Lo scorso sabato 16 giugno 2018 – quasi contemporaneamente alla pubblicazione dell’ultimo numero di Micromega – papa Francesco riceveva in Vaticano, nella Sala Clementina, una delegazione del Forum delle associazioni familiari. Come è noto, l’autorevole rivista ha dedicato al pontefice un dossier (4/2018) molto critico, intitolato «La finta rivoluzione di papa Bergoglio», da poche ore in libreria quando Francesco, in un discorso tenuto a braccio, faceva alcune dichiarazioni sul valore e il senso della famiglia, tali da accendere ancor di più una polemica inerente alla natura del suo pontificato, polemica ancora in piena fase espansiva.
A dire il vero, nei giorni immediatamente successivi al discorso tenuto nella Sala Clementina gli organi di stampa hanno riportato stralci delle affermazioni del papa, con virgolettati talora non congruenti tra loro e con commenti spesso fugaci e approssimativi, tali da generare confusione, sgomento o immediata ed esplicita condanna, a seconda dell’atteggiamento interiore e delle predisposizioni d’animo del lettore. Mi riferisco, ovviamente, al lettore critico, rappresentante della cosiddetta «sinistra ecclesiale», in quanto immagino che, invece, da parte dei cristiani integralisti ci siano stati corali consensi alle presunte affermazioni papali circa le famiglie arcobaleno, che sarebbero state totalmente «cancellate» dalle sue parole forti e discriminatorie, pronunciate in modo dissennato, circa l’aborto, che sarebbe stato paragonato, sic et sempliciter, alle pratiche messe in atto del nazismo e infine circa le donne, invitate a restare in casa ad aspettare in silenzio il ritorno dei mariti infedeli, così come è stato riferito dalla maggior parte dei quotidiani, a conferma della mentalità conservatrice di un uomo venuto da una terra ai confini estremi del mondo, mentalità finalmente rivelatasi in tutta la sua incontenibile veemenza.
Prima di esprimere giudizi affrettati e fare processi sommari mi è sembrato opportuno tentare di capire meglio, leggendo le dichiarazioni integrali di Bergoglio, inserite nel contesto nel quale sono state pronunciate. Ho cercato nel web e nei maggiori organi di stampa il famigerato testo del discorso del 16 giugno, il testo che avrebbe finalmente fatto uscire allo scoperto il vero spirito di questo pontefice, finora abile dissimulatore della sua vera natura. Sicuramente per mia incapacità, non ho trovato da nessuna parte il discorso integrale del 16 giugno, ma solo stralci disorganici e, quindi, ho pensato di rivolgermi alla fonte ufficiale, il sito della Santa Sede (vatican.va). Appena entrato nel sito, è stato facilissimo reperire quello che mi interessava. Per quanto riguarda l’incontro del santo padre Francesco con la delegazione del Forum delle associazioni familiari, tenuto il giorno 16 giugno, vengono trascritti due discorsi: «Discorso del Santo Padre a braccio» e, a seguire, «Discorso del Santo Padre consegnato». Insomma esiste un discorso ufficiale, consegnato agli atti, ma mai pronunziato in pubblico e un discorso, diciamo, non ufficiale (se non si trattasse del papa, potremmo dire, «privato»), improvvisato e detto a braccio in occasione dell’incontro con la delegazione del Forum delle associazioni familiari, a cui, evidentemente il papa ha voluto rivolgersi usando toni e parole più familiari (si parlava, guarda caso, della famiglia e cosa c’è di più familiare della famiglia!).
Spinto da incontenibile curiosità, in primis, ho letto tutto d’un fiato il discorso ufficiale, quello scritto e preparato, però mai detto, alla ricerca delle famigerate affermazioni che, frutto di meditazione ed elaborazione, costituiscono dottrina ed avrebbero finalmente mostrato la vera natura di quest’uomo, accusato di essere ancorato a posizioni oscurantiste per quanto concerne la famiglia e le problematiche ad essa connesse. Ho letto, riletto, ma nemmeno l’ombra di quelle sconsiderate dichiarazioni, neppure un cenno. Insomma, a livello ufficiale, nel testo che aveva preparato per l’occasione il pontefice dice sulla famiglia cose condivisibili, sulla scia dei documenti già promulgati, muovendosi, ovviamente, in un’ottica nella quale forte è il riferimento ai valori fondanti il Cristianesimo (ma, d’altronde, come potrebbe essere altrimenti!).
