«Voi, più di ogni altro!». Con queste parole papa Paolo VI affidava ai fedeli della diocesi di Trento, giunti a Roma per l’udienza dell’8 marzo 1964, uno speciale mandato ecumenico.
«Al tempo del Concilio la città di Trento, scelta per facilitare l’incontro, per far da ponte, per offrire l’abbraccio della riconciliazione e dell’amicizia, non ebbe questa gioia e questa gloria. Essa dovrà averne, come noi, come tutto il mondo cattolico, sempre il desiderio. Essa dovrà assurgere a simbolo di questo desiderio, oggi ancora, oggi più che mai, vivo, implorante, paziente, pregante. Essa dovrà con la fermezza della sua fede cattolica non costituire un confine, ma aprire una porta; non chiudere un dialogo, ma tenerlo aperto; non rinfacciare errori, ma ricercare virtù; non attendere chi da quattro secoli non è venuto, ma andarlo fraternamente a cercare».
Parole che hanno segnato l’inizio di un impegno perché la città di Trento e l’intera diocesi – forte anche della sua posizione geografica che storicamente ha sempre costituito un ponte naturale fra il mondo germanico e quello latino, ma negli anni dell’Impero austro-ungarico anche tra Est e Ovest, e quindi tra l’area cattolica, ortodossa e della Riforma – è stata in questi anni parte attiva nel cammino del dialogo ecumenico globale.
È a Trento, nel Duomo, già sede del Concilio, che nel 1974 si sono ritrovati cattolici e luterani, per la prima volta dopo la Riforma, a pregare insieme. È sempre nello stesso Duomo che nel 1984 (7 ottobre) esponenti della Chiesa cattolica (guidati dal card. Cè, allora patriarca di Venezia e vicepresidente CEI, presente anche il card. Basil Hume arcivescovo di Westminster a Londra), ortodossa e delle Chiese riformate si sono radunati, attorno al Crocifisso testimone dello storico Concilio, per recitare il Credo – per la prima volta insieme dal XVI secolo! – e scambiarsi abbracci di pace. E ancora a Trento sono stati di casa tre pionieri del dialogo come i cardinali Franz König di Vienna e Paul Poupard e Walter Kasper del Pontificio Consiglio per l’unità. A Trento sono arrivati patriarchi ortodossi come Nikodim, metropolita di Leningrado o Alessio II di Mosca, ma delegazioni trentine in questi anni si sono portate in Russia, Bielorussia e Turchia (a Istambul più volte dal patriarca Bartolomeo I e prima da Demetrio cui nel 1981 avevano fatto dono delle reliquie dei figli di Cappadocia martiri in Trentino nel 997 e ora compatroni diocesani insieme a san Vigilio).
E questo grazie soprattutto alla lungimiranza pastorale (nel 1979 a Trento nasceva anche il Centro diocesano famiglia con uno specifico delegato) di un arcivescovo come Alessandro Maria Gottardi che già nel 1968 (25 gennaio) istituiva un’apposita Commissione ecumenica e l’affidava a don Dante Clauser, parroco di San Pietro a Trento e fin da quegli anni un prete di frontiera (più tardi aprirà un Centro di accoglienza per i senzatetto e poi immigrati).
Ricordare per guardare avanti
A 50 anni di distanza l’evento è stato ricordato solennemente sabato 21 gennaio presso il Vigilianum, il polo culturale della diocesi trentina alla presenza dell’arcivescovo Tisi e di alcuni membri di ieri e di oggi della Commissione. «Non un nostalgico amarcord, bensì uno sguardo in avanti» ha premesso l’attuale delegato, don Andrea Decarli (già assistente nazionale della FUCI). Ecco allora che la motivazione di fondo non può essere che la gratitudine per tutte quelle persone che in questi anni si sono spese nella promozione del dialogo. Sulla stessa lunghezza d’onda anche don Cristiano Bettega, il trentino che dal 2013 è direttore dell’Ufficio nazionale della CEI per l’Ecumenismo e il dialogo interreligioso, che, nato nel 1967, 50 anni fa balbettava solo le prime parole, ma che si è detto «orgoglioso di essere figlio della Chiesa di Trento, una comunità così aperta al dialogo e al confronto».
