Asztrik Várszegi, arciabate emerito dell’abbazia di Pannonhalma, fu il mediatore di un progettato incontro tra il patriarca Alessio e Giovanni Paolo II.
Asztrik Várszegi ha compiuto il 26 gennaio 75 anni. Nato a Sopron, confine con l’Austria, località nota per l’eccellente vino, venne ordinato presbitero il 29 agosto 1971. Fu ausiliare di Esztergom-Budapest dal 1988 al 1991, quando divenne arciabate di Pannonhalma, abbazia fondata nel 997, succedendo al mitico András Szennay ed è rimasto in carica fino al 2018.
Non gli fu facile continuare l’azione di Szennay, che, oltre ad essere presidente della Congregazione benedettina ungherese, dirigeva l’unico periodico teologico locale: Teologia.
Bibliotecario all’Accademia teologica di Budapest, era ordinario di teologia fondamentale, considerato uno dei teologi più autorevoli del paese, acuto interprete dell’evolversi della situazione socio-politica. Divenne arciabate nel 1973, quando in Ungheria il card. Lékai intraprendeva la “via dei piccoli passi”, che sconcertava molti nostalgici del card. Mindszenty, costretto a lasciare il paese.
Uno spirito aperto
Nel gennaio 1996 andai ad incontrare Asztrik Várszegi, da alcuni anni nominato arciabate. Era un uomo molto noto in Ungheria per la sua cultura e per lo spirito che animava le sue iniziative.
Non capito da buona parte dei vescovi del suo paese, aveva addirittura sbattuto la porta, criticandone – a ragione – l’ottusità e il qualunquismo. Me l’aveva confessato lo stesso Szennay: «Le condizioni esteriori, l’adattamento, il compito difficile di trovare un “modus vivendi” avevano più volte frenato il dovere di trasmettere il Vangelo, il compito, quello più importante, della testimonianza. Si era così sviluppato un tipo di “cristianesimo di facciata”, orgoglioso delle sue manifestazioni, delle sue sfarzose solennità. Era già in atto il processo di scristianizzazione, che andava assumendo dimensioni preoccupanti, soprattutto nelle città.
Era sì diminuito l’influsso dell’ideologia ateo materialistica, ma stavano aumentando il materialismo pratico, la mentalità consumistica. L’ideologia della “società del benessere” rappresentava nel paese un pericolo altrettanto grave per il cristianesimo quanto la propaganda talvolta violenta dell’ideologia atea ufficiale».
Si chiedeva da ogni parte, per superare il pericolo della rassegnazione, un sinodo locale. «La sveglia non può avvenire – sosteneva il predecessore di Várszegi – che sulla base di un aggiornamento interiore, spirituale, con l’aiuto del minuzioso lavoro delle piccole comunità, che spesso operavano nella clandestinità».
In questo clima, all’indomani della caduta del regime comunista, si trovò ad operare Várszegi, prima come segretario della Conferenza episcopale e poi come arciabate sulle orme di Szennay. Lavorò con intelligenza e notevole sagacia, diventando per gli altri vescovi, ancora incerti e dubbiosi della “svolta gorbacioviana”, un faro. Tant’è vero che nel 2005 la sua figura divenne protagonista di un film, dal titolo significato: Il mediatore.
Gli inviti al patriarca Alessio
Ne aveva le doti. Era nota la sua passione per l’ecumenismo. In occasione del millennio della storica abbazia, rivolse al patriarca di tutte le Russie, Alessio, l’invito a partecipare alle celebrazioni, prospettandogli l’opportunità di incontrare Giovanni Paolo II.
Il 5 marzo 1994 – come egli stesso mi raccontò – il patriarca Alessio, accompagnato dal metropolita Cirillo, l’attuale patriarca di Mosca, allora presidente del Dipartimento degli affari religiosi del Patriarcato, visitò l’Ungheria e si recò a Pannonhalma, di cui conosceva l’importanza nella storia e il peso avuto durante il regime comunista ungherese.
Si incontrò con l’arciabate. Dialogarono per tre ore in un clima di cordialità, senza alcuna formalità e protocollo. «Il patriarca si è sentito veramente bene, come a casa sua. È stato un incontro tra fratelli».
