Pochi lo hanno notato, ma anche in Libano i bambini e i ragazzi vanno a scuola. O ci dovrebbero andare, a partire da quest’oggi. Un possibile cessate il fuoco sembra ancora in alto mare, ma non si può più rinviare e così da questo lunedì 4 novembre riaprono anche le scuole pubbliche, quelle private che potevano aprire già sono state autorizzate a farlo. Ora si procede con le altre. Lo ha confermato dopo giorni dal primo annuncio il ministro della pubblica istruzione Abbas al Halabi.
La questione trova poca attenzione da parte degli stessi esponenti politici libanesi, che su questo tasto hanno insistito poco. L’intento del governo, certamente giusto e meritorio, è quello di impedire la vera catastrofe per gli studenti, ossia la perdita dell’anno scolastico.
Ma i mezzi ai quali si è dovuti ricorrere sono fragili, non si è fatto ricorso a soluzioni “nuove” e l’esito non può dirsi garantito: molte scuole saranno attive fino a sera per avere più classi, con il ricorso al doppio turno, alcuni andranno a scuola la mattina altri al pomeriggio; ma al momento si deve considerare che tra i tantissimi sfollati – più di 1.2000.000 per i dati ufficiali disponibili – 546mila sono studenti in età scolare e che il 75% delle scuole risultano essere inagibili.
Così si è dovuti ricorrere anche alla frequenza a giorni alterni delle aule disponibili, tutti in classe ma tre volte a settimana. È una corsa contro la realtà, visto che il totale delle scuole agibili secondo il ministero è di 350. Il governo ha garantito che “gli studenti impossibilitati a raggiungere subito le loro classi potranno farlo successivamente”.
***
Ma si deve considerare che 43,600 sfollati risultano collocati presso 347 istituti scolastici. Un numero drammaticamente simile a quello delle scuole agibili. Nella sua comunicazione agli studenti senza scuola, il ministro ha annunciato un piano basato sull’e-learning – ma se arriverà dovrà fare i conti, per il pubblico, con alcuni problemi all’apparenza insormontabili: quanti studenti hanno la disponibilità di un computer, o la possibilità di collegarsi per ore in un Paese dove la corrente elettrica già da anni era diventata un miraggio per molti?
Vediamo allora le informazioni disponibili sulla situazione nelle scuole agibili.
Le sedie e i banchi sono stati spostati nelle aule per far posto a materassi e coperte, i panni puliti sono appesi ad asciugare nei parchi giochi dove di solito i bambini fanno la pausa pranzo. In tutte le scuole, pasti caldi e bottiglie d’acqua fornite da enti di beneficenza hanno sostituito il consueto materiale scolastico. Con l’aumento degli sfollati, le disparità nel sistema educativo sono diventate più evidenti. È stato necessario prendere decisioni per proteggere gli studenti, come permettere l’apertura di scuole private in aree sicure e tenere chiuse quelle in zone pericolose.
Abbas Halabi ha permesso alle scuole private di utilizzare “tecnologie moderne e strumenti di comunicazione” per fornire contenuti educativi. Quelle che optano per l’apprendimento online sono tenute a informare il Dipartimento per l’istruzione privata del Ministero e a garantire che gli studenti raggiungano i livelli di conoscenza e abilità previsti.
***
Sul sito NOW Lebanon si trova questa interessante testimonianza: “Per Asia, insegnante di Tiro, il ministro si è adoperato per trovare il modo di far continuare l’apprendimento agli studenti in qualsiasi forma possibile, in modo che potessero ancora sentirsi legati alla scuola e avere l’idea di un normale anno scolastico; tuttavia, per lei, i comitati regionali per l’istruzione non hanno fatto abbastanza per essere i difensori di cui insegnanti e studenti avevano bisogno. È importante ricordare che anche gli insegnanti sono colpiti dallo sfollamento, proprio come i loro studenti. Senza un solido quadro educativo che bilanci le esigenze di entrambi, molti studenti rischiano di perdere l’intero anno scolastico”.
Oltre alla sfiducia di molti genitori nell’e-learning, emergono alcuna altre problematicità: chi si assume la responsabilità per i rischi ai cui i bambini vengono esposti raggiungendo scuole non sempre dietro l’angolo, o in zone non sicure? Forse quelli delle zone che si sentono al riparo dai bombardamenti non avrebbero accettato una sospensione più lunga, attribuendo ad Hezbollah la responsabilità di un disastro abbattutosi però su tutti quanti?
Sarebbe servito uno sforzo di immaginazione, organizzazione e iniziativa alternativa? Chi lo pensa lo dice e può aver ragione facilmente, ma il fatto è che una soluzione serviva. Se tutto questo va a discapito, nonostante tutte le difficoltà, del ministero, balza agli occhi che il sistema-Paese non ha fatto granché per sensibilizzare il mondo sull’emergenza educativa davanti al perdurare della guerra; e il mondo stesso è parso non interessarsi eccessivamente alle possibili ricadute di un problema evidente, che avrà conseguenze gravi, e che poi potrebbe averne, facilmente immaginabili.
***
Va anche riconosciuto, inoltre, che gli standard educativi del Libano sono crollati dal 2019, anno che ha segnato l’inizio di una serie di crisi, tra cui la pandemia COVID-19 che ha interrotto l’istruzione e poi il collasso economico del Paese, devastante come una guerra che dura da tre anni. L’attuale conflitto tra Israele e Hezbollah, iniziato da oltre un anno nel sud e si è intensificato ed esteso dalla fine di settembre, con le conseguenze e l’impatto qui accennato.
Così ora una parola se non decisiva di certo importante spetta al mondo cattolico. Infatti, nell’ambito del piano di riapertura delle scuole pubbliche, il ministro ha fatto sapere che sta valutando “la possibilità di utilizzare 169 edifici scolastici privati nella fascia oraria pomeridiana”, vista l’evidente necessità di aule, in particolare per i bambini e i ragazzi delle zone più colpite.
“Ho discusso la questione giovedì con padre Youssef Nasr, segretario generale delle scuole cattoliche e capo dell’Unione delle scuole private” – ha detto il ministro, aggiungendo che attende una risposta.