Intervista ad Andrea Grillo pubblicata da IHU-on-line, n. 483 (Intervista di Joao Vitor Santos, edizione di Patricia Fachin, traduzione di Moises Sbardelotto)
1) Qual era la sua aspettativa, cosa aspettava dal documento?
Sulla base di ciò che avevo letto durante il Sinodo e di quanto Francesco aveva detto, lungo i lavori, avevo percepito la possibilità che il documento che avrebbe chiuso la fase sinodale avrebbe rappresentato un passaggio importante del magistero di questo pontificato. E, in effetti, si tratta di un testo di grande rilevanza, non solo per comprendere il disegno pastorale di Francesco, ma nella storia del magistero cattolico nella Chiesa moderna e contemporanea. È una svolta che realizza, per la prima volta in modo così pieno, il disegno concepito da Giovanni XXIII e proseguito, almeno in parte, solo da Paolo VI. E costituisce una reazione alle tendenze nostalgiche che hanno caratterizzato un parte del magistero di Giovanni Paolo II e una grande parte di quello di Benedetto XVI.
2) Sottolinei tre a cinque punti importanti che trova nel documento e li giustifichi.
Ecco i 5 punti per me più rilevanti:
a) il magistero non deve dire tutto: questo antico criterio ecclesiale, che era stato superato con il Concilio Vaticano II, chiamato in fondo a “ridire tutto almeno una volta”, ora ritorna in voga nella pratica magisteriale. Il ministero magisteriale restituisce alla dinamica ecclesiale la “mediazione della contingenza”, senza pretendere di incasellarla una volta per tutte in una “legge generale”;
b) misericordia e giustizia non sono sullo stesso piano, ma la misericordia è la origine e il fine della giustizia. Questo ha conseguenze non piccole non solo sulla “gestione delle crisi” matrimoniali, ma sul modo di intendere il fondamento e il fine della famiglia. Esso non è affidato in primis ai diritti e ai doveri, ma alla esperienza di un dono;
c) Nella storia della Chiesa si intrecciano due modalità di rapporto con le crisi: una vuole escludere e l’altra vuole integrare. Fin dal Concilio di Gerusalemme la seconda ha prevalso sulla prima, fino a far discendere il senso stesso della Chiesa da questa capacità di integrazione;
d) Una profonda autocritica circa il rapporto della Chiesa con il mondo moderno diventa – indirettamente – un’importante affermazione ecclesiologica: il rapporto tra Chiesa e mondo viene reimpostato non sul registro negazione/affermazione dei valori (non negoziabili) ma su quello del riconoscimento dei “segni dei tempi”. Da una logica metafisico/cognitiva/autoritaria ad una logica esperienziale/affettiva/ministeriale.
e) Ricondurre tutto all’incontro concreto con la parola di Dio come luogo del discernimento, evitando di consegnare il giudizio al linguaggio astratto di norme generali, che diventano “pietre” e che tradiscono il volto materno della Chiesa, irrigidendolo nella figura accigliata di un giudice.
3) Sottolinei tre avanzamenti, nuove prospettive che il documento porta con sé. Perché sceglie questi avanzamenti?
– cambia il magistero: il rapporto tra autorità centrali e autorità periferiche risulta profondamente modificato. Il papa aveva appreso a risolvere le controversie mediante una norma ecclesiale che riservava a sé la decisione. Francesco utilizza la propria autorità per investire di autorità vescovi e presbiteri. Passa dalla logica del motu proprio a quella del motu communi…
– cambia il rapporto tra pastorale e giuridico: a una tradizione che aveva ridotto il campo matrimoniale a una serie di istituzioni giuridiche, quasi erodendo ogni spazio per la cura pastorale, si risponde con una azione che sta riequilibrando la via giuridica con la via pastorale. Lo spazio che si è aperto appare “abissale”, ma è, in realtà, frutto non solo della tradizione, ma anche del buon senso.
– cambia il rilievo del soggetto, della coscienza e della storia: in questo percorso di apertura, nuovo rilievo “rivelato” acquista il soggetto. Dio non è solo nella massima esteriorità della legge, ma anche nella intima interiorità della coscienza. Dio come “intimior intimo meo” provoca ad una riconsiderazione del rapporto tra esteriorità e interiorità, con un recupero della seconda. Potremmo dire che Francesco legge Humanæ vitæ con gli occhiali di Dignitatis humanæ. Crea una nuova sintesi: Dignitatis humanæ vitæ!
4) Quali sono i limiti del documento?
