbiamo deciso che i tempi erano maturi per una loro ulteriore valorizzazione.
A partire dal prossimo anno, i Forum, pur restando aperti al pubblico, rientreranno nel Programma degli Studi del Centro e subiranno una variazione di orario in vista della partecipazione degli studenti iscritti. Questo per facilitare il confronto degli studenti con voci esterne e contesti diversi, nonché per introdurli a un dialogo senza infingimenti e a una riflessione sistematica su di esso.
- E per quanto riguarda le Sessioni intensive?
Le Sessioni sono seminari di approfondimento su tematiche specifiche, in collaborazione con altri enti accademici interni ed esterni, e parimenti rivolti sia a iscritti esterni che a studenti della Gregoriana.
Quest’anno si sono svolte due Sessioni, secondo i due indirizzi di studio del Centro. Quella intitolata Il Corano a Roma (cf. qui) è stata organizzata in collaborazione con l’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”, con il progetto di ricerca The European Qu’ran (EuQu), il PISAI e alcuni giovani ricercatori.
La seconda sessione già da qualche tempo si svolge all’esterno, al Monastero di Camaldoli, intorno alla Pentecoste. La tematica riguarda il dialogo con l’induismo e la spiritualità Hindu, e quest’anno era intitolata Verso l’Uno. La spiritualità del dialogo nell’induismo».
Ambrogio Bongiovanni è direttore del Centro Studi Interreligiosi presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma. Riprendiamo l’intervista pubblicata su «La Gregoriana. Periodico d’informazione della Pontificia Università Gregoriana» (Anno XXVII, n. 59, pp. 10-15).
IL dialogo interreligioso dovrebbe essere portato avanti anche con la creazione di Missioni interreligiose finalizzate ad Opere Umanitarie nelle quali possano lavorare insieme per un fine comune fedeli di diverse confessioni religiose oltre ai non credenti naturalmente. Lavorare in silenzio fianco a fianco dialogando tramite gesti concreti di aiuto reciproco lasciando parlare lo Spirito Santo al cuore di tutti.