Con l’inizio d’Avvento, fratel Matthew, anglicano della Gran Bretagna, diventa priore della comunità ecumenica di Taizé. Succede a fratel Alois. In questa intervista parla del suo cammino di fede e dei cambiamenti avvenuti e che avvengono nella comunità.
– Fratel Matthew, lei vive a Taizé da quando aveva 21 anni. Perché è rimasto qui? Sta sempre volentieri in questo luogo?
Penso che qualcosa mi abbia davvero toccato durante la prima visita, quando avevo 20 anni, durante le ferie del semestre estivo. Erano i momenti di preghiera, ma anche di incontro con altri giovani. Non è mai stato facile per me vivere la mia fede a casa, in chiesa. Non c’erano molti giovani lì. A scuola non c’era quasi nessuno. All’università ho conosciuto persone che cercavano davvero Cristo. Uno di loro mi ha invitato e, in un gruppo di cinque o sei studenti di Sheffield, nel nord dell’Inghilterra, siamo andati a Taizé. È stato davvero bello.
Per essere sincero, durante quel primo soggiorno qualcosa mi ha toccato così tanto da farmi pensare: forse ho trovato un posto per me. Ma in quel momento non riuscivo proprio a esprimerlo a parole. Molto bella era la forma di preghiera con lettura della Bibbia, canti, silenzio e intercessioni. Per me era davvero qualcosa di completamente diverso da quello che in quel tempo si trovava a casa, in chiesa Ma sentivo anche un desiderio di dare tutto per Cristo, la chiamata di Gesù: “Vieni e seguimi!”.
Ero molto radicale quando avevo 20 o 21 anni. Volevo lasciare tutto per seguirlo. C’è bisogno di questo tipo di ideale. Questo ci mette in cammino. Interessante è il modo in cui conciliamo questo ideale con la realtà. Ci sono anche momenti in cui dobbiamo essere disposti ad accettare la nostra umanità.
Ricordo anche qualcos’altro. Sono cresciuto in città, ma da adolescente ho sempre sognato di vivere in una grande casa in campagna. Pensavo di comperare una grande casa in Inghilterra o qualcosa del genere. Non avrei mai immaginato di trovarmi un giorno in una casa di campagna così grande con una famiglia numerosa come a Taizé.La Francia era per me un luogo in cui da bambini e da giovani andavamo spesso in ferie con la famiglia e anche con la scuola. Parlavo già un po’ di francese. Il mio sguardo era sempre rivolto alla Francia.
– Taizé esiste dagli anni ’40. Quarant’anni dopo lei è entrato in comunità e ne fa parte da quasi quarant’anni. Cosa è cambiato secondo lei?
Penso che la sostanza della vita a Taizé sia la stessa. I tempi di preghiera tre volte al giorno: questo è il cuore della vita della nostra comunità. Ci sono sicuramente nuovi canti e nuove forme, ma l’essenziale rimane lo stesso. Penso che oggi sia una sfida vivere realmente in comunità. Ho spesso l’impressione che oggigiorno ci si senta molto più soli.
Non voglio dire che ci sia molto più individualismo, sarebbe troppo negativo, ma in passato ho l’impressione che si vivesse maggiormente la dimensione comunitaria. Si viveva di più insieme, gli uni con gli altri. Forse a questo riflusso nell’individualismo ha contribuito anche la pandemia. Nonostante tutto, c’è sempre questa sete di comunità, soprattutto tra i giovani.
Come vediamo, oggi c’è molta paura per il cambiamento climatico. Ma c’è anche un movimento che vuole impegnarsi insieme ad altri per rendere e custodire il mondo come un luogo più bello.
– Direbbe di essere altrettanto idealista e radicale oggi? Quale sentimento prova nel diventare priore, a partire dall’Avvento?
Penso di sì. C’è ancora qualcosa che invita a questa radicalità, perché il vangelo stesso è qualcosa di molto radicale: ci invita a far crescere le nostre radici in Dio, in Cristo. Ci sono alcune cose che dobbiamo continuare a scoprire. Allo stesso tempo, dobbiamo accogliere la nostra umanità e sapere che questo viaggio dura tutta la vita.Penso di avere più pazienza adesso. Forse è l’unica cosa che ho imparato negli ultimi anni: essere più paziente.
