(1) Nessuno dubita della razionalità delle teorie scientifiche: queste consistono in tentativi di soluzione di problemi, tentativi che vengono sottoposti ai più severi controlli. E se questi controlli smentiscono la teoria o le teorie proposte, se cioè le mostrano false, vale a dire le falsificano, allora è compito del ricercatore avanzare, creare, altre ipotesi da sottoporre ugualmente a controllo, nella speranza che qualcuno di questi «mondi possibili» riesca a render conto del problema affrontato. E ciò nella consapevolezza che anche la meglio consolidata teoria resta, per ragioni logiche ed epistemologiche, sempre sotto assedio.
La ricerca scientifica, in breve, procede per congetture e confutazioni, per tentativi ed errori. Evitare gli errori – ha scritto Karl Popper – è un ideale meschino: se ci confrontiamo con problemi difficili, è facile che sbaglieremo. E solo l’errore commesso, individuato ed eliminato costituisce «il debole segnale rosso che ci permette di venir fuori dalla caverna della nostra ignoranza» – conseguentemente, razionale non è un uomo che voglia avere ragione, quanto piuttosto un uomo che vuole imparare: imparare dai propri errori e da quelli altrui.
Dunque: esiste la storia della scienza, come storia di teorie tramite le quali si è cercato di risolvere problemi vecchi e nuovi; e la razionalità delle teorie scientifiche si identifica con la loro controllabilità e, quindi, nella scelta di quella teoria, se c’è, che, in confronto con teorie alternative, ha meglio resistito agli assalti della critica.
Ora, però, c’è anche una storia della filosofia – una storia di problemi filosofici, di teorie filosofiche, di controversie filosofiche. Problemi filosofici come i seguenti: Dio esiste o tutto si risolve nella più radicale immanenza?; il tutto-della-realtà è solo quello di cui parla o può parlare la scienza ovvero si può argomentare per concezioni che ci permettono di dire che c’è un al-di-là e che tutto non è destinato a finire in questo nostro mondo? È proprio vero che l’ateo è più scientifico o razionale del credente, ovvero l’ateismo è una scelta che talora viene camuffata da teoria razionale o addirittura scientifica? E poi: l’uomo è libero o determinato? L’uomo è quello descritto da Freud o quello che ci prospettano i comportamentisti? E che cosa è cambiato o cambia, per l’immagine dell’uomo, con l’avvento della teoria dell’evoluzione?
Problemi carichi di conseguenze morali e politiche sono quelli che fin dagli inizi i filosofi hanno affrontato con la proposta di quelle che sono le filosofie della storia: la storia umana è da sempre un campo aperto all’impegno morale, creativo e responsabile degli esseri umani oppure è una imponente realtà che si evolve seguendo ineluttabili leggi di sviluppo – leggi di decadenza, cicliche o di progresso?
Problemi filosofici ineludibili sono, inoltre, quelli relativi alla «migliore» organizzazione della convivenza umana – problemi, dunque, di filosofia politica: quand’è che si vive in uno Stato democratico? Quali istituzioni caratterizzano una società aperta? Dove stanno le differenze di fondo tra la società aperta e la società chiusa? Quali le «ragioni» della società aperta? Con quali argomentazioni più d’un filosofo, a cominciare verosimilmente da Platone, ha cercato di giustificare concezioni assolutiste, totalitarie, tiranniche del potere politico?
Interconnessioni con le questioni riguardanti l’esistenza o non esistenza di Dio, la natura dell’uomo e le concezioni dello Stato ci mostrano i problemi concernenti la giustificazione razionale o meno dei valori etici: ha ragione Pascal allorché afferma che «il furto, l’incesto, l’uccisione dei padri e dei figli, tutto ha trovato posto tra le azioni virtuose» ovvero sono nel giusto i sostenitori del «diritto naturale», per i quali l’umana ragione sarebbe in grado di individuare e razionalmente fondare norme morali valide sub specie aeternitatis?
Ulteriori problemi di chiara natura filosofica: in che cosa consiste la filosofia? Attraverso quale criterio o quali criteri è possibile demarcare le teorie scientifiche da quelle filosofiche? Attraverso quali regole procedurali si pratica la ricerca scientifica? E queste regole valgono, per esempio, soltanto nel campo delle scienze naturali, come la fisica o la biologia, ovvero sono regole tramite le quali avanza tutta la ricerca, anche nell’ambito delle discipline umanistiche e, più ampiamente, delle scienze storico-sociali? Di fronte all’imponente storia delle arti figurative, della musica e dei vari generi letterari è possibile dire che l’arte è una forma di conoscenza attingibile con mezzi non scientifici?; regge o è davvero inconsistente, tanto per usare una espressione di N. Goodman, la «dispotica dicotomia» tra artistico-emotivo e scientifico-cognitivo?
