Abbiamo letto con interesse e attenzione l’ampia conferenza che Gerhard L. Müller ha tenuto a Oviedo, il 4 maggio scorso, con il titolo “Che cosa possiamo aspettarci dalla famiglia?”, nella quale ha proposto una interpretazione molto personale della speranza cristiana a partire da AL.
Anzitutto sintetizzo in alcuni punti le idee forza di questa conferenza, per poi analizzarne alcuni singoli contenuti:
- Ad imitazione della struttura di AL, anche il card. Müller ha voluto iniziare dal testo biblico, utilizzando l’immagine dell’arca di Noè per parlare del rapporto tra la famiglia, la Chiesa e il mondo. Nella metafora dell’arca, la Chiesa si presenta come unica salvezza per una famiglia travolta dal diluvio della modernità liquida.
- La stessa arca che è la Chiesa viene poi letta nella chiave teologica di una ontologia sacramentale, ben compaginata come le tavole dell’arca, che garantiscono alla Chiesa di essere Chiesa e alla famiglia di trovare in essa la salvezza.
- Di tutti i 325 paragrafi di AL il più coerente con questa arca sacramentalmente ben compaginata sarebbe AL 211, dove Francesco parla di “pastorale del vincolo”, con un “apax legomenon” del testo che assurge a “pietra angolare”.
- Di fronte a questa ricostruzione, i vissuti dei soggetti, i sentimenti delle famiglie e le esperienze moderne sono interpretate come la liquidità del diluvio postmoderno.
- Alla luce di questa analisi vengono riletti i tre verbi del capitolo 8 di AL: accompagnare, discernere, integrare.
- Cionondimeno, prima di illustrare il senso autentico dei tre verbi-chiave si premette una articolata argomentazione che sovraordina al testo di AL un orizzonte dottrinale che sarebbe antico quanto la Chiesa, ma di cui si offrono testimonianze magisteriali solo a partire da Familiaris consortio (1981).
- Accompagnare, alla luce di tutto ciò, significherebbe ricondurre i divorziati in seconde nozze alla vita della prima unione.
- Discernere riguarderebbe solo la via, ma non la meta, perché la ferita da guarire non è il fallimento della prima unione, ma l’esistenza della seconda.
- Integrare non viene negato, ma ricondotto esclusivamente alle logiche dei primi due verbi e, per non chiudere il sistema, viene ultimamente rimandato al volere di Dio, che ovviamente resta libero anche rispetto alla dottrina ecclesiale.
Bisogna aggiungere, a questa sintesi necessariamente telegrafica, alcune affermazioni particolarmente degne di nota, che entrano in una certa tensione con il testo di AL:
- La sottolineatura della oggettività della ontologia sacramentale della Chiesa/arca è tanto accentuata che ogni considerazione delle dimensioni soggettive risulta irrilevante e sottoposta al giudizio preliminare secondo cui un rilievo della coscienza individuale in questi casi non sarebbe più da considerarsi come “autenticamente cattolico”.
- In un altro passo si rileva che la coerenza sacramentale fra matrimonio ed eucaristia esclude a priori ogni eccezione che possa permettere a chi è unito in seconde nozze di accedere alla comunione eucaristica.
- Il compito pedagogico della Chiesa, della sua dottrina e delle sue leggi impedirebbe ogni valorizzazione delle ragioni dei soggetti “feriti”, a fronte del bisogno della comunità e della società di difendersi strategicamente dal “pericoloso precedente”, che anche solo sparute eccezioni potrebbero rappresentare.
Di fronte a questa rapida ricostruzione del pensiero espresso dal card. Müller appare con evidenza come egli abbia parlato con ricca argomentazione, ma a titolo rigorosamente personale, dando un contributo di parrhesìa al dibattito sulla esortazione apostolica, così come chiede papa Francesco, ma certo non in qualità di prefetto della Congregazione della dottrina della fede, poiché già a una considerazione sommaria del suo testo appare chiaro come in esso la esortazione apostolica AL sia stata interpretata in modo fortemente unilaterale, largamente incompleto e, in taluni casi, con una notevole differenza rispetto alle chiare proposizioni del testo papale.
Vorrei presentare qui di seguito le difficoltà principali che emergono da questa lettura, di cui alcune entrano direttamente in tensione con la lettera o con lo spirito dell’esortazione:
- Mentre AL inizia il suo I capitolo dall’ascolto della Parola, per mettere subito in campo la complessità della questione familiare e la implicazione in essa di logiche divine e umane che la caratterizzano fin dall’origine, l’uso che il card. Müller fa del testo di Genesi appare fin dall’inizio come una buona occasione per proiettare sull’arca, sulla famiglia e sul diluvio i concetti più tipici della apologetica del XIX e XX secolo. Mentre in AL emerge tante volte la dialettica tra salvezza che la Chiesa rappresenta per la famiglia e la salvezza che la famiglia costituisce per la Chiesa, in questa ricostruzione pronunciata in Spagna la famiglia non ha nulla da dare, ma solo da ricevere.
- Sia all’inizio dell’esortazione, sia ai nn. 35-39, sia largamente nel capitolo ottavo, papa Francesco ripete molte volte i pericoli insiti in una comprensione monolitica e rigida della dottrina, che non lascia spazio all’incontro concreto con le persone. Di tutti questi testi non c’è alcuna traccia della ricostruzione proposta dal card. Müller, eccezion fatta per AL 36, passo che però viene interpretato in modo assai lontano rispetto al suo significato testuale e fuori contesto.