È toccato ad Alessandro Martinelli – il laico che dal 1989 costituisce quasi l’emblema stesso dell’ecumenismo diocesano (avendo lavorato con i precedenti delegati, don Silvio Franch e don Antonio Sebastiani) – ripercorrere con 50 scatti mezzo secolo di ecumenismo targato Trento.
Senza dimenticare un prologo di fondamentale importanza: un intervento a Trento, nel 1963 presso la scuola diocesana Celestino Endrici del cardinale Agostino Bea che prefigurava un cammino ecumenico ineludibile e l’azione tenace dello storico trentino, mons. Iginio Rogger, che il 28 ottobre 1965 chiudeva ufficialmente la vicenda del piccolo Simonino (una leggenda metropolitana che raccontava dell’uccisione di un bambino ebraico, fino ad allora pure venerato come beato, nata in epoca di scontro fra religioni).
Segno dei tempi, di una società trentina, come del resto europea, ormai multietnica, multiculturale e multireligiosa, l’inserimento, a fianco del dialogo ecumenico, di quello interreligioso. «Oggi, forse, non abbiamo più bisogno di viaggi per incontrare altre culture e religioni, le abbiamo già qui fra noi», diceva Martinelli che aggiungeva «Oggi la sfida non è più quella di essere “tessitori di dialogo”, come per anni è stato definito il delegato Franch, bensì diventare “tracciatori di senso” in una società dove tutte le religioni hanno ancora qualcosa da offrire». Del resto è dal 2000 che è stato aperto un Centro buddista a Bosentino a pochi km dalla città e nel 2010 a Borgo Sacco la chiesa di Sant’Anna è stata ceduta alla comunità ortodossa che l’ha completamente trasformata per il culto orientale, ma nel 2001 è stato istituito il Tavolo delle Appartenenze Religiose e nel 2011 una festa ebraica è stata celebrata all’interno del giardino vescovile.
Cronaca di oggi è la reciproca lavanda dei piedi avvenuta nel duomo del Concilio lo scorso 6 ottobre in occasione delle celebrazioni per i 500 anni della Riforma nel corso di una preghiera ecumenica alla presenza dei 200 partecipanti al convegno «Che cosa ci ha lasciato Martin Lutero?», promosso congiuntamente dalla Chiesa evangelica luterana in Italia (CELI) e dall’Ufficio nazionale per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso (UNEDI) della CEI. Protagonisti dell’atto dalla forte valenza altamente simbolica, l’arcivescovo Lauro Tisi, e il vescovo luterano Karl-Hinrich Manzke di Schaumburg-Lippe, responsabile della Chiesa evangelica luterana unita di Germania (VELKD) per le relazioni con la chiesa cattolica. «Lo spirito Santo è il dono di Dio che ci rende sorelle e fratelli nella fede, liberi e responsabili di fronte a Dio e al mondo», aveva dichiarato il vescovo Manzke.
Il racconto dei testimoni
Gianfranco Azzolini, membro della Comunità di San Valentino di Ala, il solo membro della Commissione iniziale, è stato il primo testimone chiamato a raccontare la sua esperienza: «Non capisco ancora perché il vescovo Gottardi abbia scelto uno come me, ma so anche che è stata Maria Vingiani (fondatrice nel 1966 del SAE, il Segretariato attività ecumeniche che successivamente si riuniva annualmente al Passo della Mendola) a fare il mio nome. Non ero competente, ma avevo la teologia di un “povero cristiano”».
«Le cose, talvolta, nascono del tutto casualmente» spiegava Paolo Rasera, già dirigente nella scuola trentina, rievocando come tutto era partito da un’idea del suo cappellano, don Valerio Piffer, di accompagnare negli anni ’70 un gruppo di giovani della parrocchia a Taizé e, al loro rientro, il parroco del Santissimo, don Alfredo Bertolini, acconsente ad affidare a quei giovani la preghiera settimanale nella cripta sotto l’altar maggiore. Il vescovo Gottardi, appresa l’iniziativa, invitava il gruppo – fra essi anche Fabio Garbari ora missionario gesuita – ad andare in periferia per aiutare la preghiera sul territorio (a Sanzeno nel frattempo era nato il Gruppo Samuele). A Taizè quei giovani avevano incontrato, estate dopo estate, pionieri del dialogo come il vescovo di Recife, il brasiliano dom Hélder Pessoa Câmara, ma soprattutto hanno imparato uno stile di vita, come ricordava il prof. Rasera in riferimento anche ad uno dei luoghi, come la scuola, dove è necessario aprire un dialogo e, sempre più spesso, rompere i muri fra le generazioni: «vivere con la facilità di incontrarsi e ascoltare».