Pazienza però non significa essere passivi, ma piuttosto avere tempo per gli altri e per lo Spirito di Dio affinché i cambiamenti che sono necessari possano avvenire.
– Fr. Alois ha parlato con ciascuno dei fratelli. Cercare il suo successore è stato un lungo processo. Non è stata una decisione presa alla leggera scegliere chi sarebbe stato il Priore dopo 18 anni. Immaginava, quando è diventato Fratello di Taizé, che ciò sarebbe accaduto? O forse lo ha presagito?
No, pensavo che un fratello più giovane di me avrebbe assunto l’incarico di fratel Alois. Ma credo che ora siamo a un tornante decisivo come comunità: abbiamo 15 fratelli che non hanno conosciuto fratel Roger. Non arrivo a dire che il tempo della fondazione sta finendo, perché una comunità deve sempre rifondarsi. Ma è un momento speciale. Abbiamo bisogno del ricordo di fratel Roger, ma dobbiamo anche adeguarci ai tempi di oggi.
Cercheremo sempre una vita fraterna e condivisa. Ma forse abbiamo bisogno di una maggiore organizzazione della nostra vita per chiarire a chi spetta prendere le decisioni e trovare maggiore ascolto. Questo è sempre stato presente nella nostra vita. Fratel Alois ha già aperto e predisposto il cammino prima di annunciare, quest’estate, le sue dimissioni dopo 18 anni come Priore della Comunità di Taizé. Ora dobbiamo continuare su questa strada.
– A Taizé ciò che conta di più sono gli aspetti ecumenici o cristiani e non tanto la religione individuale. Viviamo in tempi di crisi ambientale e di numerose guerre e conflitti nel mondo. Che significato hanno a Taizé l’appartenenza religiosa, la diversità e l’internazionalità?
A Taizé accogliamo giovani da tutto il mondo. Anche noi viviamo personalmente molte di queste situazioni. Dal 1993 mi sono recato in Russia quasi ogni anno e ho contatti con amici ortodossi in quel paese. Ma cosa significa questo adesso? Come devo reagire?
Vediamo una situazione in cui c’è un’aggressione da parte della Russia. E alcuni fratelli hanno visitato anche l’Ucraina durante la guerra. Vediamo questa situazione in cui non sappiamo come andrà a finire. Ma dobbiamo sostenere i nostri amici, dobbiamo restare in contatto.
Anche in Israele e Palestina. Abbiamo accolto a Taizé cristiani della Palestina durante l’estate. E abbiamo buoni amici che sono rabbini a Gerusalemme. Trovo ciò sempre molto bello, ma non facile, poiché conosciamo persone di entrambe le parti del conflitto.
Ciò significa che ci vuole molta sensibilità e ascolto. Penso all’esempio di fratel Roger durante la seconda guerra mondiale. Anzitutto ha ospitato persone che erano in grave pericolo, anche ebrei. Ma, dopo la seconda guerra mondiale, accolse in casa prigionieri di guerra tedeschi.
Dobbiamo sempre tenere presenti le persone. Siamo tutti creati a immagine di Dio. Per fratel Roger, penso che si trattasse sempre di riconciliazione, del rispetto dell’altro e dell’essere cristiano. Se desideriamo l’unità dei cristiani, secondo la preghiera di Gesù nel Vangelo di Giovanni, non bisogna proclamarsi più cristiani di altri, ma di offrire una maggiore opportunità di pace nella famiglia umana in modo che questo amore possa veramente irradiarsi.
Ho trascorso negli ultimi 18 mesi quasi tutto il tempo a Roma. Si stava svolgendo la prima parte del sinodo mondiale. Fratel Alois era presente all’apertura di questo sinodo nell’ottobre 2021. Ha parlato di un sogno: di una riunione del popolo di Dio e del fatto che cristiani di varie confessioni venivano a Roma in Piazza San Pietro per pregare per il Sinodo.
