Gravi incertezze legislative minano il futuro delle scuole paritarie, un servizio pubblico che è anche baluardo di libertà educativa.
Uno dei primi provvedimenti adottati dal governo italiano per contrastare l’epidemia di coronavirus è stata la chiusura delle scuole di ogni ordine e grado: dal 24 febbraio in alcune regioni del nord Italia, dal 5 marzo in tutto il paese. A oggi si ipotizza che le scuole rimarranno chiuse fino al termine dell’anno scolastico e vi sono gravi incertezze sanitarie sulle modalità di una possibile riapertura a settembre.
Le cifre e le conseguenze
Il provvedimento ha investito anche le scuole paritarie, che in Italia fanno parte del sistema pubblico d’istruzione e sono in larga maggioranza gestite da enti, ordini e strutture religiosi. Si tratta di circa 12.000 istituti frequentati da 800.000 studenti, dalla scuola dell’infanzia (ex scuola materna) alla secondaria di secondo grado (ex scuole superiori). I lavoratori impiegati sono circa 100.000.
Se, per la scuola statale, i costi della chiusura, gli stipendi del personale e ogni altra spesa sono coperti dal bilancio dallo Stato, per le scuole paritarie i problemi economici gravano completamente sui gestori e sui genitori, che sostengono i costi dell’istruzione tramite il pagamento delle rette di frequenza.
L’assenza del servizio scolastico ha letteralmente gettato nel panico le famiglie, strette fra necessità lavorative, problemi quotidiani aggravati dalla segregazione, difficoltà economiche e la necessità di accudire i figli. Così, in assenza di servizio, molti genitori hanno chiesto di sospendere il pagamento delle rette.
La situazione si è aggravata quando il ministro dell’istruzione, Lucia Azzolina, ha chiarito che cosa intendesse per chiusura delle scuole: gli edifici scolastici restano deserti, ma la didattica prosegue a distanza, con una modalità quasi del tutto inedita che si è rivelata molto problematica per i docenti e le famiglie a causa della carenze di strutture, infrastrutture ed esperienza.
La didattica a distanza (DaD), infatti, esisteva già nell’ordinamento scolastico italiano, ma era limitata a pochissimi casi di studenti disabili o, salendo nell’ordinamento degli studi, alle università telematiche legalmente riconosciute.
A questo punto le scuole paritarie si sono trovate di fronte all’assoluta necessità di pagare i docenti e, dunque, di riscuotere le rette da parte dei genitori. Questi ultimi, del resto, affrontano gravi difficoltà economiche e organizzative derivanti dall’emergenza coronavirus, inoltre devono accudire i figli non più affidati alle scuole, infine, sono costretti seguire i figli nella DaD con i costi correlati (computer, linea internet, stampanti ecc.) e le enormi difficoltà tecniche e organizzative che ne conseguono, specie per i bambini della scuola primaria. In molti hanno chiesto – o scelto – di smettere di pagare le rette di frequenza, addossando alle scuole paritarie un problema economico insormontabile.
A colloquio con la presidente FIDAE
Come uscire da questo impasse? Ne abbiamo parlato con Virginia Kaladich, presidente della FIDAE (associazione nazionale delle scuole cattoliche).
– Presidente, qual è a oggi la situazione delle scuole paritarie cattoliche?
La situazione è seria. Da un lato, riscontriamo l’enorme sforzo che le scuole cattoliche, in quanto facenti parte del sistema di istruzione pubblica, hanno messo in campo fin da subito per supportare gli alunni e le famiglie con gli strumenti delle DaD coniugati con una vicinanza umana e comunitaria che sempre le contraddistingue.
Dall’altro lato, abbiamo gravissimi problemi di sostenibilità finanziaria nel breve e medio periodo, con molte scuole che rischiano di non riaprire a settembre.
Come FIDAE abbiamo da subito sostenuto, di fronte alle richieste dei genitori, la necessità di continuare a pagare le rette scolastiche: sia perché il contratto di iscrizione è annuale, sia perché le scuole stanno, di fatto, offrendo un servizio formativo anche se erogato a distanza. Ma non possiamo ignorare le gravi difficoltà economiche delle famiglie, già penalizzate da un sistema d’istruzione che non fornisce aiuti per la frequenza alle scuole pubbliche non statali. Eppure gli alunni delle paritarie e le loro famiglie sono cittadini italiani, non è giusto discriminarli.
