L’arcivescovo di Colonia, il card. Rainer Maria Woelki, 64 anni, l’ha detto fuori dai denti che la Chiesa di Germania sta scivolando verso lo scisma, soprattutto a causa del “percorso sinodale”, che ha sul tappeto alcune questioni di grande importanza come il celibato obbligatorio dei preti, l’accesso al sacerdozio delle donne, la sessualità e altro.
Un altro vescovo tedesco è sceso a Roma per incontrare il papa e sfogarsi: la Chiesa tedesca è alla deriva.
Ci è dato sapere che altre personalità della gerarchia tedesca sono scese a Roma per incontrare alcuni capi di dicasteri e dire che non è vero che in Germania si respira aria di scisma. Viene da chiedersi: uno scisma per l’eventuale abolizione del celibato obbligatorio, che è una norma disciplinare? È ridicolo.
Accadde in Transilvania
Uno sguardo alla storia della Transilvania può illuminare anche coloro che paventano uno scisma. Partiamo da lontano: dalla Transilvania. Verso la fine del XIII secolo i re ungheresi iniziano la repressione sui romeni del sud dei Carpazi. La penetrazione magiara è lenta e dura più di tre secoli. Fin dai tempi di santo Stefano (997-1038), il re che pose le basi dello stato cattolico ungherese con l’appoggio del papa, in Transilvania si fa ogni tentativo per convertire i romeni ortodossi alla fede cattolica. Misure anti ortodosse vengono adottate dal re Ladislao (1272-1290) e poi da Luigi d’Angiò (1342-1382), temperate sotto il regno di Mattia Corvino, che proveniva da una famiglia romena ortodossa della Transilvania.
Nel 1526 gli ungheresi subiscono la dominazione degli ottomani e la Transilvania accetta la sovranità delle Porta, restando principato autonomo, ma vassallo. Dopo il 1541, molti nobili magiari si stabiliscono in Transilvania.
È il tempo della Riforma protestante. Luteranesimo e calvinismo prendono piede, ma la maggioranza della popolazione della Transilvania resta ortodossa.
Nel 1683 il principato autonomo della Transilvania passa sotto la dominazione degli Asburgo cattolici. L’imperatore Leopoldo I d’Asburgo con il Diploma dà una vera organizzazione alla Transilvania: principato autonomo, retto da un governatore eletto dalla Dieta e confermato dalla corte di Vienna; le religioni ammesse sono la cattolica, la luterana, la calvinista e l’unitariana.
Gli Asburgo mirano all’espansione del cattolicesimo e si avvalgono soprattutto dell’opera dei gesuiti, per lo più ungheresi, ritornati in Transilvania al seguito della casa imperiale.
L’imperatore Leopoldo con la Risoluzione del 1698 offre ai romeni la possibilità di scegliere una delle quattro religioni. Lo stesso anno il cardinale Leopoldo Kollonich, arcivescovo di Esztergom e primate d’Ungheria, lancia un “manifesto” ai preti romeni transilvani: solo coloro che accetteranno la dottrina cattolica nella sua integrità beneficeranno dei privilegi della Chiesa e dei preti di rito latino. La quasi totalità dei preti e dei fedeli resta però attaccata all’ortodossia.
I preti “uniti”
In un Diploma del 1699 l’imperatore si dichiara soddisfatto dell’unione dei romeni, dei greci e dei ruteni alla Chiesa di Roma. Ai preti “uniti” (un tempo venivano erroneamente chiamati “uniati”, ndr) vengono accordati tutti i privilegi e vengono esentati dalle imposte come i preti di rito latino.
Il Secondo Diploma leopoldino (19-30 marzo 1701) è ritenuto il vero atto di fondazione della Chiesa greco-cattolica in Transilvania. I quindici articoli garantiscono alla Chiesa e ai preti uniti, che possono contrarre matrimonio prima di essere ordinati presbiteri e mantenere la spiritualità e la liturgia tipiche dell’ortodossia, gli stessi privilegi dei preti di rito latino: esenzione dalle imposte, dalle tasse doganali, dalle decime per le terre delle chiese. Articolo 3: Gli uniti sono considerati cittadini uguali agli altri e non come “tollerati”. Articolo 5: La Chiesa greco-cattolica viene fatta dipendere dall’arcivescovo ungherese di Esztergom.
