Dal 27 febbraio la tregua in Siria sembra funzionare. Il convergente interesse di Russia e Stati Uniti ha reso effettivo il «miracolo» del mediatore ONU, Staffan De Mistura. Anche se niente è ancora assodato. A questo si aggiunge l’annuncio ufficiale di V. Putin del ritiro delle forze armate russe che «hanno svolto il compito loro assegnato». La relativa distensione siriana fa riemergere la «guerra dimenticata» dell’Ucraina che, secondo molti esperti, è l’altro fulcro di una possibile detonazione internazionale. Anche in questo caso, solo un accordo Russia – Stati Uniti, col consenso ucraino, europeo e cinese, può permettere le trattative e l’interesse di tutti. Come ha detto R. Prodi: «Anche se contrarie a principi più volte proclamati e a prese di posizione lungamente ribadite, le trattative sono l’unica soluzione possibile».
Sul caso ucraino non vi è solo la necessità di rimuovere una disattenzione poco innocente, ma anche di capire alcuni elementi attivi dietro le quinte dello scontro bellico, della difficile convivenza fra le Chiese e della politica locale. La cartina di tornasole da cui partire è la dichiarazione firmata a Cuba da papa Francesco e dal patriarca di mosca, Kirill. I punti 24-27 riguardano la tensione fra le Chiese ortodosse e quelle cattoliche e la posizione di ciascuna nei confronti della Russia e della guerra in atto. L’invito a «imparare a vivere assieme», senza ricorrere a mezzi sleali per «incitare i credenti a passare da una Chiesa all’altra», a considerare l’uniatismo come un modo sbagliato di risolvere i rapporti fra le Chiese, ad «astenersi dal partecipare allo scontro» civile e militare e a superare lo scisma fra gli ortodossi «sulla base delle norme canoniche esistenti», è suonato come un eccessivo consenso alle tesi della Chiesa ortodossa russa e degli interessi di quel paese. La reazione nelle Chiese cattoliche nei paesi ortodossi è stata piuttosto critica e l’arcivescovo maggiore dei greco-cattolici ucraini, mons. Sviatoslav Shevchuk ha detto: «Molti hanno preso contatto con me e mi hanno detto che si sentono traditi dal Vaticano, delusi dalla natura di mezza verità di questo documento, che vedono come appoggio indiretto della Sede Apostolica all’aggressione russa contro l’Ucraina». Il papa ha risposto direttamente nel viaggio di ritorno dal Messico distinguendo il piano dogmatico ed ecclesiale – del tutto condiviso – da una lettura su fatti contingenti che può divergere o svilupparsi secondo sensibilità più legate alla situazione locale (17 febbraio). L’incontro fra papa Francesco e i vescovi ucraini ha molto smussato le divergenze e ha mostrato le gravi tensioni a cui è stato sottoposto Kirill per aver accettato l’incontro. Ne ha parlato su Settimananews Anatoly Krasikov, direttore del Centro degli studi religiosi e sociali presso l’Accademia russa delle scienze. Ha ricordato le critiche dei radicali ortodossi, del Sobor degli intellettuali ortodossi, del sito Mosca la Terza Roma, del confessore di Puntin, Tikhon Scevkunov. Del resto è noto che parlare di rinascita ortodossa in base al numero delle chiese e dei monasteri lascia qualche perplessità se confrontata con il 2-3% della frequenza ai riti domenicali.