Se dobbiamo parlare dei limiti dobbiamo riconoscere che il documento ha la forza di un “inizio”, o, meglio, dell’inizio di un inizio. La sua profezia si scontra, in qualche caso, con formulazioni ed espressioni ancora legate al modello che pure si sta superando. Alcune parti – ad es. quelle dedicate alle donne e quelle a riguardo delle diverse forme di convivenza – risentono di un linguaggio ancora formulato in un linguaggio pregiudiziale.
5) Quali dovranno essere gli impatti del documento su: a) il pontificato; b) la Chiesa?
L’impatto primario è proprio una accurata ridefinizione del rapporto tra pontificato e Chiesa. Come dicevo, oggi, con Amoris lætitia, siamo all’inizio di un inizio. La legge non è più solo pedagogia, la coscienza diventa passaggio obbligato, la contingenza non è più abbandonata alla mercé di una “oggettività” tanto idealizzata quanto aggressiva. L’inizio di un inizio non è mai facile. Agli occhi di qualcuno può sempre apparire come l’inizio di una fine. Un magistero che affida al discernimento concreto la comunione ecclesiale è un magistero che riacquista forza, perché torna nell’alveo della sua originaria funzione: servire alla fede battesimale, che nel matrimonio realizza il Regno di Dio, pur con tutte le sue crisi e i suoi fallimenti. Accettare che il matrimonio possa fallire non è debolezza, ma forza del sacramento e della fede. Uscendo dal modello esclusivamente istituzionale di lettura dell’amore, papa Francesco fa una operazione di “traduzione della tradizione” di prima qualità. Ma avrà bisogno di una Chiesa che si sobbarchi la responsabilità di non farsi sostituire dal superiore di turno. Spogliandosi di un potere oggettivo e oppositivo, il papa ha investito la Chiesa della autorità dello Spirito, come dono di misericordia che non esclude nessuno.
6) Come l’esortazione Amoris lætitia dovrebbe essere letta? Quali sono le somiglianze con l’Evangelii gaudium? (In termini testuali, di stile delle fonti citate e di contenuto.)
Ora possiamo comprendere che Evangelii gaudium è la premessa teorica e argomentativa di Amoris lætitia. E chi diceva che il primo non era “magistero” ora è costretto a restare in questo registro imbarazzante… Dalla gioia del Vangelo scaturisce la lettura dell’amore come letizia. Ed è lo sguardo evangelizzato che può cogliere l’amore, lì dove si manifesta, come annuncio di grazia. Dobbiamo leggere AL come la esperienza della gioia del Vangelo nel contesto delle forme familiari dell’amore.
7) Ci fu un grande silenzio, sia tra i giornalisti che i teologi, sia all’interno che all’esterno della Chiesa, nei giorni precedenti alla divulgazione della esortazione. Adesso, con il documento reso pubblico, quali sono le reazioni? E come lei legge questo silenzio previo alla pubblicazione?
Credo che sia giusto leggere questo “altissimo silenzio” come il frutto di una attesa comprensibilmente inquieta. Questo itinerario di tre anni, lanciato dalle parole stesse di papa Francesco, aveva creato un clima di grande aspettativa (e, per alcuni, di estremo timore). Questo giustifica la tensione e la esitazione degli ultimi giorni. Ma non giustifica il fatto che soprattutto coloro che temevano il documento ora pretendano di interpretarlo senza leggerlo!
8) Come interpreta la dichiarazione del papa che, all’inizio del documento, dice che è necessario uscire dell’opposizione sterile tra l’ansia del cambiamento e l’applicazione pura e semplice di norme astratte? E come questa idea riappare ed è sottolineata lungo l’esortazione?
Mi sembra che si debba giudicare questa affermazione di Francesco in due modi, che non debbono essere ritenuti alternativi: da un lato esprime il desiderio di lavorare per unire e non per dividere. Cerca di mediare tra chi voleva “tutto nuovo” e chi si aspettava la semplice “conferma del sistema”. Ma, d’altra parte, mi pare che questa sia la vera novità: ossia la rinuncia a “risolvere dall’alto” e la responsabilizzazione dei ministri “prossimi alle famiglie”. Se il papa avesse “deciso tutto”, avrebbe fatto prevalere lo spazio sul tempo. Delegando ai singoli vescovi e ai singoli parroci la “cura pastorale del discernimento nella misericordia” ha posto le premesse per dare inizio a “percorsi temporali di integrazione”. In tutto questo non c’è solo “diplomazia”, ma anzitutto una determinata lettura della Chiesa e delle sue dinamiche più delicate.