Questo sogno è stato preso molto sul serio. Abbiamo preparato la bellissima preghiera serale comunitaria, la Veglia, del 30 settembre in Piazza San Pietro. Il convenire di più di 20 capi di diverse Chiese con papa Francesco, l’arcivescovo Justin Welby della Chiesa anglicana e anche il patriarca Bartolomeo I della Chiesa ortodossa, è stato un segno chiaro. I cristiani hanno visto quei segni di unità. Come possiamo procedere, approfittando di quel momento?
«Noi vogliamo semplicemente che coloro che vengono da noi possano scoprire qualcosa che li aiuti a continuare ogni giorno su questa strada».
– Ciò dimostra molto bene che Taizé gioca un ruolo importante anche al di fuori dal territorio francese. Lei parla della vigilia dell’inizio del Sinodo dei vescovi a Roma quest’anno, in cui ha avuto luogo questa veglia con papa Francesco nello spirito di Taizé. Lei guarda a tutto questo per così dire dall’esterno: quanta speranza ha nel Sinodo mondiale?
Ho grandi speranze in questo perché penso che ascoltarsi gli uni gli altri sia molto importante. Questo non è facile perché spesso pensiamo: io ho la mia opinione e gli altri dovrebbero ascoltarla. Certo, la mia opinione è importante, ma sono anche disponibile ad ascoltare gli altri? Questo è un altro modo di essere Chiesa. E Gesù è venuto per servire tutti.
Credo che questo ascolto sia collegato con il servizio. Non sappiamo dove ci porterà questo sinodo mondiale. Si sente spesso dire che il protagonista è lo Spirito del Santo. Oh, se siamo sempre disponibili ad ascoltare lo Spirito Santo e ciò che viene confermato dalla comunità dei fedeli, allora – penso – siamo veramente sulla via delle fede.
– La comunità di Taizé si caratterizza anche per il fatto che anziani e giovani vivono insieme. Ciò significa che, come priore, vivrà ancora insieme ai giovani, con i giovani che vengono da voi e che sono in ricerca, che pregherete insieme, sarete in contatto e continuerete a parlare di ciò che accade nel mondo. È contento di questo?
Sì. Lo dico ogni giorno: è un privilegio per noi accogliere così tanti giovani a Taizé. È una responsabilità molto grande e dobbiamo accoglierli con grande rispetto. Nella nostra storia ci sono casi di abuso. Non dobbiamo dimenticarlo! Dobbiamo ascoltare le persone colpite e imparare da loro.
Allo stesso tempo, è un invito ad essere ancora più vigilanti e ad ascoltare veramente i giovani senza permettere che si verifichino soprusi.
Da giovane fratello, ho sempre sentito fr. Roger parlare di altruismo. Questo è molto importante per me. Non accogliamo i giovani per ottenere qualcosa a nostro vantaggio. Bisogna sempre lasciarli liberi. Vengono a Taizé per un po’ e poi se ne vanno. Non siamo un movimento spirituale. Non vogliamo creare gruppi di Taizé ovunque.
Vogliamo semplicemente che, chi viene da noi, possa scoprire qualcosa che lo aiuti ad andare avanti nella vita di tutti i giorni. Ci sono giovani ma anche adulti che vengono da noi. Questo è interessante: ci sono incontri per gli adulti e ci sono incontri per i giovani.
Abbiamo capito che, se tra i giovani ci sono troppi adulti, prevalgono questi ultimi. Perciò è importante dare libero spazio ai giovani. Spero che tutti lo capiscano.
Taizé è una mia forte esperienza giovanile. Non sono più andato ma ne ho seguito la spiritualità e il percorso sulla strada dell’incontro, della comunione, forse dell’utopia. Non è forse l’utopia che ci spinge a camminare, a cerecare ancora ed ancora nella direzione che ci indica il Vangelo di Gesù Cristo? L’unità dei cristiani e dell’intera umanità è il traguardo finale dove Cristo ci attende.