Un recente dibattito «virtuale» che si è tenuto sulle pagine di Avvenire (tra Gustavo Piga 19 maggio, Giuseppe Lorizio 22 maggio e Pier Cesare Rivoltella 27 maggio) ha messo in questione la valenza della didattica ibrida. Il nostro scopo è ritornare sui passi percorsi per stimolare un dibattito su questa cogente realtà.
Conversione necessaria
Gustavo Piga pur riconoscendo la valenza dell’online nel tempo del lockdown (che ha permesso che «le lucine dei nostri studenti, seppur affievolite non si spegnessero»), mette in dubbio che il blended learning, la possibilità di insegnare sia in presenza che a distanza, debba continuare (che in questo nuovo tempo post pandemico non vi sia stato un decreto per rimuovere le didattiche online sarebbe «la dimostrazione che non sono state introdotte per proteggerci dal Covid ma banalmente per uccidere le ultime lucciole (studentesche) ancora in vita»).
Di fronte alla nostalgia di una «vera università» che i «nuovi» tempi moderni starebbero cancellando, ribatte già il titolo di Giuseppe Lorizio che ricorda che «in presenza e a distanza l’università è universale», rifacendosi alla concezione (già di Newman) che l’università prima che un luogo fisico, dove semplicemente radunare docenti e discenti, «è e deve essere un’idea, in cui si coniugano la vocazione universale e quella all’unità del sapere, in una prospettiva sapienziale che travalica i settori specifici delle singole discipline e le appartenenze etniche e geografiche». Quella a cui invita Lorizio è una vera e propria «conversione».
L’avventura del Covid sembra aver fornito l’occasione effettiva (e la necessità stringente), di fruire di nuove possibilità che ci chiedono un intero ripensamento della didattica e del suo linguaggio. Per il docente di Teologia Fondamentale alla Lateranense il momento corrente (contesto) sarebbe favorevole per aggiungere al classico linguaggio, «meramente concettuale», un altro complementare fatto di «immagini e suoni, attraverso i quali la teologia entra nella vita e si muove in un universo simbolico molto più coinvolgente anche per gli allievi in presenza» senza rinunciare, anzi amplificando, quella che Hegel chiamava la «fatica del concetto».
Anche Pier Cesare Rivoltella considera positivamente gli aspetti della nuova didattica che vengono identificati nel superamento della centralità del luogo fisico e del vincolo temporale, con la possibilità di arrivare ai contenuti anche dopo la lezione. L’università, «invece di irrigidirsi» su forme consolidate, dovrebbe considerare l’opportunità di una «didattica mista e flessibile, orari diversi, modalità diverse, senza chiudersi entro soluzioni standard».
Un rinnovamento complessivo
Una domanda interessante da porsi è in definitiva che «cosa significhi fare formazione oggi nella società della conoscenza… in cui le informazioni sono dappertutto e l’accesso ad esse non è più necessariamente mediato dalle istituzioni preposte alla trasmissione del sapere»?
Una risposta possibile è vedere nell’università una «communitas di esperienza e discussione […], spazio fatto di vissuti, anche emotivi; un luogo in cui la discussione scientifica e non la trasmissione siano al centro; una realtà di maturazione delle professionalità nel confronto tra pari; un’occasione per trovare nei docenti dei “career consultants” […] e soprattutto degli adulti significativi». Emerge dunque la necessità di un rinnovamento della didattica all’interno del più generale ambito formativo.
Usare l’online soltanto per riprodurre schemi cattedratici, tipici della «vecchia presenza» non dà il giusto posto al linguaggio simbolico e metaforico, oggi molto avvertito in una comunicazione sempre più ermetica ed emotiva (che non deve diventare paradigma unico di espressione!).
Lo studio in definitiva sarà chiamato, nel suo doppio movimento di esteriorità (analisi) e interiorità (sintesi), ad una conoscenza piena usando, in modo equilibrato, sia il «linguaggio intellettuale» (in cui il silenzio e la concentrazione permettono l’approfondimento del concetto), sia «il linguaggio emotivo/figurativo», per evocare l’oltre dell’alterità, stimolato dai sensi, che supera i sensi, e che il pensiero da solo non potrebbe attingere.
Possibili fruitori
Le domande in gioco, dunque, sono differenti. Innanzitutto abbiamo veramente coscienza di chi sono i possibili fruitori di questa nuova didattica? Per Rivoltella il non frequentante non è necessariamente un fannullone «è qualcuno che, per ragioni storiche, culturali, professionali, non riesce a venire in aula, o preferisce trovare altri modi di accostarsi alla formazione».
