Il vescovo e l’unità dei cristiani: vademecum ecumenico: con questo titolo il Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani ha presentato il 4 dicembre uno strumento per orientare l’azione ecumenica dei vescovi delle Chiese locali.
Il tono complessivo è quello della conferma dell’indirizzo avviato dal Vaticano II, con una accentuata prudenza, ma anche con la consapevolezza del ruolo della Chiesa cattolica nella complessa galassia delle presenze cristiane nel mondo.
In una sessantina di pagine (ed. Libreria editrice vaticana) e 42 numeri presenta nella prima parte “La promozione dell’ecumenismo nella Chiesa cattolica” e nella seconda “Le relazioni della Chiesa cattolica con gli altri cristiani”.
Il testo è cadenzato con brevi sintesi contenenti le indicazioni pratiche. Ed è completato, nelle ultime venti pagine, da un’utile appendice in cui si elencano le Chiese cristiane che sono in dialogo con la Chiesa cattolica.
Riprendendo il coraggioso passo spirituale dei testi conciliari (Unitatis redintegratio, Lumen gentium) e le encicliche Ut unum sint (Giovanni Paolo II, 1995) ed Evangelii gaudium (Francesco, 2013) il vademecum rinnova e aggiorna per i vescovi il Direttorio per l’applicazione dei principi e delle norme sull’ecumenismo del Pontificio consiglio del 1993.
Dialogo fra i cristiani: dono e responsabilità
L’impegno per l’unità delle Chiese è essenziale per la nostra identità cristiana: «La ricerca dell’unità dei cristiani non è un atto facoltativo o di opportunità, ma un’esigenza che scaturisce dall’essere stesso della comunità cristiana» (Ut unum sint). In un tempo di rinnovate spinte identitarie che attraversano nazioni e corpi sociali e anche le confessioni cristiane, è importante la conferma della centralità del battesimo condiviso e il riconoscimento alle confessioni di essere “mezzi di salvezza” anche se in comunione non completa con la Chiesa cattolica.
Il palpabile rallentamento dell’interesse ecumenico nella varie confessioni non deve oscurare i grandi passi compiuti nella seconda metà del ’900 e la coscienza del cammino ecumenico come dono dello Spirito di Cristo, con la conseguente consegna ricordata da papa Francesco: «camminare insieme, pregare insieme, lavorare insieme».
Il tratto prudenziale e una certa cautela nel cammino sono riconoscibili non solo nel rimando al quadro normativo dei Codici (occidentale e orientale), ma in ripetuti accenni che punteggiano il testo. Al n. 17 si ricorda che alcune comunità non accettano la preghiera comune, al n. 19 che l’apertura ecumenica non è sempre corrisposta e al n. 31 che si deve procedere «con gradualità e precauzione, senza escludere la difficoltà».
Il dato più evidente è la non modifica della condivisione della vita sacramentale (communicatio in sacris) ricondotta all’attuale normativa. «La partecipazione ai sacramenti dell’eucaristia, della riconciliazione e dell’unzione degli infermi dev’essere riservata in generale a quanti sono in piena comunione» con la Chiesa. A parte i casi previsti, come il pericolo di morte o la «grave necessità», non è consentita l’intercomunione. Ai vescovi il compito di riconoscere la condizione di «grave necessità», ma «la condivisione dei sacramenti non può mai avvenire per semplice cortesia».
Le strutture e la tonalità condivisa
Il vescovo come principio visibile di unità non può sottrarsi alla scelta della Chiesa a favore dell’ecumenismo, da declinare secondo una rinnovata istanza sinodale. Fra le strutture istituzionali già previste e, per gran parte, già operative, il documento ricorda la nomina del delegato dell’ecumenismo e della commissione ecumenica diocesana, la collaborazione con le istituzioni ecumeniche e l’invito al sinodo diocesano di rappresentanti delle altre confessioni cristiane.
Al vescovo compete il dovere «di promuovere sia il dialogo della carità che il dialogo della verità». Verità e carità vanno vissute assieme all’umiltà. L’unità non può essere realizzata a detrimento della verità, a sua volta declinata secondo una “gerarchia” di affermazioni in relazione al fondamento della fede cristiana. Con la carità si superano le presentazioni polemiche della storia e nell’umiltà si «impara a ricevere i doni dei nostri fratelli e delle nostre sorelle».
