Educare: la voce e il contenuto

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La scansione del tempo liturgico segue le tappe della vicenda salvifica del Cristo e non deve stupire la sua estraneità con il calendario civile che tuttavia a volte incrocia quello religioso. Basti pensare alle festività del Natale e della Pasqua.

Quest’anno, per la prima volta, ci è risultato spontaneo associare la ricorrenza del Martirio di Giovanni il Battista – evento che segna uno spartiacque importante nella liturgia ambrosiana – con l’avvio dell’anno scolastico.

La tematica educativa avvicina queste ricorrenze apparentemente distanti e non coniugabili. Nell’esperienza didattica è centrale la relazione tra chi insegna e chi apprende. Il ricordo di un contenuto si intreccia alla memoria di una voce. Idee e parole risultano incarnate e abbinate a un volto a volte indimenticabile.

Giovanni, Gesù, la pratica educativa

Giovanni Battista è stato il maestro di Gesù, vicino a Lui nella nascita sorprendente (ricordiamo la splendida immagine della due madri gravide che si abbracciano: la giovanissima Maria e l’anziana Elisabetta) e nella morte, segnata per entrambi da una crudele esecuzione.

Come ogni autentico educatore il Battista riconobbe il valore del proprio allievo e il proprio ruolo propedeutico. Non appena scorse la grandezza del Cristo confessò: “Egli deve crescere e io invece diminuire” (Gv 3, 29-39). Così è riconosciuta la differenza educativa.

Chi insegna sa che spesso alcuni alunni dimostrano tali abilità di apprendimento e volontà di ricerca da raggiungere presto livelli conoscitivi superiori a quelli dell’insegnante. La storia dell’arte è ricchissima di celebri esempi. Il noto verso dantesco recita: “Credette Cimabue nella pittura tener lo campo, e ora ha Giotto il grido, sì che la fama di colui è scura” (Purgatorio IX, v.96)

Gesù e Giovanni furono entrambi predicatori e attrassero discepoli. Il brano dell’evangelista Marco (6,14-29) descrive nel dettaglio la condanna a morte del Precursore e la macabra consegna della testa di Giovanni a Erode durante quel banchetto che ha affascinato pittori, letterati e musicisti di ogni epoca.

Nel bagliore quasi accecante di una sala sfarzosa, due donne – madre e figlia – interpretano un copione in cui il gioco perverso di ruoli si associa a sguardi di intesa e a voci che predicono il peggio. Esse sono strette in una relazione che non sa delimitare gli spazi di ciascuna e che rinuncia a difendere l’altrui singolarità. Sono vincolate in un’alleanza mortifera, velata dalla danza suadente e dalla bellezza fisica della donna più giovane. È l’esito di una educazione mancata.

Anonimo lombardo

Un brano pittorico ci aiuta a restituire una verità umana, persino troppo umana (direbbe Nietszche) del vangelo. Nell’ampio ciclo d’affreschi trecenteschi dedicato alle storie della Vergine e del Battista all’interno del Santuario della Madonna dei Ghirli a Campione d’Italia (enclave italiana sul lago di Lugano) un anonimo maestro giottesco lombardo, tra il 1350 e il 1360, ritrae le due donne con finezza e primitiva forza espressiva.

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Nel primo riquadro le figure si fronteggiano e ciascuna donna è incastonata in un’edicola dove lo spazio più ampio è riservato alla regina Erodiade – colei che tradì il marito Filippo, padre di Salomè, e si unì al re Erode Antipa, governatore della Galilea e fratellastro di Filippo.

Tra loro la testa del Battista giace su un piatto, come un orrendo cibo che la madre ha preteso che la figlia compiacente le fornisse. In un muto dialogo i loro sguardi fissano quel volto anemico, dagli occhi socchiusi e con una lievissima smorfia di dolore.

È descritta una marcata somiglianza tra le due figure femminili: i profili sono fisiognomicamente indistinguibili. Salomè appare del tutto simile alla madre. Il confondersi delle due identità ci sembra rimarcato nella scena adiacente.

Salomè è ritratta di spalle, una lunga treccia scivola sulla sua giovane schiena: un accordo artificioso annoda corpi, capelli e fili sentimentali.

Ritroviamo in queste immagini un significativo richiamo a molte riflessioni e narrazioni contemporanee riguardanti il rapporto madre-figlia, legame contrassegnato da una viscerale intesa corporea risalente alla gestazione e alla comune identità sessuale.

È una relazione che a volte fatica a risolversi in un’intesa affettuosa abitata da reciproco riconoscimento. Il rapporto educativo può cadere in un baratro penoso quando il legame non veicola libertà né amore. Nella con-fusione delle soggettività vi è la perdita delle identità.

Il pensiero femminile si è giustamente interrogato su un legame che connota storia e identità delle donne. Tuttavia, la caduta della relazione a causa di mancate differenziazioni accomuna tutti i generi. Ha a che fare con cultura, scelte morali, educative.

Nel messaggio evangelico non mancano i paradossi e i messaggi da leggere nei loro risvolti più opachi e negativi. Come guardando una fotografia in bianco e nero in cui ombre e luci risultano più nette e marcate.

La scuola, che riprende in questi giorni, è viva soprattutto grazie ai rapporti tra giovani e adulti. L’esatto contrario del racconto noir ambientato nella Palestina del I secolo dopo Cristo.

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Un commento

  1. Emiliano 12 settembre 2023

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