A questo punto sono passato alla lettura del «Discorso del Santo Padre a braccio», così è definito nel sito della Santa Sede l’intervento di papa Francesco del 16 giugno, che non poteva non contenere le controverse dichiarazioni. Cercherò di ripercorrere le linee argomentative in esso sviluppate e soprattutto mi sforzerò di cogliere lo spirito che muove quest’uomo quando parla, consapevole della sua grandezza e della mia piccolezza, che renderanno estremamente arduo il compito prefissomi.
L’incipit del papa è veramente «rivoluzionario» rispetto a ogni protocollo e consuetudine, non nel senso di un’apparente rivoluzione, ma in modo reale e compiuto. Francesco immediatamente si decentra, collocandosi idealmente ai margini dell’assemblea e ponendo al centro uno dei partecipanti, un certo Gianluigi, che aveva preso la parola prima del suo intervento. Le parole di Gianluigi sulla famiglia hanno profondamente colpito l’animo di Francesco, in quanto intrise di passione, al punto tale da indurre il papa a cambiare completamente programma e ad affermare: «Io ho preparato un discorso. Ma dopo il calore con il quale ha parlato lui, questo lo trovo freddo. Lo consegno, perché lui dopo lo distribuisca, e poi lo pubblicherò». Il papa ancora una volta sorprende tutti e ripropone un modus agendi già attuato in altre occasioni, ma che, nonostante ciò, non finisce di stupire per la radicale controtendenza rispetto ai canoni di comportamento sedimentati nella plurimillenaria storia della Chiesa e del papato.
Francesco ritiene inadeguato il suo discorso ben confezionato, ma freddo, e decide di parlare con il cuore, proprio come ha fatto Gianluigi: «Lui ha parlato col cuore – afferma – e tutti voi volete parlare così. Prenderò qualcosa che lui ha detto, e anch’io vorrei parlare col cuore, e dire a braccio quello che mi è venuto nel cuore quando lui parlava». L’intenzione espressa dal papa è chiara: abbandonare ogni formalismo razionale e convenzionale e dare spazio alle emozioni profonde che un tema come la famiglia suscita nell’animo di chiunque, in quanto tocca corde intime e inaccessibili, ambiti non percorribili attraverso il rigore della logica e la purezza della ragione: «Mentre lui parlava, mi venivano a mente tante cose, tante cose sulla famiglia, cose che non si dicono, non si dicono normalmente, o, se si dicono, si dicono in modo bene educato». Insomma – sembra voler dire Francesco – la famiglia è un tema tanto delicato e importante che è giusto confrontarsi su di essa non solo sotto il profilo razionale, ma anche a partire dal proprio vissuto, dai quei ricordi rimasti indelebili negli angoli più remoti della coscienza e della non coscienza, per metterli insieme e condividerli, anche a rischio di perdere in lucidità formale e dire «tante cose che non si dicono, non si dicono normalmente». Ne viene fuori un discorso intenso e struggente che rivela a pieno, forse ancor di più dei pronunciamenti canonici e ufficiali, la sensibilità di un uomo ormai anziano che parla seguendo il flusso ininterrotto della coscienza, nel quale parole apparentemente insignificanti o semplici gesti legati ad una vita lontana attivano ricordi ed emozioni non facilmente trasferibili nel discorso scritto. In tal modo prende gradualmente forma un testo dall’andamento non sempre fluido, tipico del linguaggio orale, costruito attraverso parole che denotano stati d’animo, situazioni, desideri, valori, parole dette e condivise con gli interlocutori senza alcuna mediazione o censura, nella certezza di essere capito e amato. Un testo che rivela, da parte di Francesco, assoluta fiducia negli altri, ai quali decide di affidare quanto di più profondo risiede nell’animo, senza alcuna remora. Sembra che Francesco dica: l’altro non mi può tradire, gli posso dire tutto, proprio tutto, perché io amo chi mi sta di fronte e sono certo di essere riamato.