Il testo conferma la dimensione pervasiva dell’ecumenismo sull’insieme della vita cristiana (catechesi, liturgia, carità) e domanda una specifica formazione in merito per gli operatori pastorali, in particolare per i seminaristi e i presbiteri. Aggiunge un’attenzione nuova ai media e al web di appartenenza ecclesiale.
Ferite del passato e compiti del presente
Nella seconda parte, si presentano le declinazioni dell’opera ecumenica: ecumenismo spirituale, il dialogo della carità, della verità e della vita. Quest’ultimo distinto nell’ambito pastorale, pratico e culturale.
A monte vi è la convinzione che l’unità è un dono del Signore e non una conquista nostra. Essa si alimenta a partire dalla preghiera e si attua nella continua conversione e riforma ecclesiale. Come dice il card. W. Kasper: «Soltanto la conversione del cuore e il rinnovamento della mente possono guarire i vincoli feriti di comunione».
Appartiene ormai alla tradizione l’appuntamento della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani che si svolge, in genere, dal 18 al 25 gennaio.
La preghiera diventa più facilmente comune davanti alle necessità del mondo: guerra, povertà, migranti, ingiustizia e persecuzione ecc.
Leggere insieme le Scritture è uno strumento eccellente per il raggiungimento dell’unità. Spesso vi è anche un lezionario comune e una traduzione interconfessionale. È auspicabile la condivisione del ministero della predicazione, lo scambio dell’ambone. I tempi forti dell’anno liturgico possono essere un’occasione propizia come anche la memoria dei santi e dei martiri. Comunità religiose, monastiche o movimenti ecclesiali sono luoghi preziosi di dialogo.
Compito prioritario è la purificazione della memoria storica e il perdono reciproco, come nel caso della remissione delle scomuniche fra Paolo VI e Atenagora nel 1965. Pervenire a una comune rilettura della storia come nel documento in relazione ai 500 anni della Riforma protestante (Dal conflitto alla comunione) è un altro esempio positivo. «Quello che è accaduto nel passato non si può cambiare, ma può invece cambiare, con il passare del tempo, ciò che del passato viene ricordato e in che modo».
Il dialogo della carità sostiene la partecipazione alle strutture che il movimento ecumenico si è dato, lo scambio di messaggi, gli incontri e i gemellaggi.
Il dialogo della verità non è difesa arroccata, ma un gesto di stima all’interlocutore e mira all’unità della fede. «Il dialogo teologico non cerca una minimo comune denominatore teologico sul quale raggiungere un compromesso, ma si basa piuttosto sull’approfondimento della verità tutta intera, che Cristo ha donato alla sua Chiesa e che, mossi dallo Spirito Santo, non cessiamo mai di comprendere meglio».
Il lavoro del Pontificio consiglio nei dialoghi bilaterali e multilaterali, ma anche quello di numerose commissioni nazionali e diocesane alimenta il campo delle convergenze della fede e rilancia ulteriori riflessioni. Vi sono luoghi e sigle preziose di un simile lavoro, anche fuori dei riferimenti istituzionali, come il Gruppo di Dombes, il gruppo di lavoro ecumenico fra evangelici e cattolici tedeschi, la Pro Oriente, le Conversazioni di Malines, il gruppo Sant’Ireneo ecc.
Fare da soli solo quello che non si può fare assieme
Il dialogo della vita si ispira al «principio di Lund» secondo cui i cristiani «devono agire insieme in tutti gli ambiti, eccetto dove profonde differenze li obbligano ad agire separatamente».
L’ecumenismo pastorale si manifesta anzitutto nell’evitare lo spirito di competizione fra le confessioni e comunità cristiane, e nell’organizzare insieme la cura pastorale negli ospedali, nelle carceri, nelle cappellanie scolastiche, ma anche nel concedere agli altri spazi celebrativi. «Il movimento ecumenico ha sempre avuto al centro la missione evangelizzatrice della Chiesa», per rendere credibile il messaggio evangelico, soprattutto là dove la presenza cristiana è minoritaria.
Sulla condivisione dei sacramenti si è già detto. La sua richiesta è particolarmente evidente nei matrimoni misti, sia nella loro preparazione che nella celebrazione e degli appuntamenti rilevanti come la nascita e l’educazione dei figli.
Un punto delicato è il cambiamento di appartenenza confessionale che non deve essere accompagnato da trionfalismi proselitistici, ma semmai regolato da codici di comportamento, in particolare quando si tratta del clero.
