Ho ripreso a far doposcuola a ragazzi delle Scuole Medie Inferiori come volontaria presso una parrocchia milanese. Vi è stato infatti un intervallo di più di 40 anni tra una prima importante esperienza di aiuto scolastico in un oratorio in provincia di Varese e quella odierna. In mezzo, un lungo periodo di insegnamento di filosofia e storia nei Licei.
Povertà giovanile
Il salto cronologico si sente: i ragazzi con maggiori difficoltà sono in gran parte stranieri ma non mancano giovanissimi italiani che – nella “ricca” Milano – vivono in condizione di povertà. Per alcuni di “povertà assoluta”, decisamente aumentata negli ultimi anni. Ne parla con cognizione di causa, in una recente intervista radiofonica (Fahrenheit Rai Radio 3 /17 maggio), Marco Revelli, sociologo, scrittore (Poveri, noi, 2010; Umano, inumano, postumano, 2020) che dal 2007 al 2011 ha presieduto la Commissione ministeriale sulle Esclusioni Sociali e che mantiene uno sguardo attento su chi in Italia, oggi, non ha nemmeno il minimo indispensabile per una vita dignitosa.
I dati ISTAT parlano chiaro: i poverissimi sono raddoppiati: dai 3 milioni (4,9%) del 2010 ai 5,9 milioni (9,4%) del 2021.Una piaga che dilaga e che colpisce particolarmente i giovani. Ritornando alla mia esperienza con i ragazzi, non mi è stato facile affrontare alcune lacune, inventare modalità di sostegno come, per esempio, leggere un canto della Divina Commedia con un giovanissimo egiziano.
Ma ho letteralmente gioito quando una ragazza filippina, dopo aver svolto i compiti, mi ha detto: “La ringrazio molto signora!” Un po’ basita, l’ho a mia volta ringraziata senza rivelarle che in anni di insegnamento liceale, pur con buoni riscontri, non mi era mai capitato di ascoltare un’espressione del genere… Lei, compiaciuta, mi dice che è sua mamma ad avergliela insegnata.
Don Milani: un prete profetico
Quest’anno è stato importante rileggere Lettera a una professoressa (1967) scritto dalla Scuola di Barbiana e non dal solo don Lorenzo Milani. Lo segnala bene Adele Corradi nel suo splendido libro Non so se don Lorenzo, 2012. “L’ Adele” è quella professoressa di Scuola Media Inferiore che negli ultimi quattro anni della vita di don Lorenzo (scomparso nel 1967) collaborò attivamente in quella scuola unica e inimitabile, abbarbicata su un colle del Mugello.
Si è scritto molto su questo prete profetico e il testo di una diretta testimone mi ha aiutata a cogliere l’originalità di tale esperienza e a rispondere a una domanda che più volte ho sentito viva tra le aule scolastiche. Esiste una specificità cristiana nel “far scuola”? Negli anni ho conosciuto eccellenti insegnanti non credenti; veri studiosi (se non si studia non si può pretendere che altri lo facciano) innamorati del loro lavoro.
So che nella laica Milano è offerto gratuitamente sostegno scolastico agli scolari più fragili. Biblioteche, scuole, cooperative; alcune lavorano decisamente bene. Qual è allora lo stile evangelico? Qualche suggerimento arriva da don Milani e da Adele che afferma: “Insieme si approfondivano contenuti e si scrivevano testi”. Era un’intera comunità a crescere nella consapevolezza di una realtà fatta di emarginazione e disuguaglianza sociale. E nella ricerca di strategie per superarle.
A Barbiana si viveva quotidianamente l’attenzione agli ultimi, fatta di condivisione, ascolto delle specifiche e concrete esigenze. I bambini “montanari” erano diversi dai “ragazzi del paese” e rispettando le differenze nasceva un lavoro collettivo. Ricorda la Corradi: Don Milani ha cercato di rispondere alle realtà del luogo, il suo non è un modello (in quanto è irripetibile in altri contesti) ma un forte esempio.
A quei ragazzi “con la miseria addosso” occorreva un aiuto specifico da cercare insieme. Così è stato fatto a Barbiana e grazie a quella scuola molti giovani del Mugello di allora hanno preso coscienza dei propri talenti e si sono inseriti nella società civile.
Lo stile dell’insegnare
La domanda precedente rimbalza in me. Credo non bastino “regole” apriori per individuare lo stile cristiano nell’insegnare. Seguire il messaggio evangelico significa scoprire di volta in volta la forza dello Spirito che fa memoria di parole vitali che sorprendono e incoraggiano.
Come quelle che una mamma filippina ha insegnato a sua figlia. Significa cogliere il valore di alcune mansioni apparentemente semplici ma capaci di “grandi cose”. Ovvero: seguire i più piccoli nei compiti; ascoltarli nel ripetere qualche capitolo di storia; correggere imprecisioni grammaticali e aritmetiche; sostenere il loro sforzo di apprendimento e quello di chi si rapporta a una cultura straniera.
Dispiace constatare che queste attenzioni non siano citate quando si parla di immigrazione, lavoro, ricerca della pace, lotta all’illegalità dilagante. Al loro posto ci sono rabbiose rivendicazioni, articoli di leggi e numeri (sempre da verificare…): parole retoriche e vuote.
Tra i doni dello Spirito non è certo secondario quello delle lingue che il noto racconto dell’evangelista Luca (At 2,1-4) colloca in una stanza a Gerusalemme, probabilmente quella già teatro dell’ultima cena. Forse un’aula non diversa da quelle parrocchiali in cui anche oggi alcuni volenterosi si ritrovano puntualmente per cercare parole utili a spiegare la storia di Dante, Beatrice e del Conte Ugolino a un giovane figlio di genitori egiziani.
Articolo interessante. Da docente in un liceo milanese anche io avverto una forte emergenza educativa soprattutto a motivo di quello che viene chiamato “analfabetismo di ritorno”. L’emergenza hai i tratti di una complessità tale da non poter essere ridotti a semplici frasi, ma certamente don Milani (https://iltuttonelframmento.blogspot.com/2019/07/don-lorenzo-milani-e-lemergenza.html) e la “sua” Barbiana rimangono un faro.