– Quali azioni politiche sono state intraprese finora?
Il problema è risultato evidente fin dai primi giorni dell’emergenza coronavirus. Il Consiglio nazionale della FIDAE si è messo subito al lavoro.
Il 6 marzo, immediatamente dopo il decreto di chiusura, un comunicato congiunto delle associazioni dei gestori di scuole cattoliche ha chiesto al governo ammortizzatori sociali per il personale, azzeramento delle imposte per le scuole e detraibilità integrale delle rette per i genitori.
Il 27 marzo come FIDAE, insieme alle altre associazioni, abbiamo presentato in Senato otto emendamenti al decreto Cura Italia finalizzati a ottenere sostegni economici per le scuole paritarie.
Il 15 aprile il sottosegretario della CEI, don Ivan Maffeis, ha lanciato un ultimo appello al governo perché metta in sicurezza le scuole paritarie. «Allo stato non si chiedono privilegi né elemosina, ma di riconoscere il servizio pubblico che queste realtà assicurano. Intervenire oggi (…) è l’ultima campanella» ha scritto sulle pagine di Avvenire.
– Che cosa avete ottenuto?
Al momento, le scuole paritarie possono accedere ai fondi per la sanificazione dei locali, ma si tratta di poche centinaia di euro per ogni istituto. Una cifra che non copre assolutamente i costi per le pulizie straordinarie e le sanificazioni, soprattutto in vista della riapertura di settembre.
Inoltre, il governo ha recentemente stanziato 2 milioni di euro per la didattica a distanza delle scuole paritarie, ma è ancora troppo poco. Occorrono aiuti sostanziali per le famiglie, altrimenti non viene garantita la libertà di educazione prevista dalla nostra Costituzione.
– Quali iniziative state mettendo in campo per le scuole?
Per quanto riguarda le scuole iscritte alla FIDAE, fra l’11 e il 13 marzo ho scritto rispettivamente al personale, ai genitori e agli studenti per spronarli a non mollare, a dare il meglio anche nel tempo dell’emergenza. La risposta è stata positiva: le scuole cattoliche hanno dimostrato un impegno non comune nel supportare le famiglie e gli alunni nella DaD, e molte famiglie si stanno adoperando per dare sostegno alle scuole in difficoltà.
La FIDAE ha avviato un questionario on-line sulla DaD per rilevare criticità e punti di forza, raccogliendo anche la disponibilità di una task force di volontari per aiutare gli istituti in particolare difficoltà. Pensiamo soprattutto alle zone rosse del Veneto e della Lombardia: in alcune scuole, docenti e dirigenti sono ricoverati in ospedale, purtroppo si sono registrati decessi, risulta quindi impossibile mettere in piedi un sistema di DaD nuovo e molto impegnativo solo con risorse proprie. Cerchiamo di raccogliere i bisogni più gravi e intervenire con aiuti concreti, ad esempio fornendo gratuitamente ore di DaD da parte di scuole meno colpite dalla malattia.
Abbiamo inoltre attivato sul nostro sito www.fidae.it la sezione “La scuola non si ferma” con notizie, indicazioni tecniche ed esperienze a cui attingere per prendere spunto sulla DaD.
Il Consiglio nazionale ha intenzione di intervistare anche i genitori, per verificare le criticità riscontrate nelle famiglie e le risorse che si potrebbero mettere in campo. Ma la vera sfida è guardare al futuro: immaginare dal 2021 in poi una scuola paritaria diversa eppure fedele ai propri principi ispiratori. Siamo convinti che la scuola sia baluardo di civiltà e di democrazia: qui si formano i cittadini del futuro. Non possiamo abbandonarli in un momento così drammatico e non possiamo negare all’Italia del futuro la libertà di educazione.
Petizioni, iniziative e proposte in cantiere
Oltre a quanto detto dalla presidente FIDAE, ecco quanto è stato messo in atto.
