Lo scorso 10 gennaio, nella diocesi di Colonia, undici sacerdoti hanno scritto una lettera aperta (qui l’originale tedesco, dal sito www.domradio.de), chiedendo una più coraggiosa riforma della Chiesa. Il 2017 rappresenta per loro l’anno in cui celebrano il 50esimo anniversario di sacerdozio, un’occasione per riandare con gratitudine agli anni del Concilio e allo stesso tempo per domandare di avere più coraggio nel portare avanti la riforma della compagine ecclesiale. Il dibattito si apre – in ottica ecumenica – sulla questione del ministero ordinato alle donne e sulla ridiscussione del celibato sacerdotale. Tra i firmatari vi sono nomi importanti, come Wolfgang Bretschneider, docente di liturgia e musica sacra presso il seminario diocesano, e Franz Decker, direttore della Caritas. La presentiamo in una nostra traduzione dal tedesco.
La grazia del Concilio
Abbiamo iniziato a studiare teologia nel 1961, mentre soffiava il vento fresco del concilio Vaticano II. Da quando abbiamo terminato il tempo della formazione in seminario, nel 1967, ci siamo regolarmente incontrati ogni mese, vivendo insieme esercizi spirituali, corsi di formazione permanente e viaggi. Il 27 gennaio 2017, esattamente 50 anni dopo che la maggior parte di noi ha ricevuto l’ordinazione presbiterale nella cattedrale di Colonia per le mani del card. Josef Frings, celebreremo la nostra messa di ringraziamento a Düsseldorf, nella chiesa dove siamo stati ordinati diaconi.
Quando abbiamo deciso di studiare teologia, Papa Giovanni XXIII aveva aperto le finestre della Chiesa in modo sorprendente. Il mondo era rimasto meravigliato e ci siamo sentiti parte di un’avanguardia di un cristianità che si rinnovava. Purtroppo, in seguito, sono aumentate le paure tra gli uomini di Chiesa sia a Roma sia anche nella diocesi di Colonia. Una sorta di «mentalità da bunker» doveva garantire la fede. Ma chi ha gridato allora: «Non abbiate paura»?
Nonostante ciò, la nostra Chiesa è evoluta. Con un’«obbedienza preventiva» nelle parrocchie si sono fatte cose che sono poi divenute ovvie e naturali nelle comunità; e oggi la Chiesa ufficiale tollera, o perfino legittima, cose che un tempo avevamo sostenuto e promosso con tutte le nostre forze. E tuttavia, nel corso del tempo, è diventato evidente che la riforma liturgica non camminava di pari passo con una conoscenza nuova e approfondita della Bibbia. Abbiamo dovuto imparare ad andare avanti nonostante alcune delusioni. Sono state spesso le nostre comunità che ci hanno dato la forza di non perderci d’animo.
Ancora troppo poco
Ci affligge che la questione di Dio per molte persone da noi non abbia più alcuna importanza. Constatiamo inoltre che i progressi degli studi più recenti sulla Bibbia e sulla storicità sulla nostra Chiesa non sono divenuti patrimonio comune nella vita di fede dei cristiani. Il nuovo entusiasmo per il Vangelo che papa Francesco intende risvegliare con il motto biblico «misericordia», sembra ancora compreso da pochi. E ciò può indurre rassegnazione e stanchezza.
Ci ferisce particolarmente che passata la «stagione della prima comunione» pochissimi bambini e giovani famiglie continuino a venire in chiesa. E che molti giovani e adulti partecipino solo occasionalmente alla vita delle nostre comunità, dopo che per decenni ci siamo impegnati proprio per le giovani famiglie.
Nella nostra società, nella cultura, nella politica e nell’economia come cristiani lasciamo trasparire troppo poco; e come Chiesa troppo poco ci ricordiamo della forza che potrebbe venirci da Gesù Cristo. Molti cristiani rimangono in silenzio, anziché intervenire per la loro fede in modo forte e chiaro.
In considerazione del crescente numero di musulmani in Germania, dobbiamo mostrare il nostro volto cristiano e rafforzarci per il dialogo. Ci sembra in particolare necessario il dialogo spirituale, affinché lo spirito della Bibbia si incontri con lo spirito del Corano e trovi parola e replica per un chiarimento e un avvicinamento.
