«In società sempre più globalizzate e sempre meno intermediate il sistema di istruzione e formazione deve fornire alle giovani e ai giovani strumenti di comprensione, di conoscenza e consapevolezza, affinché non siano prede di manipolazione né passivi fruitori di un mondo che non capiscono, né tanto meno si trovino spauriti e spaventati di fronte ai cambiamenti».
Così la ministra dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Valeria Fedeli chiudendo il simposio della Facoltà Teologica dell’Emilia Romagna per la ripresa del discorso di papa Francesco in occasione dell’incontro con gli studenti e il mondo accademico (avvenuto a Bologna il 1° ottobre 2017).
«Questo vuol dire educare ragazze e ragazzi aperti e curiosi, che vedono nella diversità fonte di arricchimento. Rispettosi dei diritti di ogni donna e di ogni uomo, fermi oppositori di qualsiasi forma di discriminazione o di emarginazione. Questa è l’Università che coltiva il primo dei ‘diritti’ richiamati da Sua Santità, il “diritto alla speranza”. Protagonisti del proprio presente e caparbi costruttori di un futuro in linea con le proprie ambizioni e con i propri sogni. Cittadine e cittadini di società che vivono concretamente i valori di cui è intrisa la nostra Carta Costituzionale».
La ministra Fedeli ha dunque sottolineato che le istituzioni educative non sono solo «luoghi di travaso di conoscenze dai docenti ai discenti», ma devono «preparare davvero al futuro». E ha aggiunto: «L’Università, allora, deve servire alla formazione culturale, scientifica, alla crescita della conoscenza e dei saperi, oltre che del senso di responsabilità e, solo dopo, all’utile. Questo è il “diritto alla cultura” di cui parla papa Francesco. Con la formazione e con la ricerca l’Università deve anche e soprattutto aiutare a coltivare, in senso generale, gli studi che educano le coscienze».
La ministra Fedeli ha sottolineato infine il valore del «dialogo», spiegando: «Da politica, certo, ma anche da cittadina che è appassionata dei valori della democrazia, io credo moltissimo nel dialogo, nel dialogo instancabile, nel discorso che “ci attraversa”, che non appartiene a me o a te, ma che fonda il “noi”, che è alla base della convivenza, così come la parola – ricordiamolo – è alla base del vivere civile. Ho cercato, per quel poco che mi era possibile – ha concluso – d’improntare a questo principio la mia azione da ministra in questo anno e mezzo».