Dopo i primi decreti-legge sul coronavirus, che, di fatto, escludevano le scuole paritarie dal novero degli aiuti statali, anche i diretti interessati (genitori, insegnanti, gestori) hanno provato a sollecitare la politica sul tema. Poiché riunioni e manifestazioni sono vietate, sono sorte alcune iniziative “dal basso” che si diffondono soprattutto via internet e social network: catene e gruppi di whatsapp, petizioni lanciate tramite twitter o mailing list scolastiche. Sono iniziative spesso informali, non sempre destinate al successo, ma che testimoniano la vitalità delle scuole paritarie e delle comunità educanti che le costituiscono.
Fra le più partecipate vi è la petizione Coronavirus: a rischio l’educazione di milioni di studenti italiani lanciata da Anna Monia Alfieri, religiosa marcellina, tramite la piattaforma di partecipazione civica CitizenGO. Rivolta al Presidente della Repubblica e al governo, la petizione chiede la detraibilità integrale del costo delle rette versate alle scuole pubbliche paritarie dalle famiglie nei mesi di chiusura delle scuole, tenendo conto del costo standard di sostenibilità per allievo già da tempo definito dal Ministero economico.A partire dal 2017 i genitori possono detrarre dalle tasse una parte delle spese per l’istruzione scolastica dei figli; per l’anno 2020 l’aliquota è fissata al 19% per un tetto massimo di 800 euro. Si tratta di un aiuto insufficiente, specie durante la crisi. Nel momento in cui scriviamo la petizione ha superato le 64.000 firme.
Un’altra iniziativa parte da un gruppo di gestori di servizi educativi 0-6 anni della Liguria e si sta diffondendo in altre Regioni. Si tratta della fascia di età più critica per le famiglie, divisa fra i servizi socio-educativi (asili nido, di competenza comunale) e quelli pre-scolastici (scuole dell’infanzia, che rientrano nel sistema di istruzione ma non costituiscono scuola dell’obbligo). In molti Comuni questi servizi essenziali sono garantiti da gestori privati, ecclesiastici e non, in regime di convenzione, di parità o completamente in proprio sotto la supervisione delle Regioni. Tali servizi sono messi gravemente a rischio dalla chiusura per coronavirus. La petizione, creata sulla piattaforma Change.org dalla rete unitaMente, chiede al governo aiuti concreti perché sia le imprese, sia i posti di lavoro possano sopravvivere all’emergenza Covid-19. Finora ha raccolto poco meno di 5.000 firme.
Sul versante politico, alcuni partiti hanno presentato emendamenti al decreto Cura Italia a favore delle scuole paritarie.
Forza Italia ha chiesto «che le famiglie che affidano l’istruzione dei propri figli agli istituti paritari possano detrarre dall’imposta lorda le rette scolastiche per un importo non superiore al costo standard di 5.500 euro per alunno» (on. Gallone).
La Lega ha chiesto la restituzione da parte dello Stato dei pagamenti effettuati alle scuole paritarie per servizi non usufruiti dagli studenti durante lo stato di emergenza sanitaria, come mense e doposcuola (on. Ribolla).
Fratelli d’Italia ha proposto di istituire, tra le altre cose, un fondo straordinario per coprire il mancato versamento delle rette e dare la possibilità alle scuole paritarie di accedere a un credito d’imposta del 60% sugli affitti dei locali.
Nel Pd l’ex ministra dell’istruzione Valeria Fedeli ha sostenuto l’emendamento dell’on. Iori a favore delle scuole paritarie, che considera «un pezzo fondamentale dell’intero sistema scolastico».
Sul fronte sindacale, infine, sorgono gravi perplessità sull’opportunità di utilizzare il FIS e la CIGD per i docenti delle scuole paritarie. Se inizialmente questa era sembrata una via d’uscita almeno per le scuole dell’infanzia, le linee guida pubblicate dal ministero lo scorso 17 marzo hanno chiarito che la DaD deve riguardare anche le scuole dell’infanzia, ovviamente con modalità adatte all’età degli alunni. Come si possono mettere, quindi, in cassa integrazione docenti che di fatto stanno lavorando in regime di smartworking, come i loro colleghi degli ordini di scuola superiori? (fonte CISL)
Un panorama di istanze variegato e complesso che mette in luce l’insorgere di modalità partecipative nuove e che il governo dovrebbe tenere nella giusta considerazione.