- L’argomento di convenienza con cui Müller propone di riabilitare Familiaris consortio come criterio di lettura di AL suona così: se AL avesse voluto correggere FC lo avrebbe detto esplicitamente. Ma questa argomentazione appare assai debole e marginale, perché suppone che un divieto precedente debba essere esplicitamente contraddetto da un controdivieto successivo. Ma così non è. Se FC avesse permesso qualcosa, AL, per cambiare disciplina, avrebbe dovuto negare il permesso precedente. Ma siccome FC ha introdotto un divieto esplicito, per AL è stato sufficiente non ripeterlo per collocarsi immediatamente al di là di esso. In materia di “permessi” si applica ordinariamente la analogia, ma così non avviene nell’ambito delle proibizioni. Siccome, inoltre, nel cap. VIII tutto il tenore della argomentazione è orientato ad un grande disegno di integrazione ecclesiale, mediata da accompagnamento e da discernimento, se Francesco avesse voluto porre un “limite sacramentale” alla integrazione, lo avrebbe fatto, come fece, prima di lui, Giovanni Paolo II. Il fatto che questo limite non sia stato espresso costituisce una novità inaggirabile, di fronte alla quale il ragionamento “per analogia con il passato” – sulla base di una “struttura ontologica sacramentale” che si imporrebbe a priori su ogni possibile decisione disciplinare – non sembra reggere alla smentita delle intenzioni del Sinodo e dei testi di AL.
- Quanto poi alla obiezione circa la nota 351, l’argomentazione offerta dal card. Müller proietta di nuovo il testo di AL nell’orizzonte predeterminato di una sistematica estrinseca, dedotta da FC e che, contrariamente a quanto forse lo stesso cardinale pensava o sperava, AL non ha affatto conservato.
- Tutto lo sviluppo sulla dimensione sacramentale della Chiesa risente di un oggettivismo giuridico e di una correlazione così netta tra matrimonio ed eucaristia da negare le parole esplicite di AL 73, nelle quali si dice con grande forza che «l analogia tra la coppia marito-moglie e quella Cristo-Chiesa» è una «analogia imperfetta». È stata una lettura dell’ultimo secolo, e in particolare dell’ultimo quarantennio, ad imporre al vincolo sacramentale una interpretazione in termini di mistica nuziale, – con una diretta identificazione tra “unione eucaristica” e “unione matrimoniale” – che si è tradotta molto spesso in un massimalismo morale dell’analisi e in un istituzionalismo solo oggettivo degli effetti, che non lasciava più alcuno spazio alla considerazione schietta e sincera della vita concreta delle persone e delle coppie, con le loro qualità e con i loro limiti. Il fatto che nella conferenza di Oviedo ogni seconda unione sia invariabilmente e oggettivamente letta come un “anti-segno” – e quindi solo come una “ferita” – nega esplicitamente la intenzione di AL di non dover ridurre necessariamente ogni famiglia allargata alla sola logica dell’adulterio. Qui la distanza tra il testo di Francesco e la conferenza del Cardinale appare massima.
- Da tutto ciò discende anche l’inevitabile lettura riduttiva dei tre verbi accompagnare, discernere, integrare. Se noi li leggessimo soltanto nei limiti della interpretazione proposta dal Card. Müller, dovremmo dedurre che non una sola cosa detta da Francesco non si sarebbe potuta dire anche prima, senza bisogno di convocare due Sinodi e di condurre ampie consultazioni. Io non credo che questa interpretazione possa essere sostenuta neppure dallo stesso cardinale, che alla fine del suo testo sembra infatti lasciare aperto un senso della “integrazione” non troppo chiuso a soluzioni nuove.
La differenza maggiore tra il testo di AL e l’ ardita interpretazione che di esso leggiamo nel discorso spagnolo del card. Müller appare ora chiara: in AL mi sembra di trovare il coraggio di una Chiesa che sa di avere l’autorità per poter cambiare la propria disciplina al fine di meglio onorare la giustizia e la misericordia. Mentre nel testo pronunciato ad Oviedo mi sembra di riconoscere, oltre alla passione per la causa della Chiesa e per il destino della famiglia, una sorta di paura, di timore e di diffidenza: con essa il magistero si nasconde dietro la disciplina vigente e dietro lo schermo del “diritto divino”, per non confrontarsi apertamente con la realtà che cambia e con lo stesso Vangelo, che si rende meglio comprensibile proprio a contatto con la storia degli uomini e con la libertà dello Spirito. Come ci ha insegnato il Concilio Vaticano II, il mondo non è soltanto un diluvio! Di fronte ad esso la Chiesa non ha solo tante cose da insegnare, ma anche qualcosa da imparare. La famiglia, all’interno di questa visione equilibrata, così come appare dal testo articolato di AL, si manifesta non solo come quella parte della Chiesa che è salvezza per il mondo, ma anche come quella parte del mondo che è salute per la Chiesa. Purtroppo non si fa fatica a riconoscere che nel testo di Oviedo, a proposito di questa “meravigliosa complessità” che tanto caratterizza lo stile e la forza di AL, non appare ne verbum quidem! E altrettanto chiaramente si deve notare che ad una “Chiesa in uscita” per annunciare l’amoris lætitia, tende quasi ad opporsi, magari solo dialetticamente, una “Chiesa in clausura” per resistere agli amoris diluvia.
Pubblicato il 13 maggio 2016 nel blog: Come se non