L’ecumenismo pratico è finalizzato alla collaborazione tra confessioni per la salvaguardia della dignità umana e per alleviare le sofferenze davanti a disastri e calamità. Ivi comprese le immigrazioni e la salvaguardia del creato. In questo è utile anche il dialogo interreligioso, magari in accordo con le altre confessioni. Nel passato le differenze culturali hanno rafforzato i disaccordi teologici, ora l’ecumenismo culturale dovrebbe rovesciare il paradigma con un lavoro comune in ambito accademico, scientifico, artistico, sociale e mediale.
Le correnti profonde
La lunga Appendice che elenca i 14 dialoghi bilaterali e i 3 multilaterali costituisce una breve e utile mappatura di un confronto esteso e complesso che rende evidente un patrimonio teologico comune di grande rilievo. Si potrebbe parlare di un vasto magistero condiviso con l’avvertenza di non equipararne l’autorità al magistero proprio di ciascuna Chiesa, ma anche in grado di sollecitare e alimentare una ricezione nell’insieme del popolo di Dio e delle differenti confessioni.
Un risultato non immaginabile fino a pochi decenni fa. Basta ricordare i sei documenti del dialogo fra Chiesa cattolica e Chiese ortodosse, Il dono dell’autorità (1999) fra cattolici e anglicani, la Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione (1999) fra Chiesa cattolica e Federazione luterana mondiale o La Chiesa verso una visione comune (2013) fra cattolici e Consiglio ecumenico delle Chiese.
Fra le dinamiche profonde sottese al testo si può ricordare il rinnovato e discusso protagonismo politico delle comunità pentecostali in America Latina e delle Chiese ortodosse nell’Est Europa collocabile sotto il compito dell’ecumenismo culturale. O ancora, la drammatica spaccatura in atto e ancora in sviluppo nelle Chiese ortodosse di ceppo slavo ed ellenico, evocata discretamente nella distinzione fra Chiese autocefale riconosciute e «Chiese autonome», e avviata con il riconoscimento di autocefalia alla Chiesa ucraina da parte di Costantinopoli.
L’«ecumenismo del sangue» è invece espressamente sottolineato. Con oltre 150 milioni di cristiani esposti alla persecuzione prende rilievo la nota di papa Francesco: «Coloro che perseguitano i cristiani riconoscono meglio dei cristiani stessi l’unità che esiste tra loro». Del resto l’unità è «già perfetta in ciò che tutti noi consideriamo l’apice della vita di grazia, la martyria fino alla morte, la comunione più vera che ci sia con Cristo» (Ut unum sint, n. 84).
Le responsabilità della Chiesa cattolica
Operano contestualmente tendenze centripete e centrifughe. Se l’Alleanza mondiale delle Chiese riformate e il Consiglio ecumenico riformato si sono uniti nella Comunione mondiale delle Chiese riformate e se un processo analogo è all’origine della Conferenza mennonita mondiale e nella Comunione delle Chiese protestanti in Europa, si deve anche registrare una distanza crescente fra Ortodossia e Chiese protestanti, fra le Chiese anglicane del Terzo mondo e le Chiese anglicane d’Occidente.
Ancora largamente non percepito il diverso dinamismo di crescita fra la relativa stabilità delle Chiese storiche e la crescita delle nuove comunità pentecostali. Se il Consiglio ecumenico delle Chiese rappresenta 500 milioni di fedeli, le Nuove Chiese carismatiche ne raccolgono altri 500 milioni (solo in parte sovrapponibili ai primi). E, mentre il dialogo con le prime ha prodotto convergenze significative, quello con le seconde è solo all’inizio. Non è casuale la nascita del Global Christian Forum che raccoglie, oltre ad alcune Chiese storiche, nuove comunità e alleanze cristiane, senza il vincolo di un’adesione formale.
Tornando all’interlocutore del documento, cioè il vescovo diocesano, è utile sottolineare che ad esso si affidi la responsabilità dell’ecumenismo con una consapevolezza nuova. In un contesto dove non mancano tensioni, ritorni all’indietro, spinte secolarizzanti e urgenze interreligiose la Chiesa cattolica riconosce ai pastori la grave responsabilità del cammino ecumenico. «I cattolici non devono aspettarsi che siano gli altri ad avvicinarsi a loro, ma devono essere sempre pronti a fare il primo passo verso gli altri». Non è sempre stato così.