Tensioni tra Chiese ortodosse e greco-cattolica…
Tornando ai rapporti degli uniati ucraini con le Chiese ortodosse riemergono costantemente i differenti giudizi sulla storia anche recente, come lo pseudo-sinodo di Leopoli (8-10 marzo 1946) in cui si decise la forzata riunificazione della Chiesa greco-cattolica ucraina all’ortodossia russa. Si può citare una posizione duramente autocritica di alcuni rappresentanti ortodossi occidentali e orientali, certamente non apprezzati a Mosca. Questo gruppo di ortodossi impegnati nell’ecumenismo scrive: «Il 10 marzo 1946 a Lviv (Leopoli), in seguito alle pressioni esercitate dal potere sovietico, la Chiesa ortodossa russa ha annesso a sé di autorità la Chiesa greco-cattolico ucraina. Allorché l’8 e il 9 marzo i partecipanti al sinodo votarono per la “riunificazione” della loro Chiesa con il patriarcato di Mosca, tutti i vescovi greco-cattolici ucraini si trovavano rinchiusi in prigione… Gli storici e i teologi non nutrono dubbio alcuno sul fatto che il sinodo di Lviv abbia rappresentato una messa in scena… (facendo della Chiesa greco-cattolica) la vittima principale, ma al tempo stesso la principale forza di opposizione al regime sovietico all’interno delle frontiere dell’URSS. Noi chiediamo dunque alle autorità ortodosse attuali in Russia, in Ucraina e altrove di riconoscere nulle le tragiche decisioni del concilio di Lviv». Non diverso nella sostanza, ma più proteso al futuro è il messaggio di papa Francesco all’arcivescovo maggiore: «La Chiesa greco-cattolica ucraina in questi giorni commemora i tristi avvenimenti del marzo 1946. Settant’anni or sono, il contesto ideologico e politico, nonché le idee contrarie all’esistenza stessa della vostra Chiesa, portarono all’organizzazione di uno pseudo-sinodo, provocando nei pastori e nei fedeli decenni di sofferenze. Nel ricordo di tali eventi, chiniamo il capo con profonda gratitudine di fronte a coloro che, anche a prezzo di tribolazioni e persino del martirio, nel corso del tempo hanno testimoniato la fede, vissuta con dedizione nella propria Chiesa e in unione indefettibile con il successore di Pietro. Al contempo, con occhi illuminati dalla stessa fede, guardiamo al Signore Gesù Cristo, riponendo in Lui, e non nella giustizia umana, ogni nostra speranza. È Lui la fonte vera della nostra fiducia per il presente e per il futuro, essendo noi certi di essere chiamati ad annunciare il Vangelo anche in mezzo a qualsiasi sofferenza o difficoltà» (6 marzo 2016).
… nella Chiesa greco-cattolica
Entrando più direttamente nella Chiesa greco-cattolica, che con 5 milioni di fedeli (su 46 della popolazione complessiva) e l’autorevolezza della sua storia di martirio costituisce un riferimento per l’intero paese, si incontra un nucleo problematico relativo all’identificazione con il sentimento nazionale. Esso è declinato dagli interessati, non senza ragioni, come la capacità di interpretare le esigenze profonde del popolo, ma può essere letto da altri come un cedimento improprio al nazionalismo e una insuperabile contrapposizione con la Russia, sia politica che ecclesiastica. Commentando uno dei momenti di massimo scontro fra il popolo di piazza Maidan (luogo emblematico della resistenza all’allora governo filo-russo) e le forze di polizia e dei servizi segreti, l’arcivescovo maggiore, Sviatoslav Shevchuk il 27 gennaio 2014 così diceva: «Ho l’impressione che oggi le autorità in realtà non abbiano capito pienamente che non stiamo parlando di piccoli gruppi radicali spontanei (come li chiamano loro): questo non è neppure un conflitto politico tra il governo e l’opposizione. Questo è un conflitto tra il governo e il popolo ucraino. Milioni di persone non possono essere chiamati estremisti! Sono milioni di cittadini ucraini che il governo dovrebbe rispettare e ascoltare. In secondo luogo, noi, il clero, abbiamo un’occasione unica. Ogni giorno ascoltiamo il cuore di questa gente, i suoi dolori, le sue lacrime, le ingiustizie subite. Conosciamo il cuore della nostra nazione! La nostra nazione è saggia, longanime, ma questo non significa che accetti l’ingiustizia, la nostra gente è davvero gelosa della propria dignità. E così quello che sta accadendo oggi, non è più Euromaidan (cioè il desiderio di far parte in qualche modo dell’Europa). Questa è una rivoluzione della dignità in tutta l’Ucraina indipendente. E finché sia l’autorità che l’opposizione o eventuali partiti politici, chiunque essi siano, vogliono rappresentare questa nazione e non rispettino il senso della dignità delle persone, non ne avranno mai la fiducia». La Chiesa cattolica di rito latino (che non si limita più a raccogliere la minoranza polacca, ma alla quale si rivolgono, soprattutto nel Centro-Est, non pochi fedeli autoctoni) e diversi osservatori imputano agli uniati una contrapposizione radicale con la Russia. Senza ignorare le violazioni del diritto internazionale e il sostegno alla guerra da parte della Russia, ritengono di non dover correre il rischio di considerare l’Ucraina occidentale come l’unica vera Ucraina, col dovere di far convivere l’anima filo-europea con quella filo-russa. Guardare con simpatia alle esigenze di giustizia e dignità di Maidan non significa la glorificazione di ciò che lì è successo, con l’indicazione dei cento morti come la «centuria celeste», ignorando qualche intreccio ambiguo con l’estrema destra, servizi deviati e sovvenzioni di provenienza incerta. Vedere i cappellani militari nelle zone di guerra e coinvolti direttamente in azioni militari fa sorgere qualche perplessità. E questo senza negare la qualità spirituale e l’afflato interiore che si respira a pieni polmoni nelle comunità uniate. Il pericolo è quella di una esposizione politica eccessiva, ma soprattutto di essere in balia della vera forza politica trasversale che sono gli oligarchi, registi occulti di molti avvenimenti sia politici sia bellici.