Vediamo ora quali sono queste «parole» o «concetti» pregnanti, inerenti alla famiglia, che partono dal cuore di Francesco e vengono affidati al cuore di chi ascolta e legge. Per necessità di sintesi li elencherò, cercando di ricostruire brevemente il contesto significativo nel quale hanno visto la luce durante il discorso papale:
Guardarsi negli occhi: chi si ama veramente si guarda negli occhi, non può farne a meno. Francesco, al riguardo, racconta un aneddoto riguardante una coppia che festeggiava il sessantesimo anniversario di matrimonio la quale, durante l’incontro con lui, continuava a guardarsi negli occhi, dicendo: «Siamo innamorati». Egli dice: «Non lo dimentico mai. “Dopo sessant’anni siamo innamorati”. Il calore della famiglia che cresce, l’amore che non è un amore di romanzo. È un vero amore. Essere innamorati tutta la vita, con tanti problemi che ci sono… Ma essere innamorati».
Pazienza: parola chiave nelle dinamiche della vita familiare, «pazienza di sopportarsi a vicenda», in nome dell’amore. La centralità di questo valore è testimoniata in modo emblematico dalle coppie più anziane con molti anni di matrimonio. Alle coppie giovani, spesso invece impazienti, Francesco raccomanda: «È normale che si litighi, perché siamo persone libere, e c’è qualche problema, e dobbiamo chiarirlo. Ma non finire la giornata senza fare la pace. Perché? Perché la “guerra fredda” del giorno dopo è molto pericolosa».
Sacrificio: «La vita di famiglia è un sacrificio, ma un bel sacrificio […]. L’amore nel matrimonio è una sfida, per l’uomo e per la donna. Qual è la più grande sfida dell’uomo? Fare più donna sua moglie. Più donna. Che cresca come donna. E qual è la sfida della donna? Fare più uomo suo marito. E così vanno avanti tutti e due. Vanno avanti». La famiglia, luogo di libertà, in cui ognuno dei protagonisti perfeziona e migliora il suo essere, diventando, nella relazione liberante con l’altro, sempre più se stesso. Questa è la tesi di Francesco, mi pare tutt’altro che misogina.
In tale contesto argomentativo, Francesco torna di nuovo sul concetto di pazienza, toccato nella fase iniziale del discorso, e lo utilizza per affrontare, con estrema delicatezza, il tema della infedeltà, che riguarda, ovviamente, entrambi i coniugi. Egli si rivolge principalmente alle donne, solo perché pensa (a torto o a ragione?) che gli uomini infedeli siano quantitativamente più numerosi delle donne, non per altro motivo o per misoginia, come è stato sostenuto impropriamente, falsando sostanzialmente il suo pensiero. Francesco non dà consigli su come comportarsi in tale contingenza, ma si limita a descrivere un dato di fatto, un comportamento tante volte assunto dalle donne (e in caso di parti invertite, anche dagli uomini: «Tante donne […] ma anche l’uomo a volte lo fa»), che hanno avuto pazienza, hanno saputo aspettare, perdonando e «salvando», in tal modo, il matrimonio. Il papa non giustifica affatto – come hanno lasciato intendere tante sintesi «divulgative» proposte in questi giorni dai media – il tradimento da parte di un coniuge (il marito) e l’attesa passiva da parte dell’altro (la moglie), ma focalizza il discorso sulla forza risolutiva del perdono. La pazienza «che perdona tutto perché ama» è una forma di «santità», in grado di tutelare la famiglia dalle spinte disgregative e centrifughe, che altrimenti – lascia intendere il papa – la travolgerebbero facilmente e fatalmente, orientandola di frequente verso una rapida fine. Amore, pazienza, perdono è la linea argomentativa, laddove l’amore è la radice da cui può germogliare il frutto del perdono. Nell’ottica di Francesco, l’amore paziente che sa perdonare, non è una forma di passività, debolezza o ammissione di subalternità, ma la condizione psicologica di chi è consapevole della propria forza e della forza risolutiva dell’amore perdonante, garanzia della possibilità di instaurare relazioni interumane non autoreferenziali, ma sinceramente aperte all’ascolto dell’altro.