Simile elenco, aperto e asistematico, di problemi filosofici potrebbe venire facilmente ampliato. Un solo altro problema – il problema di Pilato: che cos’è la verità? Insomma: cosa vuol dire che una teoria fisica è vera, che un teorema matematico è vero, che una teoria metafisica è vera, che una fede religiosa è vera?
(2) L’esistenza dei problemi filosofici è un dato irriducibile e ostinato. Le teorie filosofiche sono risposte a questi problemi. E la storia della filosofia è la storia della insorgenza di problemi filosofici, storia di tentativi teorici di soluzione di tali problemi, storia di dispute e di argomentazioni filosofiche.
Varie forme di ateismo e diverse teorie asserenti, invece, una realtà metaempirica; antropologie filosofiche, cioè immagini filosofiche dell’uomo; concezioni filosofiche dello Stato, vale a dire teorie di filosofia politica; filosofie del diritto, come quelle della tradizione giusnaturalistica ovvero la concezione del realismo giuridico o quella normativistica; filosofie morali; visioni filosofiche della storia; filosofie della matematica, quali il platonismo di Frege, il formalismo di Hilbert o l’intuizionismo di J.L.E. Brouwer e A. Heiting; gnoseologie: realismo, idealismo, scetticismo e, ancora, empirismo e razionalismo; filosofie della scienza: induttivismo, convenzionalismo, operazionismo, falsificazionismo; concezioni filosofiche dell’arte: realismo, idealismo, simbolismo ecc. – tutti tentativi teorici tesi, appunto, alla soluzione di problemi genuinamente filosofici. Una storia da dove emerge che, se c’è qualcosa di perenne nella filosofia, perenni non sono le soluzioni quanto piuttosto i problemi. Cosa che, insieme ad interrogativi che nascono e poi magari muoiono, capita talvolta anche nella scienza: la fisica nucleare di oggi è ancora una risposta alla domanda di Talete: di che cosa è fatto il mondo?
Le idee – ha detto Einstein – sono la cosa più reale che esista al mondo. E non ci vuole molto a comprendere che, tra queste «cose più reali», le più importanti storicamente, socialmente e personalmente sono proprio idee filosofiche: su Dio e la non esistenza di Dio; su questo o quest’altro o nessun senso della storia; sulla natura umana; sui princìpi dell’etica accettata; sulle regole della convivenza umana, cioè sul tipo di configurazione dello Stato e così via. Idee reali, importanti e non di rado disumane. La terra è inzuppata di sangue versato a causa o in nome di idee filosofiche. Non si uccide né si muore o ci si sacrifica per le leggi di Ohm o di Faraday. E concezioni fatalistiche e deresponsabilizzanti come le varie filosofie deterministiche della storia ovvero, ancora, teorie come quelle razziste o come i totalitarismi di destra e di sinistra non sono uscite da botteghe di artigiani ma dalla testa di filosofi il cui influsso nefasto si è diffuso come peste tra le masse.
(3) Ecco, dunque, una ragione di grande portata per una educazione generalizzata dei nostri giovani alla argomentazione filosofica, cioè alla discussione di concezioni filosofiche assorbite magari inconsapevolmente dalle persone con le quali sono venuti a contatto, dalle loro più o meno o nient’affatto guidate letture, dalle sempre più invadenti fonti di informazione.
Ma qui urtiamo nella difficoltà di maggior rilievo: come è possibile controllare idee tanto importanti e decisive come quelle filosofiche? Le idee filosofiche sono filosofiche e, in quanto tali, non scientifiche. Le teorie scientifiche sono controllabili in base a controlli fattuali – e, come sappiamo, la prova, nella vita come nella scienza, si ha dove si rischia: dove si rischia di fare fallimento. Dunque: di volta in volta, nel corso della ricerca scientifica si accetta, se c’è, quella teoria che, in confronto con le ipotesi alternative, ha resistito e resiste ai controlli più rigorosi.
Ora, però, simile procedura non è possibile per il controllo e la selezione delle teorie filosofiche: queste sono filosofiche esattamente per la ragione che non sono fattualmente controllabili, non sono cioè falsificabili in base al ricorso ai fatti. Le teorie scientifiche sono tali perché fattualmente falsificabili; le teorie filosofiche sono tali perché fattualmente non falsificabili. Difatti, se fossero fattualmente falsificabili sarebbero scientifiche e non filosofiche. Ma, allora, la razionalità è un attributo predicabile unicamente delle teorie scientifiche, mentre lo spettacolo offerto dai filosofi, anche dai più grandi e maggiormente influenti, è forse quello di tanti dogmatici muezzin che cantano ognuno la loro presunta incontrovertibile canzone dai loro magari prezzolati minareti?