… e nella Chiesa ortodossa russa
Vanno registrati alcuni cambiamenti anche nelle diverse Chiese ortodosse: quella di obbedienza russa, il patriarcato di Kiev (Filarete) non riconosciuto dalle altre Chiese, e la Chiesa ortodossa erede della diaspora che è già divisa fra un’obbedienza moscovita e una direttamene in capo al patriarca di Costantinopoli, Bartolomeo. L’invasione di Crimea e la guerra hanno molto indebolito la Chiesa ortodossa filo-russa, anche per la scarsa consistenza dei suoi leaders. Vi è un passaggio continuo di comunità parrocchiali fra essa e il patriarcato di Kiev, favorito recentemente anche da un’apposita legislazione. La dichiarazione dell’Avana (Francesco – Kirill) parla di un pericolo di scisma in merito. Pericolo che si raddoppia se avvenisse una esplicita divaricazione anche nelle Chiesa d’oltrefrontiera (quella sostenuta dalla diaspora). Il sentimento anti-russo è molto esteso, ma è un collante troppo fragile non solo in ordine al rapporto patriarcato di Kiev con la Chiesa greco-cattolico, ma anche con l’idea che talora riappare di una sola Chiesa ortodossa nazionale. Di un unico patriarcato, in questo caso in capo alla Chiesa greco-cattolica, aveva parlato a suo tempo il card. Husar, predecessore di Shevchuk, senza però ottenere consensi significativi. Il Patriarcato di Costantinopoli si è sempre mostrato prudente in merito a richieste di “obbedienza” che possano ferire Mosca. Anche se nella storia l’Ucraina e già stata sotto l’autorità di Costantipoli e quindi, agli occhi del Patriarcato di Kiev, sarebbe un ritorno alle radici. Un ginepraio di storie e di tensioni che intercettano le appartenenze religiose, ma anche le questioni politiche e internazionali.
Cambia il potere, non i potenti
Se è complicato il panorama delle fedi è inquietante quello politico. Lo scontro fra maggioranza filo-europea e opposizioni e fra questi e la Russia deve fare i conti con lo scontro e l’intreccio di interessi degli oligarchi. Un acuto osservatore ci ha detto: «Non credo che ci siano oligarchi che si scontrano fra loro. Non ce ne sono alcuni da una parte della barricata e altri dall’altra. Possono dire cose diverse, persino insultarsi, ma vi sono interessi trasversali che li legano. E fra i maggiori pongo i proventi della guerra e il costo della corruzione. La corruzione non è affatto diminuita, mentre è drammaticamente diminuito il prodotto interno lordo ed è cresciuta la povertà». Non solo essi condizionano l’economia e determinano l’andamento dei prezzi, medicinali compresi, ma hanno eserciti personali e potrebbero fronteggiare una rivolta popolare, avviando di fatto una guerra civile. È una rete assai potente, analoga e più efficace di quella politica che è già attiva in molti paesi dell’ex-Unione sovietica. Non è detto che i servizi segreti non ne siano in qualche maniera coinvolti. Qualsiasi lettura dello scontro politico deve tenere conto di questa dimensione imprevista e profonda, a cui si aggiunge la capacità di condizionamento della potente diaspora ucraina nel Nord-America.
In questo contesto la Russia ha avuto un gioco abbastanza facile. L’occupazione della Crimea nel febbraio del 2014 e la dislocazione di truppe (sempre negata) nelle zone orientali del paese è la riedizione di processi già sperimentati. Favorire enclave instabili nelle zone potenzialmente appetibili per l’Occidente. È successo con l’Abkasia, col Nagorno-Karabah, con la Transnistria, con l’Ossezia e ora con l’Ucraina. Lo scopo fondamentale di Mosca è quello di creare una nuova destabilizzazione e di sottrarre le proprie basi militari a possibili influssi dei nuovi arrivati. La Crimea è da sempre una base russa. Sia l’Europa, che ha di fatto abbandonato l’Ucraina al suo destino, sia la Nato, che si presenta minaccioso dai paesi nordici e accoglie il Montenegro a Sud, mostrano scarsa consapevolezza del ruolo che la Russia comunque riveste. Senza per nulla ignorarne le responsabilità. La guerra in Ucraina ha prodotto due milioni di profughi, fra cui un mezzo milione di ragazzi, e decina di migliaia di morti. Vi è un disperato bisogno di aiuti e di pace. Le Chiese ne dovranno essere parte attiva.
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