Mi rendo conto. Questi possono sembrare valori antiquati inerenti ad una morale oramai desueta, ma sono i valori fondanti la fede cristiana, imprescindibili per sentirsi o definirsi tali. Francesco non si pone con l’atteggiamento dogmatico del defensor fidei, non li presenta come prescrittivi e come gli unici possibili («Può darsi che un uomo e una donna non siano credenti: ma se si amano e si uniscono in matrimonio, sono immagine e somiglianza di Dio, benché non credano»), non paventa ammende o punizioni divine per chi decida eventualmente di non seguirli, ma li presenta solo come preferibili, come ottativi dell’anima che voglia uscire dagli angusti limiti del proprio io per andare realmente incontro all’altro.
Permesso, scusa, grazie: chiedere permesso, saper chieder scusa e ringraziare sono tre «parole magiche» nel matrimonio, espressione di una «grandezza di cuore», così pensa Francesco.
Educazione dei figli: impegno difficile e di grande responsabilità. Il tema dei figli e della loro educazione sposta per un attimo, inevitabilmente, l’asse del discorso. La famiglia, come luogo in cui si realizza la formazione primaria della prole e, quindi, la perpetuazione delle specie, è chiamata ad assolvere compiti che richiedono scelte ponderate e mature da parte dei coniugi. Il papa ricorda che Gesù stesso, quando parla del matrimonio, dice: «L’uomo lascerà il padre e la madre e con sua moglie diventeranno una sola carne. Perché sono immagine e somiglianza di Dio. Voi siete icona di Dio. La famiglia è icona di Dio. L’uomo e la donna: è proprio l’immagine di Dio. Lui lo ha detto, non lo dico io. E questo è grande, è sacro». A questo punto ci imbattiamo nel secondo nodo controverso di questo splendido discorso: la questione delle cosiddette famiglie arcobaleno, che sarebbero state completamente cancellate dalle parole di Francesco. Il tema si lega a quanto finora detto sulla famiglia come «icona di Dio». È evidente che Francesco ritenga la struttura familiare tradizionale di tipo eterosessuale quella che, stricto sensu, incarna al meglio l’immagine che nella Bibbia emerge del nucleo familiare. Detto ciò, però, egli non intende cancellare, né negare nulla, non emette giudizi di alcun tipo o condanne etiche, non si pone in cattedra, come potrebbe, ma accetta un dato di fatto, cioè l’esistenza ineludibile di famiglie «diversificate», per descrivere le quali adotta la categoria della «analogia». In nessun passaggio del discorso nega che questo variegato pianeta arcobaleno sia costituito da famiglie. Potrebbe chiamarle semplicemente «unioni», ma si guarda bene dal farlo. Esse sono senz’altro famiglie, ma per «analogia», afferma Francesco. Il concetto di «analogia» è includente non escludente, indica commensurabilità, proporzione, relazione. Francesco lo usa per descrivere il fenomeno delle cosiddette famiglie arcobaleno proprio per accogliere, entrare in relazione, descrivere con amore. Come sono famiglie, per analogia, quelle formate da alberi e da stelle, allo stesso modo analogico sono da considerare famiglie quelle arcobaleno. In altri termini, la famiglia tradizionale (uomo/donna), deputata dalla biologia a mantenere in vita la specie e considerata nella Bibbia «icona di Dio», secondo il pensiero di Francesco è da considerare famiglia stricto sensu (l’espressione in corsivo è mia); le altre tipologie di convivenza, nella loro articolazione variegata, costituiscono anch’esse delle famiglie, ma lo sono perché determinate e organizzate in analogia al modello primario.
L’analisi di Francesco, naturalmente, può anche non essere condivisa ma, come si è visto, è ben lontana dalla negazione e cancellazione totale delle famiglie arcobaleno, come si è sostenuto in questi giorni e come viene affermato dalla stampa integralista di destra. Non è formulata mai alcuna condanna pregiudiziale, anzi mi pare che ci sia un riconoscimento e un’accettazione dell’assetto familiare proprio della società attuale.
