Per una solida identità etica e professionale

di:

insegnante

Oggi, più che mai, viviamo nell’illusione di dover cambiare hardware, aggiornare incessantemente le nostre competenze per restare competitivi, senza accorgerci che il problema non è tecnico, ma esistenziale: chi sono? Chi sto diventando? In un’epoca in cui disponiamo di una quantità di informazioni senza precedenti – manuali, esperti, strumenti digitali – il paradosso è che facciamo sempre più fatica a educare e a formarci davvero.

Perché? Perché i dati non bastano. L’essere umano non è un programma da eseguire, ma origine e relazione. La forma non si carica come un software, secondo le richieste del mercato e del curriculum, come nella celebre scena di Matrix in cui Neo, sospeso nel bianco, viene “programmato”. Nell’uomo, la forma si scopre, si coltiva, si compie. Essere “in forma” non riguarda solo il corpo, ma la vita intera.

Dall’eroe al figlio

Scriveva Pindaro nel VI sec. a.C.: «Diventa ciò che sei, avendolo appreso». E il tempio di Apollo a Delfi ammoniva: da un lato «Conosci te stesso» (sei un uomo), dall’altro «Nulla di troppo» (rimani uomo). La tradizione greca ci insegna che l’uomo è mortale, come lo è ogni sua opera. Gli dèi, infatti, sono uguali agli uomini, tranne per un aspetto: sono immortali. La formazione greca è dunque il tentativo dell’uomo di raggiungere il divino, perché solo ciò che è divino non muore.

L’orizzonte cristiano porta un cambiamento radicale. L’uomo è sì mortale – «Chi di voi, per quanto si dia da fare, può aggiungere un’ora sola alla sua vita?» (Mt 6,27) – ma è anche figlio, figlio del Dio della vita e della cura: «Anche i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non temete» (Lc 12,7). L’uomo non è fatto di morte, ma di filiazione. La pienezza dell’umano non è l’eroico tentativo di diventare immortali – privilegio di pochi – ma diventare figli, un destino possibile a tutti: scoprire di essere voluti nella vita e di essere chiamati a custodirla e moltiplicarla. «A quanti l’hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio» (Gv 1,12).

Questa visione ha dato origine a istituzioni che ancora oggi plasmano il nostro mondo: l’idea della redistribuzione dei beni in eccesso, i Monti di Pietà (primi modelli di credito solidale), gli ospedali, le Università.

Se la cultura greca forma l’uomo-immortale, che accetta drammaticamente la propria condizione mortale (come narrano epos e tragedia) e cerca di raggiungere il divino, la cultura cristiana forma l’uomo-figlio, che accoglie relazionalmente la vita e la moltiplica con i propri talenti a favore degli altri.

L’uomo-potenza

La cultura oggi dominante, invece, forma l’uomo-potenza, che si definisce in base alla propria efficienza, alla performance, alla capacità di superare i limiti biologici. Il corpo diventa hardware, la coscienza un software. L’intelligenza artificiale, in questa prospettiva, non è solo un’evoluzione tecnologica, ma il riflesso di ciò che noi vogliamo diventare: pensiero meccanico, rapido, performante, ma inconsapevole di sé.

Le diverse culture trasmettono modelli di formazione molto diversi: La formazione greca dice: «Diventa ciò che sei, costi quel che costi, c’è un destino»; la formazione cristiana dice: «Ricevi ciò che sei, sei un dono per te e per il mondo, c’è una chiamata»; la formazione contemporanea dice: «Funziona meglio che puoi, sarai al sicuro, c’è un programma».

Per questo, anche le figure di riferimento cambiano: per la cultura greca, il modello umano è l’eroe, Achille; per la cultura cristiana, è il figlio, Cristo; per la cultura contemporanea, è il risultato, l’intelligenza artificiale.

Il problema di questo modello sta già mostrando le sue conseguenze. Instagram ha eliminato i filtri bellezza perché garantivano un “risultato perfetto”, ma al prezzo di un aumento esponenziale di patologie psicologiche: dismorfofobia, dipendenza, depressione. Viviamo in un’epoca in cui il concetto stesso di forma umana è messo in discussione: siamo destinati a diventare solo risultati?

Per la formazione dei giovani giuristi

Anche i giovani giuristi sono chiamati a scegliere: vogliono essere eroi, figli o prodotti di un sistema di efficienza?

Per aiutare a discernere, l’Unione Giuristi Cattolici di Bologna promuove una iniziativa denominata Incontro con le Professioni. Si tratta di un ciclo di incontri dedicato ai laureandi in Giurisprudenza, selezionati a numero chiuso, quale occasione unica di dialogo con magistrati, avvocati, notai e altri protagonisti del mondo giuridico. L’obiettivo è favorire una conoscenza diretta delle professioni legali, stimolando una riflessione che non si limiti alla acquisizione di competenze tecniche, ma che miri alla costruzione di una solida identità professionale ed etica.

Il diritto non è un algoritmo, né un programma da eseguire: è interpretazione, responsabilità, relazione con la comunità. Un giurista non è un semplice esecutore di norme, ma un custode della giustizia, chiamato a costruire e difendere un diritto che non sia solo tecnica, ma vera forma di umanità.

Noi diventiamo. Ma chi vogliamo diventare lo scegliamo noi.

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