Il convegno “Cattolici e protestanti a 500 anni dalla Riforma. Uno sguardo comune sull’oggi e sul domani” (Trento, 16-18 novembre) ha raccolto circa 400 persone da molte diocesi italiane. Organizzato dalla Federazione delle Chiese evangeliche in Italia e dall’Ufficio nazionale CEI per l’ecumenismo e il dialogo, si è caratterizzato non come memoria storica su quanto successo nel XVI secolo, ma sulla condizione attuale delle relazioni ecumeniche nel nostro paese e sul loro possibile sviluppo. Una tavola rotonda, una decina di relazioni, un paio di lectio bibliche, un evento musicale, le preghiere in aula e la preghiera ecumenica (in duomo) hanno dato forma all’appuntamento. I testi sono già per gran parte recuperabili nel sito della CEI. Mi limito ad alcune impressioni generali.
L’arcobaleno protestante. Una partecipazione significativa
Credo sia la prima volta che i protestanti italiani siano così ampiamente rappresentati in un convegno CEI. Non solo come numeri, ma anche come appartenenze a famiglie diverse dell’ambito riformato. Nell’iniziale tavola rotonda hanno partecipato H. Bludau, della Chiesa luterana (CELI), P. Gajewski, dei valdesi, C. Napolitano, preside della facoltà pentecostale di scienze religiose, D. Romano, pastore avventista, R. Volpe, pastore battista. Una chiesa come quella luterana in Italia nata formalmente nel 1949 accanto ai valdesi che rimontano al XIII secolo, a fianco dei pentecostali in forte sviluppo e degli avventisti che non arrivano a dieci mila appartenenti, mentre i battisti si rifanno al Risorgimento italiano, oltre che alla Riforma e alle comunità inglesi del XVIII secolo.
Una varietà di sigle e di storie che, collocate sul pluralismo religioso attuale illustrato da P. Naso, E. Bernardini e accennato da A. Maffeis, mostrano un mutamento significativo nell’ambito delle fedi in Italia. Se, nel 1931, i cattolici erano il 99,6% e gli a-cattolici lo 0,4%, oggi i protestanti sono circa 700.000, accanto a quasi due milioni di musulmani e 1.700.000 ortodossi. Un mutamento che gli oltre cinque milioni di immigrati hanno contribuito ad alimentare.
Fra relatrici e moderatrici ho contato una decina di donne. Una proporzione inabituale. Con contributi niente affatto marginali. Non è stata solo una questione di rappresentazione, ma di dare evidenza a un contributo decisivo, spesso marginalizzato nella pastorale ordinaria cattolica.
Sul ministero ordinato – come uno dei punti critici dell’attuale condizione ecumenica – sono tornati diversi interventi. In particolare, sull’ordinazione femminile, considerata «un grande dono di Dio e uno dei maggiori contributi protestanti all’ecumene cristiana», ha insistito il decano della facoltà valdese F. Ferrario. Il suo è stato l’intervento più esplicito sul versante dei nodi teologico-morali ancora aperti.
Patrimonio comune
Sorprendentemente ampio il patrimonio comune. Non si tratta solo del fondamentale riferimento alla Scrittura, ma anche del patrimonio di preghiere (si usavano indifferentemente preghiere delle diverse tradizioni cristiane), di musica sacra, di tradizione liturgica, di concezioni storiche e antropologiche comuni, seppure nelle diverse declinazioni. Molto evidente in particolare davanti alle diverse appartenenze religiose ormai stabilmente presenti nel paese.
Il monaco G. Dotti ha fatto leggere il passo biblico all’amico valdese sulla traduzione di Diodati, il commento iniziale a 2Cor 5,14-21 è stato affidato in significativa sintonia alla battista A. Maffei e alla cattolica M. Perroni. Se si entra nei particolari delle posizioni teologiche e bibliche (rimando alla relazione di B. Forte o alla presentazione di C. Napolitano), gli accenti sono diversi, ma considerati a una certa distanza Lutero «è uno dei nostri» e papa Francesco è prezioso per tutti.
Fraternità ed eucaristia
Succede che gli ebrei siano ospiti di riguardo anche quando sono assenti, come – in negativo – l’antisemitismo vigoreggia anche in assenza di comunità ebraiche. Due relazioni (il valdese D. Garrone e mons. A. Spreafico) sono state dedicate all’esperienza del dialogo ebraico-cristiano.
Il valdese Garrone ha collocato le truculente proteste di Lutero contro gli ebrei per la mancata rilettura cristologica dell’Antico Testamento che il riformatore non trovava nei testi originali e ha ricostruito la progressiva percezione della Shoah nelle Chiese protestanti tedesche a partire dal 1946.
Mons. Spreafico ha letto parallelamente il cambiamento di prospettiva cattolica a partire dal Vaticano II rilanciando la questione della «dissimmetria» nel dialogo (i cristiani hanno bisogno degli ebrei, gli ebrei hanno bisogno dei cristiani?), con le risposte fornite da Maimonide (XII sec.) e da E. Korn in un volume recente.
Un ottimo clima
Il clima fra i partecipanti è stato molto fraterno e sereno. Favorito dai servizi e dal contesto che la Chiesa tridentina ha fornito, ma anche dalla consuetudine di molti al dialogo reciproco. Quasi a identificare una galassia di persone che, al di là dei confini delle reciproche appartenenze, partecipa di fatto a una comunione sincera. Il richiamo alla mensa comune suonava con qualche insistenza e pertinenza. Anche gli inviti all’accelerazione, a non accontentarsi di quanto costruito (Melloni, Maffeis), trova conferma nell’opera comune cattolico-metodista/valdese per i corridoi umanitari dalla Siria e dal Libano. Uno dei momenti più commoventi è stata la testimonianza di alcuni profughi collocati in città.
Nella sintesi finale di L. Negro (Federazione Chiese evangeliche in Italia) e C. Bettega (direttore dell’Ufficio CEI per l’ecumenismo e il dialogo) si intravedevano i compiti futuri: un organismo di rappresentanza sistematica a livello nazionale, il prosieguo sul catechismo per i matrimoni interconfessionali, il prolungamento delle azioni caritative comuni, l’allargamento alle Chiese ortodosse operanti in Italia.