È questa la vera sfida di oggi, l’ecumenismo del quotidiano, come l’ha definito Maria Teresa Pontara Pederiva – la prima presidente laica, dal 1986, di un organismo diocesano che ha sottolineato come il discorso ecumenico si sia inserito in quella straordinaria esperienza umana e culturale che era il Centro Bernardo Clesio, luogo di aggregazione di tanti giovani “pensosi” – ricordando le parole di don Silvio Franch: «L’ecumenismo della gente precede i vertici». Perché, a ben guardare, al di là dei Convegni e delle discussioni a livello alto che fanno parte del cammino della Chiesa di Trento (come gli Incontri che si sono tenuti a Riva del Garda, il III Incontro ecumenico europeo del 1984 o la Conferenza Mondiale delle Religioni per la Pace) il metodo, se si può chiamare così, avviato dal vescovo Gottardi con la costituzione di un’apposita Commissione e di uno specifico delegato si colloca sulla linea che oggi ci indica il Papa: l’instaurarsi di una fitta rete di relazioni, di incontri personali, visite reciproche e soprattutto un’azione decisa di promozione al dialogo è andata avanti negli anni e continua ancora oggi.
Così la presenza del patriarca Bartolomeo I all’insediamento di papa Bergoglio (1° volta dallo scisma d’Oriente!), l’incontro a Cuba con il patriarca di tutte le Russie Kirill, la visita a Lund in Svezia … rappresentano quasi uno specchio a livello alto dei tanti incontri, visite, gemellaggi che la diocesi di Trento ha registrato in questi anni («tutt’altro che a livello “rasoterra”»).
L’ecumenismo del quotidiano
Francesco si esprimeva così in un’udienza del mercoledì (8 ottobre 2014), ma lo stesso pensiero l’ha ribadito anche altrove (oltre che messo in pratica): «In tutte le comunità ci sono bravi teologi: che loro discutano, che loro cerchino la verità teologica perché è un dovere, ma noi camminiamo insieme, pregando l’uno per l’altro e facendo opere di carità. E così facciamo la comunione in cammino. Questo si chiama ecumenismo spirituale: camminare il cammino della vita tutti insieme nella nostra fede, in Gesù Cristo il Signore».
Le Costituzioni del Sinodo diocesano di Trento (1985) recitano: «La cura di ristabilire l’unità riguarda tutta la Chiesa, e in essa ognuno secondo le proprie capacità» (N. 1,31). «È questa la lezione che ci viene dal nostro cammino ecumenico diocesano: ciascuno faccia la sua parte. Perché sono soprattutto le relazioni, i contatti personali che diventano indispensabili nella nostra società – diceva Pontara Pederiva da genitore, insegnante e giornalista – occorre non temere il dialogo perché è solo ascoltando racconti di altri, con sensibilità diverse, culture divere e religioni diverse, è possibile sentirci figli di un unico Padre. E allora per ciascuno di noi sarà lo straordinario che diventa ordinario. Non tutti sono chiamati a scalare una montagna. C’è chi ha collezionato gli Ottomila e chi fatica a fare una passeggiata … Chi tra i monti ci vive non teme di mettersi in marcia, di primo mattino, con passo regolare e paziente, valutando le proprie forze e procedendo con umiltà. Nel linguaggio della montagna gli strapiombi si chiamano pareti, come dire muri, invalicabili. Eppure non c’è monte che non venga prima o poi spianato dalle forze della natura (le nostre belle Dolomiti scompariranno tra qualche migliaio di anni), come non c’è muro che non possa venire abbattuto, vetta che non sia stata raggiunta. Unità che non possa essere ritrovata.