La flessibilità del mezzo informatico permette oggi nuove formule di studio a chi ha un’occupazione fissa o la responsabilità di una famiglia, ma che non disdegna di utilizzare le sue serate per seguire in differita e che non si fa problemi a legare con compagni di aula «virtuali». Nella mia esperienza (di prete all’interno di una congregazione religiosa e di assistentato ad una cattedra universitaria) non posso non pensare ai desideri di formazione di tanti cappellani ospedalieri e militari che conosco (sparsi per il mondo) e anche agli insegnanti di religione cattolica che vorrebbero perfezionare la loro formazione con una licenza o un dottorato, che sono impediti dal poco tempo a disposizione e dalla richiesta residenziale pluriannuale, o l’obbligo di frequenza dei corsi classici in presenza.
Altra considerazione va fatta in riferimento a questo nostro tempo «accelerato», che seppur allarga i confini spesso ci trova confusi e disorientati col susseguirsi delle sue novità mediatiche di ere informatiche sempre più corte. Si tratta di una «moltiplicazione» di possibilità banali o superflue, oppure siamo di fronte a una nuova fase di espressione della ricchezza intrinseca dell’umano che mai si accontenta, comunicando/trasmettendo di più e in più forme?
Storicamente lo «scritto» è venuto in aiuto della parola e la parola del pensiero, quasi come una matrioska in cui tutto è conservato in modo concentrico. Sarà così anche per un nuovo linguaggio/didattica multimediale? Per un’aula mista ibrida delocalizzata e in presenza?
Di sicuro nel tempo post-pandemico che ci aspetta è necessario incanalare questo novum «accelerante» senza pregiudizi, armonizzandolo nella sapienza antica (non antiquata) della cultura che già possediamo.
Ringrazio per la possibilità dei corsi online in teologia. Sono una lavoratrice e senza questa modalità così flessibile non avrei potuto arricchirmi per il cammino della mia vita personale.
Lascio la mia testimonianza su questo argomento, per un piccolo contributo al dibattito. Dopo il diploma, mi sono laureata in filosofia nel 2011. Alla fine degli studi, è maturato in me il desiderio di continuare gli studi teologici, percorso che non è stato possibile perchè incompatibile con l’attività lavorativa. Solo con la pandemia e con la strutturazione dei corsi online, ho potuto riprendere in mano questo sogno, che arricchisce la mia vita spirituale ed ecclesiale.
La breve riflessione che l’articolo mi sollecita non si basa su delle particolari competenze in materia, ma sulla esperienza personale. La domanda che mi risulta centrale è come tenere insieme l’articolazione della vita età, professione, famiglia , residenza, impegni pastorali e la possibilità di mantenere vivo e significativo il desiderio di formazione e di studio che ha in se anche la ricerca di senso per illuminare il resto a volte troppo frammentato. Ora la formazione teologica in particolare può svolgere questa straordinaria funzione e la possibilità di farlo in modo serio in un percorso rigoroso come quello universitario è una ricchezza di cui è possibile fruirne, per chi non è in fase della vita, che può dedicarvi tutto il tempo, solo mantenendo aperta la possibilità di uno studio on-line. Rimane sicuramente il desiderio di vivere la dimensione di una comunità che insieme vive il confronto diretto creando legami e condivisioni di vita. Forse il cercare di integrare i percorsi on-line con alcuni momenti , fine settimana cadenzati potrebbe ridurre questa mancanza. Più volte si afferma che dai momenti di difficoltà possono nascere nuove opportunità, se non pensiamo che sia solo retorica cogliamo questa nuova opportunità di formazione, facciamo gli aggiustamento utili, ma non disperdiamo questa ricchezza.
Sono docente di Religione, iscritta al Biennio di specializzazione in Teologia Interconfessionale presso la PUL.
Se il Corso non fosse stato attivato online, per me sarebbe stato impossibile seguirlo.
Esperienza straordinaria sia per la ricchezza dei contributi dei docenti che dei colleghi di Corso. La didattica a distanza ha consentito conoscenza e socializzazione di studenti e docenti provenienti da varie parti d’Italia e del mondo. L’Università, in questo caso, come ha scritto il prof Lorizio, si è rivelata luogo che genera cultura in un orizzonte davvero universale. Sono profondamente grata a tutti coloro che mi hanno donato questa preziosa opportunità di crescita umana e di approfondimento di studi teologici. Spero che altri studenti lavoratori possano in futuro fruire di corsi universitari online così sapientemente organizzati.