L’arciabate ebbe un’idea geniale e nel contempo provocatoria. Restituì una icona del 1846 comperata a basso prezzo da un ufficiale russo alla fine della seconda guerra mondiale. Il patriarca non trattenne le lacrime. Prese la parola: «L’ortodossia è grata alle icone, che nei momenti tristi le hanno dato vitalità e forza». Soggiunse: «La Chiesa è ora in quaresima, ma presto sarà nella Pasqua. Questa icona dice Pasqua».
L’arciabate Várszegi fu invitato a Mosca. Era l’8 settembre 1996 e poté parlare a tu per tu con il patriarca Alessio, che peraltro non si mostrò tenero nei confronti della Chiesa cattolica, alla quale muoveva aspri rimproveri a motivo dell’uniatismo e del proselitismo, che, caduto il regime in URSS, stavano dilagando.
Várszegi, in privato, rinnovò al patriarca l’invito a partecipare alle celebrazioni del millennio dell’abbazia. Poi, con abilità, soggiunse: «E se a Pannonhalma venisse il papa in concomitanza con la sua visita?».
Alessio rimase in silenzio per alcuni minuti, poi si disse pronto a incontrarlo, ma lasciò subito intendere che le difficoltà erano molte. Si mostrò convinto che il papa non potesse recarsi a Mosca. La Chiesa ortodossa glielo avrebbe impedito, ancora indispettita della visita di Gorbaciov in Vaticano. Aggiunse: «Stando così le cose, non posso incontrarlo a Roma».
Várszegi ribatté che Pannonhalma è in Ungheria, un paese non slavo, dove non ci sono tensioni tra cattolici e ortodossi. Gli “uniati” non danno preoccupazioni. Tenne una breve lezione di ecclesiologia e di ecumenismo, insistendo che l’umanità ha bisogno di unità, di testimoni di amore e di perdono. L’incontro tra il papa di Roma e il patriarca di Mosca sarebbe stato come l’arcobaleno dopo il diluvio. Alessio si disse d’accordo sul discorso di Várszegi, ma mise sul piatto le difficoltà.
All’abbazia mi dissero che il patriarca Alessio avrebbe affermato: «Il papa può fare quello che vuole. Io no». Nell’aprile 1995 Várszegi andò di nuovo a Mosca e varcò la soglia del Patriarcato per consegnare ad Alessio l’invito ufficiale, senza però accennare all’eventualità di incontrare a Pannonhalma Giovanni Paolo II.
Dopo la Pasqua del 1995, l’arciabate andò dal papa per informarlo dettagliatamente dell’iniziativa: «Ho visto Giovanni Paolo II illuminarsi. Ha esclamato più volte: “Lo desidero con tutto il cuore”». «A questo punto – mi disse con humour Várszegi – a credere siamo noi due: il papa ed io». Effettivamente a Roma erano pochi a credere all’incontro.
Ma l’incontro non avvenne
L’arciabate si mise in disparte, lasciando via libera a p. Duprey, segretario del Pontificio consiglio per l’unità dei cristiani, molto stimato da Alessio. Tutto era pronto per metà di giugno. E invece tutto saltò e non fu scritta una pagina di riconciliazione.
Giovanni Paolo II visitò l’Ungheria nel 1996 e non si parlò più del progetto di far incontrare i capi della Chiesa cattolica e ortodossa, fino all’incontro di papa Francesco con il successore di Alessio, Cirillo, a l’Avana il 12 febbraio 2016, in una saletta dell’aeroporto. Ma questa è un’altra storia. Cirillo non è Alessio e l’Avana non è Mosca.
Al grande “mediatore” non resta che il rammarico di non essere riuscito nell’impresa. Ma continua la sua azione di arciabate, anche se emerito, nella convinzione che «i monaci con il loro impegno sono sempre andati avanti più coraggiosamente di altri nella Chiesa. Se dovessi formulare questo concetto con una metafora audace direi: la vita monastica ha il dovere e la possibilità di fare risplendere più pace e gioia dal regno di Dio».
Auguri, arciabate Asztrik!
Bella testimonianza