Virtù e tentazioni degli adulti

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Di adulti abbiamo tanto bisogno. Per educare, servono gli adulti; per trasmettere la fede, servono gli adulti; per la manutenzione efficace e giusta del bene comune, servono gli adulti; per creare comunità di gioia, come desidera papa Francesco, servono gli adulti; per far sì che altri adulti vengano al mondo, servono ancora una volta gli adulti.

Eppure gli adulti che ci servono così tanto non ci sono più. Appena un anno fa, il famoso giurista italiano Gustavo Zagrebelsky poté dare alle stampe un piccolo e acuto saggio intitolato Senza adulti. Era, in fondo, la presa d’atto di uno stato di cose a dir poco miserevole. Così si interrogava: «Dove sono gli uomini e le donne adulte, coloro che hanno lasciato alle spalle i turbamenti, le contraddizioni, le fragilità, gli stili di vita, gli abbigliamenti, le mode, le cure del corpo, i modi di fare, persino il linguaggio della giovinezza e, d’altra parte, non sono assillati dal pensiero di una fine che si avvicina senza che le si possa sfuggire? Dov’è finito il tempo della maturità, il tempo in cui si affronta il presente per quello che è, guardandolo in faccia senza timore? Ne ha preso il posto una sfacciata, fasulla, fittiziamente illimitata giovinezza, prolungata con trattamenti, sostanze, cure, diete, infiltrazioni e chirurgie; madri che vogliono essere e apparire come le figlie e come loro si atteggiano, spesso ridicolmente. Lo stesso per i padri, che rinunciano a se stessi per mimetizzarsi nella cultura giovanile dei figli».

Dove sono allora gli adulti che ci servono così tanto? Sono scomparsi, finiti, intrappolati in una cultura del giovanilismo che li rende sempre meno all’altezza della loro vocazione educativa e generativa.

Per tale ragione non c’è, in verità, aspetto problematico dell’attuale nostra società che non sia in una misura o in un’altra legata al fatto che la stragrande maggioranza di coloro che hanno compiuto e oltrepassato i 35 anni d’età, e che quindi sono cronologicamente adulti, non ha più alcuna intenzione di investirsi nel nobile seppure difficile “mestiere dell’adulto”. Questo fa sì che ci sia una discrepanza tra il suo essere adulta anagraficamente parlando e il suo impegno da adulto sotto il profilo delle relazioni educative e quindi della trasmissione della fede e quindi della responsabilità nei confronti della società, presente e futura.

Qui troviamo la più grande tentazione degli adulti: una tentazione alla quale non hanno saputo resistere. E la tentazione è stata ed è quella di aver fatto, della giovinezza, il loro ideale di vita: l’essere giovani, per loro, non è più una stagione della vita tra le altre, ma una sorta di modello permanente dell’umano. In questo modo, anziché porsi come modelli di vita umana compiuta, prendono i loro stessi figli a modello della loro esistenza, rinunciando del tutto a ogni vero impegno educativo. E, anziché vivere l’autentica virtù dell’adulto – quella del saper dimenticarsi di sé per prendersi cura dell’altro – hanno iniziato ad ingaggiare una folle lotta contro la vita, il tempo, la vecchiaia, la condizione finita e precaria dell’esistenza umana e contro la realtà della morte stessa.

Il risultato è, alla fine dei conti, che siamo davanti una generazione di adulti che ama la propria giovinezza più dei propri figli. Non a caso la nostra società, in mano a questi adulti così poco adulti, non è per nulla ospitale nei confronti di coloro che giovani lo sono veramente e nulla o quasi nulla fa per andare incontro alle loro giuste esigenze.

Ma c’è ancora qualcuno interessato a svegliare gli adulti da questo sonno dogmatico del giovanilismo in cui sono caduti? Di certo non lo è la politica, ancora di meno il mercato e l’economia di sistema, per nulla la cultura diffusa e il mondo dei mass media.

Convinta si è alzata solo la voce di Benedetto XVI, quella dei vescovi italiani e ancora quella di papa Francesco. Tornino gli adulti!

Lo sappiamo bene che il mestiere dell’adulto – la sua virtù – non è certamente facile; già Freud affermava che quello dei genitori è un mestiere quasi impossibile. Tuttavia si deve riaffermare con vera convinzione che l’assunzione della propria responsabilità educativa è la vera strada per la felicità di ogni essere umano; una felicità che ultimamente consiste nel dare al mondo persone che, grazie a noi, non hanno più bisogno di noi, nel permettere quindi ad altri di stare sulle proprie gambe grazie al nostro impegno e fatica. Solo riscoprendo questa autentica gioia della generazione, si possono anche accogliere le sfide e i pesi che ogni reale processo di crescita comporta, per i figli e soprattutto per i genitori e gli educatori.

D’altro canto, Dio non ha scelto per sé, tra le numerose sfaccettature dell’umano, il nome di “padre”? Di genitore? Di educatore? Come a dirci che, tra le cose umane, la più divina è proprio questa: vivere da adulti che danno vita a e lasciano andare sulle proprie gambe i loro figli.

Armando Matteo

Don Armando Matteo, sacerdote della diocesi di Catanzaro-Squillace, è docente di Teologia fondamentale presso la Pontificia università urbaniana. Dal 2005 al 2011 è stato assistente nazionale della Federazione Universitaria Cattolica Italiana (FUCI).

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