Sette segnavia molto concreti
Ma l’attuale crisi nella vita di fede delle Chiese offre anche delle opportunità! Non volendo lasciarci «distogliere dalla speranza, che il Vangelo ci dona» (Cf. Col 1,23), pensiamo concretamente a sette segnavia per il futuro:
- Abbiamo bisogno di un linguaggio che sia in grado di suscitare anche oggi l’attenzione per la proclamazione del messaggio biblico. Il linguaggio della Bibbia deve essere messo più chiaramente in relazione con le nostre esperienze e con le immagini di uso comune. È necessario entrare in dialogo con il linguaggio e con le immagini della Bibbia in modo nuovo e attuale.
- È importante incoraggiare le gerarchie della Chiesa a prestare attenzione ai doni spirituali degli uomini e delle donne e a non tenerli chiusi nell’armadio attraverso le norme canoniche: gli uomini e le donne devono essere incoraggiati a mettere in circolo i loro talenti a beneficio di tutti.
- Abbiamo bisogno urgente di coraggiose iniziative riguardo la questione dell’ammissione ai ministeri ordinati. Non ha per noi alcun senso continuare a pregare lo Spirito per avere vocazioni e al contempo escludere tutte le donne da questi uffici.
- Abbiamo bisogno di coraggio e di fiducia nel credere che il Signore è al di sopra delle nostre controversie confessionali. La partecipazione all’eucaristia e alla cena del Signore deve essere affidata alla responsabilità dei cristiani battezzati.
- Abbiamo bisogno di ripensare la programmazione pastorale. È sotto i nostri occhi il fatto che le gerarchie della Chiesa hanno lasciato crollare il sistema esistente. Le grandi parrocchie sono, sotto questo aspetto, a dir poco irragionevoli: il crescente anonimato e l’isolamento nella società vengono incoraggiati anche a livello ecclesiale, anziché essere contrastati. La Chiesa deve esserci per dialogare localmente. La guida di una comunità non si fa da una sede lontana, ma «lì dove sta il campanile e suonano le campane». È invece consigliabile che esista anche una rete di relazioni più ampie, come la Caritas, i gruppi giovanili o i gruppi di musica sacra.
- Abbiamo bisogno, in piccolo e in grande, di spazi per esperienze comunitarie di fede. La morte di una comunità non è affatto automatica, se le persone ci sono e vivono lì. Possiamo imparare qualcosa, ad esempio, riflettendo su progetti realizzati in Austria e in Francia.
- Vogliamo, infine, parlare dell’esperienza della solitudine. Come persone celibi che diventano anziane, la solitudine – allora imposta per ragioni d’ufficio – oggi, dopo 50 anni di servizio, la sentiamo talvolta in modo molto chiaro. Il celibato, in una vita vissuta in una comunità monastica, può liberare grandi energie. Ma il «modello dell’uomo da solo» porta invece lo stesso uomo a un isolamento sterile e/o a un inutile eccesso di lavoro. Il celibato raramente sprigiona energie spirituali per la pastorale. Non a caso molti di noi hanno accettato questa forma di vita clericale non per scelta ma per il desiderio di essere preti. Anche nella Bibbia non esistono parole a sostegno di una simile norma ecclesiastica. Una citazione biblica è da stimolo alla riflessione per una possibile revisione: «Bisogna che il vescovo sia irreprensibile, marito di una sola donna…» (1 Tim 3,2).
I firmatari: Wolfgang Bretschneider, Hans Otto Bussalb, Gerhard Dane, Franz Decker, Günter Fessler, Willi Hoffsümmer, Winfried Jansen, Fritz Reinery, Josef Ring, Josef Rottländer, Heinz Schmidt. A questo gruppo si aggiungono anche: Klaus Kümhoff, Erhard März, Horst Pehl, Josef Rosche.
J’ai lu la lettre des prêtres allemands et je me sens en accord, bien sûr ! Mais il ne manque pas, au moins ici en France, de gens (de prêtres) plus jeunes qui trouvent ce genre de réflexions caractéristique des personnes âgées, trop marquées par Mai 68, et donc pas crédibles !
Ho letto la lettera dei preti tedeschi e concordo con loro, beninteso! Ma non mancano – almeno qui in Francia – persone (preti) più giovani che trovano questo genere di riflessioni tipiche delle persone di una certa età, troppo segnate dal Maggio ’68 e dunque non credibili!