9) In che modo le discussioni che sono emerso durante tutto il processo sinodale sono organizzate nel documento? Cosa questa esortazione rivela su questo Sinodo in particolare?
Il papa si riferisce con rispetto e con libertà al testo della prima e della seconda Relatio Synodi. E utilizza anche il patrimonio di proposizioni che vengono da tutta la tradizione recente e meno recente. È significativo, tuttavia, che, come appariva già dopo la conclusione dell’ottobre scorso, l’impronta del documento scaturisce dal contributo di discorsi e di interventi che papa Francesco aveva tenuto, proprio in occasione dei due Sinodi. E non è azzardato affermare che il miglior teologo, il più acuto e il più limpido, in tutti questi tre anni, sia stato proprio papa Francesco.
10) Che concetto di famiglia è possibile recepire dalla lettura dell’esortazione? Fino a che punto il testo aggiorna il concetto della Chiesa sul matrimonio? Come lei valuta il trattamento dato alle cosiddette famiglie non convenzionali (unione omoaffettive, unione di coppie separate…)?
Nel giudicare l’“immagine di famiglia”, dobbiamo riconoscere che per la prima volta, in modo pieno, dopo 140 anni, il magistero papale, dopo aver compiuto tutto il lungo percorso sinodale, dopo aver ascoltato, interloquito, proposto, accolto, selezionato, dice una parola sull’amore e sulla famiglia, prova ad uscire dallo stereotipo “reattivo”, che il cattolicesimo si è fatto imporre dalla storia politica d’Europa. Poteva uscire dallo stereotipo soltanto un papa non-europeo. Soltanto il primo papa americano, soltanto il primo papa “figlio” del Concilio poteva avere la libertà e la forza di uscire dal “complesso di persecuzione” che sul matrimonio avevamo maturato da Leone XIII in poi.
Il matrimonio, infatti, 140 anni fa, non significava anzitutto “amore di coppia”, ma società, generazione, educazione. E allora la contesa era: chi ha la competenza sul matrimonio? Lo Stato usurpatore o il Supremo legislatore, unico legittimo? Questa eredità era rimasta anche 50 anni dopo, quando, con Pio XI, il tema del contendere era diventato: chi ha il potere di generare? Dio, naturalmente, o l’uomo, artificialmente? E anche questo venne ad aggiungersi alla contesa precedente, fino al Vaticano II. Sulla famiglia le parole di Gaudium et spes, per quanto ispirate ai testi precedenti, fecero epoca, ma per poco. Humanæ vitæ tornò a polarizzare la tensione, con grande effetto mediatico, ma con poca efficacia pratica. Infine arrivò Familiaris consortio, che iniziò a riconoscere la società differenziata, accettando che la comunione ecclesiale potesse essere diversa dalla comunione sacramentale. Ma non aveva ancora gli strumenti per rispondere a questa nuova condizione: sapeva riconoscerla, ma restava in imbarazzo sulle forme concrete della risposta. Riconosceva il problema, ma rispondeva come se non lo riconoscesse. Ora Francesco ha potuto riconoscere che la “famiglia naturale” non è a garanzia della competenza ecclesiale, ma forma originaria del mistero di Dio nell’uomo.
11) Vuole aggiungere qualcos’altro?
La rinuncia a porre una “nuova legge generale” – esplicitata da papa Francesco – non significa che AL non voglia ridefinire il linguaggio e la disciplina di FC e non viceversa! Siccome non è mancato chi – in modo tanto arrischiato quanto sorprendente – ha osato provare a capovolgere le cose, occorre ribadire che, almeno su questo piano, AL è inserita nell’alveo normale del magistero ecclesiale, con la sua gerarchia delle fonti. Ed è singolare, in questo caso, che siano uomini della gerarchia a non riconoscere la gerarchia! Per contestare seriamente tutto questo si dovrebbe poter provare o che AL non è un’esortazione apostolica postsinodale (esattamente come FC, ma di 35 anni dopo) oppure che FC è in realtà un testo del 2019! Ma ci sarebbe una alternativa ulteriore: riuscire a dimostrare, con opportuna retrodatazione, che AL è un testo del 1980, di modo che FC possa essere successiva e quindi superiore nella gerarchia delle fonti… Finzione per finzione, questa almeno avrebbe una sua parvenza di dignità.
Pubblicato il 24 luglio 2016 nel blog: Come se non