Giustamente la didattica a distanza ha dato la possibilità di seguire le lezioni a chi (per i più svariati motivi) non avrebbe avuto questa possibilità. E’ un pò come, quando si gioca a carte, mischiare il mazzo, altrimenti le carte vanno sempre alle stesse persone: si spera che questo tipo di didattica si possa reintrodurre, anche in concomitanza con quella tradizionale.
Il Covid-19 ha segnato per sempre lo stile di vita. Questo vale sia per la società che per la Chiesa. Per quanto riguarda l’Università, l’opzione “lezioni on-line” non può fare marcia indietro e deve entrare come scelta dello studente. Questa metodologia rende accessibile a tutti, senza barriere burocratiche-economiche, un percorso necessario per la formazione. Altrimenti si darà al termine “resilienza” quell’accezione negativa del filosofo Maurizio Ferraris: ritorno al punto di partenza.
La cosa più interessante che ho sentito dire in oltre due anni di pandemia è uscita dalla bocca di un sacerdote, il quale intervistato da un giornalista che lo sollecitava ad offrire una parola di speranza perché presto torni tutto come prima, ha letteralmente spiazzato l’interlocutore rispondendo più o meno così: “Il peggio che adesso potrebbe capitare sarebbe proprio che tutto torni come, perché significherebbe semplicemente che questa tragica esperienza non ci ha fatto fare un passo”. In effetti che umanità è quella che non sa trasformare un momento di debolezza in uno di forza? Questo chiederei anzitutto a quella corrente, oggi apparentemente maggioritaria, entusiasta del fatto che la didattica a distanza si avvierebbe finalmente ad essere definitivamente archiviata. Eppure per me, quarantenne, è stata come una manna dal cielo, perché mi ha permesso di realizzare un desiderio che coltivavo da tempo, prima irrealizzabile per gli impegni lavorativi e per l’impossibilità anzitutto economica di trasferirmi a Roma, di riprendere gli studi filosofico-teologici presso l’Università Lateranense, sciaguratamente interrotti molti anni fa. In questi due anni non ho perso un’ora di lezione, né mi sono sentito per così dire come lo spettatore di un film, ma credo di aver saputo interagire con colleghi e professori durante e fuori dell’orario scolastico, non meno che se fossi stato in presenza. Non sto ad elencare i vantaggi che il mantenimento, direi anzi l’istituzionalizzazione della didattica ibrida, ossia contemporaneamente in presenza ed in telepresenza, porterebbe ad una vasta platea di potenziali studenti, soprattutto laici adulti, ma certo non solo. C’è forse bisogno di ricordare quanto l’approfondimento dell’intellectus fidei sarebbe necessario per una sempre più vasta platea? Direi anzi che le Università Pontificie per una volta dovrebbero guidare il cambiamento, non stare col freno a mano tirato. C’è bisogno di ricordare quanto sia stato controproducente ostacolare un Matteo Ricco quando chiedeva che in estremo oriente la liturgia fosse celebrata secondo la lingua locale? Nelle opposizioni di oggi rivedo le opposizioni di ieri. La didattica a distanza si presta a delle patologie? Certo, come quella in presenza. Abbiamo però l’intelligenza per rimediarvi. Per questo la mia è una preghiera accorata financo al papa. Non permetta che tante persone siano di fatto tagliate fuori dagli studi teologici. Paolo Angelo Poli, studente iscritto al III anno del quinquenni filosofico-teologico presso la Pontificia Università Lateranense.
Sono un’insegnante di Religione e mi sono trasferita a Roma proprio per perfezionare i miei studi. Ma è soltanto grazie al Covid che ho potuto finalmente iscrivermi al corso di Licenza in Cristologia della Pontificia Università Lateranense. Ed è grazie alla didattica a distanza – e poi mista – messa in campo dall’Università che ho potuto frequentare i corsi previsti dal mio Piano di Studi, ora in modalità sincronia ora in modalità asincrona. Un sogno che pian piano si è fatto realtà. Se si ha l’intenzione di aprire realmente questi studi anche ai fedeli laici, la didattica mista può essere una grande alleata. Ovviamente ci sarebbero altri numerosi vantaggi anche per chi è impossibilitato a raggiungere Roma ma è animato da un forte desiderio di pensare la propria fede, cosa che possiamo fare insieme nello Spirito in qualsiasi modalità.