Figli come dono. Il discorso di Francesco prosegue ancora sui figli che «sono il dono più grande. I figli che si accolgono come vengono, come Dio li manda, come Dio permette – anche se a volta sono malati». Siamo giunti, quindi, all’ultimo dei punti controversi del discorso papale, quello inerente al tema dell’aborto. Anche qui il discorso è chiaro e ben diverso da come è stato esemplificato dalla stampa. Riportiamo il passaggio che più ha fatto scalpore: «Nel secolo scorso tutto il mondo era scandalizzato per quello che facevano i nazisti per curare la purezza della razza. Oggi facciamo lo stesso, ma con i guanti bianchi». È evidente, quindi, che Francesco non intende riferirsi all’aborto in generale, come situazione drammatica che alcune donne si trovano a vivere, su cui egli non dice nulla in questa circostanza, ma all’uso esasperato della pratica abortiva a fini eugenetici. Questa ipotesi è confermata dalla esplicita menzione di Sparta, città guerriera dell’antica Grecia, in cui si era soliti selezionare i bambini nati in base a rigidi criteri eugenetici. Difatti i più deboli e malformati, cioè i non idonei all’uso delle armi, venivano esposti e lasciati morire sulle falde del monte Taigeto, tristemente famoso, adottando una pratica percepita oggi come atroce e unanimemente condannata. Francesco fa riferimento diretto alle sensazioni spiacevoli che le lezioni concernenti la vita di Sparta, fatte dal professore di storia, producevano nel suo animo di giovane allievo. Pertanto sia il riferimento al nazismo, sia quello a Sparta disegnano, senza ombra di dubbio, l’area problematica nella quale si muove l’argomentare di Francesco, ossia l’uso esasperato e affrettato della pratica abortiva con uno scopo palesemente eugenetico, teso ad evitare la nascita di individui con «possibili» patologie o semplici anomalie divergenti dalla cosiddetta «normalità». Le parole di Francesco sono chiare e non lasciano spazio al dubbio: «Voi vi siete mai domandati perché non si vedono tanti nani per strada? Perché il protocollo di tanti medici – tanti, non tutti – è fare la domanda: Viene male?»
È ovvio che anche su questo punto si può discutere a lungo, ma, in questa circostanza, le idee espresse da Francesco sulla questione dell’aborto sono ben più profonde delle riduzioni e delle banalizzazioni giornalistiche, che abbiamo letto.
Perdere tempo, con i figli. Al riguardo Francesco scava ancora una volta nella propria memoria e ricorda una domanda posta dal suo professore di filosofia, che aveva chiesto alla classe: «Qual è un criterio di tutti i giorni per sapere se un uomo, se un sacerdote è maturo. Noi rispondevamo delle cose… E lui: No, uno più semplice: una persona adulta, un sacerdote, è maturo se è capace di giocare con i bambini. Questo è il test. E io vi dico: perdete tempo con i bambini, perdete tempo con i vostri figli, giocate con i vostri figli».
I nonni. Il discorso di Francesco sulla famiglia si conclude in modo forse inaspettato, ricordando l’importanza dei nonni: «Ho detto dei bambini come tesoro di promessa. Ma c’è un altro tesoro in famiglia: sono i nonni. Per favore, abbiate cura dei nonni! Fate parlare i nonni, che i bambini parlino con i nonni. Accarezzate i nonni, non allontanateli dalla famiglia perché sono fastidiosi, perché ripetono le stesse cose. Amate i nonni, e che loro parlino con i bambini».
Le parole di Francesco assumono quindi, alla fine, accenti di struggente sensibilità, guardando alle componenti più deboli e fragili della famiglia: bambini e nonni. Alla loro debolezza e fragilità sono affidate le sorti future delle famiglie, chiamate dalle ineludibili urgenze sociali ad un’esperienza di accoglienza sempre più aperta e sempre meno nucleare ed autoreferenziale.