(4) Sono, dunque, razionali soltanto le teorie scientifiche o c’è anche una razionalità filosofica? E se è possibile parlare di una razionalità delle teorie filosofiche, in che cosa consisterà mai questa razionalità? Ebbene, nell’orizzonte del razionalismo critico – cioè in base alle riflessioni e alle proposte che sono state avanzate da Karl Popper, Joseph Agassi, John Watkins e, soprattutto, da William Bartley – si può motivatamente parlare, con buone ragioni, di razionalità delle teorie filosofiche.
Questa la tesi proposta: le teorie scientifiche sono razionali in quanto controllabili tramite il ricorso ai fatti; le teorie filosofiche sono razionali se e in quanto sono criticabili. E una teoria filosofica risulta criticabile allorché può entrare in urto con un pezzo di Mondo 3 – un teorema logico, una teoria scientifica, un risultato matematico o, per esempio, un’altra idea filosofica – all’epoca ben consolidato e al quale all’epoca non si è ragionevolmente disposti a rinunciare.
Così, tanto per esemplificare, dato che non si dà passaggio logico da n, un numero quantunque elevato di osservazioni analoghe reiterate, al quantificatore universale x, non reggono le pretese dell’induzione per ripetizione; o ancora: se vale la legge di Hume, riguardante l’impossibilità logica di derivazione di asserti prescrittivi (norme etiche o giuridiche) da asserti descrittivi (teorie scientifiche o altri asserti descrittivi), risultano infondate tutte le varianti del giusnaturalismo; l’impossibilità della costruzione di un autopredittore scientifico devasta alla radice le pretese di quei filosofi che hanno creduto di essere venuti in possesso di ineluttabili leggi di sviluppo dell’intera storia umana; una attenta analisi del «circolo ermeneutico», così come è stato elaborato da Gadamer, mostra con tutta chiarezza che il metodo adoperato nella ricerca delle discipline umanistiche è lo stesso metodo usato dal fisico, dal chimico o dal biologo, mostra cioè l’inconsistenza della tradizionale distinzione tra l’Erklären (lo spiegare casualmente, tipico delle scienze naturali) e il Verstehen (l’intendere i significati, procedura che sarebbe tipica delle discipline umanistiche e delle scienze storico-sociali); l’immotivato dogmatismo e l’autocontraddittorietà del principio di verificazione costituiscono argomenti persuasivi in grado di far cadere l’idea neopositivistica stando alla quale i concetti e le teorie metafisiche sarebbero solo cumuli di nonsensi; se scientifiche sono unicamente le teorie fattualmente falsificabili, allora – nonostante le pretese in contrario – non possono venir dichiarate scientifiche concezioni come, per esempio, il materialismo storico-dialettico o teorie che si intrecciano o si combattono all’interno della tradizione psicoanalitica.
Dunque: razionali le teorie scientifiche in quanto controllabili fattualmente; razionali le teorie filosofiche in quanto criticabili teoricamente, cioè in base a idee e teorie all’epoca accettate e, per quanto consolidate, anch’esse non assolute e sempre sotto assedio. «Razionale» e «critico», pertanto, si identificano; e la falsificabilità delle teorie scientifiche è un caso della più ampia razionalità. Senza fine, quindi, la ricerca scientifica e senza fine l’indagine filosofica. Razionale il fisico, razionale l’ermeneuta, razionale il filosofo. E ciò anche se nel campo della filosofia verbosità, confusione e arroganza dogmatica sono «malattie» non sempre esorcizzabili e che difficilmente, invece, attecchiscono nel campo della scienza, dove in linea generale contra factum non valet argumentum.
Per concludere, questa la risposta di Isaiah Berlin alla domanda: a che cosa serve la filosofia? «Il fine della filosofia è sempre il medesimo: consiste nell’aiutare gli uomini a capire se stessi e quindi a operare alla luce del giorno e non, paurosamente, nell’ombra».
Dario Antiseri (Foligno, 1940) è uno dei più importanti filosofi italiani. Già professore ordinario di Metodologia delle scienze sociali, è fra i massimi specialisti del moderno pensiero liberale angloamericano e austriaco, da Popper a von Hayek, e autore di numerosi volumi e articoli. La sua grande Storia della filosofia (con Giovanni Reale) è stata più volte riedita e tradotta. Il testo che qui riprendiamo, in dialogo con la riflessione firmata da Silvano Petrosino (26 maggio), è stato pubblicato sulla rivista on-line VP Plus 20, il 9 giugno 2018.