Un gesuita viene chiamato a controllare l’attività dei vescovi. L’imperatore si definisce “padrone supremo” della Chiesa greco-cattolica con il diritto di nominare i vescovi. L’imperatrice Maria Teresa nel 1746 nomina quattro “protettori”, che instaurano un regime di oppressione nei confronti del clero e dei fedeli romeni ortodossi, che si oppongono alla Chiesa greco-cattolica. Da un censimento del 1762 emerge che più di 500 chiese degli ortodossi passano agli uniti. Decine di monasteri ortodossi vengono dati alle fiamme. Molti gli arresti, le esecuzioni capitali, le distruzioni di interi villaggi ortodossi.
Per portare i romeni a convertirsi al cattolicesimo e soprattutto per sottomettere la Chiesa romena di rito greco-cattolico al controllo e agli interessi dell’Ungheria – nel 1867 la Transilvania veniva ammessa al regno ungherese contro la volontà dei romeni – il governo di Budapest crea nel 1912 la diocesi greco-cattolica magiara di Hajdudorog.
Il papa Pio X con la bolla Christi fideles graeci approva l’8 maggio 1912 la richiesta del governo austro-ungarico di erigere questa diocesi sovvenzionata dallo stato. Viene posta sotto la giurisdizione dell’arcivescovo latino di Esztergom, benché canonicamente dovesse dipendere dal vescovo greco-cattolico di Oradea o di Gherla.
All’opposizione il governo magiaro risponde con la forza: intellettuali e preti vengono imprigionati. La Chiesa greco-cattolica conosce una grande espansione nella prima metà del XX secolo. Il 1° dicembre 1948 viene soppressa e messa fuori legge. Contava più di 2 milioni di fedeli, 2.000 parrocchie, 2.500 chiese, 3 seminari con più di 300 seminaristi, un’accademia teologica, 9 istituti religiosi, 20 scuole con oltre 3.000 alunni, 4 istituzioni caritative.
Dal 1948 fino al dicembre 1989 (caduta della dittatura comunista di Ceausescu), ha avuto 12 vescovi imprigionati, praticamente tutta la gerarchia greco-cattolica, 500 preti e 20-30 mila fedeli incarcerati, e moltissimi obbligati a passare alla Chiesa ortodossa. Molti hanno resistito e si sono rifugiati nelle chiese cattoliche di rito latino di lingua ungherese, che godevano di una certa libertà di azione.
Il pensiero del vescovo Bercea
Lascio la parola al vescovo greco cattolico di Oradea, Virgil Bercea, incontrato qualche anno fa: «I nostri preti uniti lavoravano e clandestinamente celebravano e amministravano i sacramenti in un’intera zona; altri fedeli ascoltavano la messa in rito greco-cattolico alla Radio vaticana e altri andavano dai latini. Tanta gente si è raggruppata attorno alle suore o a persone più preparate. Poi, quando, nel 1964, i nostri sacerdoti sposati e religiosi sono usciti dalle carceri, è cominciata una nuova fase di riorganizzazione della Chiesa clandestina.
Giovani e adulti sposati sono stati ordinati sacerdoti; si celebrava nelle case e negli appartamenti dei fedeli; si preparavano i bambini alla prima comunione; si celebravano i matrimoni nelle case e si facevano le sepolture quasi pubblicamente. I nostri vescovi, usciti dalle carceri, erano molto coraggiosi. Tutti hanno riconosciuto nel vescovo Alexandru Todea, che passò 27 anni in isolamento forzato, il capo nella nostra Chiesa greco-cattolica. Metropolita di Braj, Fagaras-Alba Iulia, fu creato cardinale nel 1992 da Giovanni Paolo II. La vita della Chiesa era molto intensa e i nostri preti con le loro mogli lavoravano con coraggio e totale dedizione».