Papa Francesco ci invita a superare: “il muro dell’indifferenza” che impedisce di vedere quanti ci vivono accanto, e molto spesso soffrono più di noi. Alcuni costruiscono muri, noi cerchiamo di superare quelli che già esistono».
E poi un’immagine per indicare il cammino che continua: i giorni della vita scorrono come l’acqua di un torrente di montagna che precipita a valle. L’acqua non ha tempo di voltarsi indietro, ma il ghiacciaio che l’ha generata, costituisce una solida sicurezza. Il presente è l’unico istante che ci è concesso di vivere, in ozio o in servizio, e così aggiungere giorni ai giorni decidendo se di vita o di morte
Un ambito che sappiamo tutti essere condiviso a livello ecumenico (anzi che i nostri fratelli ortodossi hanno sviluppato ben prima di noi, a partire dalla 1° Assemblea ecumenica di Basilea del 1989) è la custodia del creato e l’ha ribadito papa Francesco in questi giorni incontrando il popolo dell’Amazzonia peruviana: viviamo nella casa preparata dallo stesso Padre per tutta l’umanità eppure siamo i principali responsabili del cambiamento climatico e del degrado del pianeta. È tutto nostro il saccheggio delle sue risorse, dimenticando la loro destinazione universale. Consumiamo e sprechiamo cose, eventi, persone, cavalchiamo con indifferenza l’onda di ogni riflessione e autocritica, adducendo ogni alibi che la fantasia ci suggerisce.
L’economista Becchetti ci ricorda che noi soli possiamo sciogliere le catene che ci han resi schiavi degli insostenibili stili di vita, modelli di produzione e schemi di consumo che il nostro mondo ha sviluppato e invertire la rotta, abbandonando la maschera triste dell’Homo oeconomicus.
Ecco allora l’attraversare i giorni con la sapienza di riconoscere e abitare il limite, vivere con responsabilità nel creato – che ci appartiene, come a tutti i fratelli – attingendo solo quanto basta alle nostre necessità e recuperando come famiglie la libertà di scelte di sobrietà. Far pace con il creato, preoccuparsi delle sorti del pianeta e dei suoi abitanti: guardare il cielo e percepire la terra. Riscoprire il senso dell’”abitare insieme”, allontanando altre catene, quelle del nostro io.
È ancora quell’ecumenismo delle relazioni e della solidarietà, prima ancora delle discussioni teologiche, cui ci invitano i leader delle chiese cattolica (CCEE) e riformate (KEK) nel loro messaggio per la Settimana 2018: «L’unità si fortifica attraverso: la solidarietà con i nostri fratelli cristiani che vivono in condizioni di indigenza, di solitudine e di emarginazione; la solidarietà con i nostri fratelli cristiani perseguitati per la loro fede, in particolare in Medio Oriente, in Africa e in Asia; la solidarietà con i nostri vicini che giungono alle porte dell’Europa».
«Riportare Dio nel dibattito pubblico»
Su questa linea l’appello dell’arcivescovo Lauro (che ha definito la Preghiera in stile Taizé e i viaggi in Francia «la realtà ecclesiale oggi a Trento più importante»): un invito a ripartire, a lasciarci interrogare dai racconti della mattinata. Ma, secondo il pastore di Trento, nel contesto attuale si può dire che «siamo all’anno Zero» in quanto «sia il tema ecumenico che il tema di Dio sono del tutto assenti dal dibattito pubblico» e tutti sono chiamati a modificare questa realtà, anche perché «il mondo giovanile fatica non poco a percepire la questione ecumenica». «Se Dio potrà tornare nel dibattito pubblico – dichiarava il vescovo di Trento ricordando il momento dell’ordinazione episcopale con l’imposizione del Vangelo – questo non sarà certo per merito di qualche illuminato teologo, ma per la testimonianza di quanti vivono la Parola di Dio».
Annunciando un impulso sempre maggiore per la diffusione di Gruppi della Parola, sia a livello di giovani che di adulti, Tisi riconosceva che «oggi la partita ecumenica si gioca con quella dell’accoglienza, perché le due questioni non possono essere separate».