Tavernerio (Como), 25 aprile 2020
In questi ultimi due mesi l’attenzione mediatica del nostro mondo occidentale è stata giustamente catturata dal coronavirus. Poco o nulla abbiamo sentito dell’Africa. Ma ci vuol poco a capire che, se il Covid-19 dovesse espandersi in Africa, sarebbe un’altra catastrofe.
Essa si aggiungerebbe a un altro vero flagello che è già in corso nel silenzio quasi generale del mondo: il flagello delle cavallette. Dal mese di gennaio si sta diffondendo in Africa una specie di cavallette chiamata locuste del deserto (schistocerca gregaria) e si dice che già duecento miliardi di questi ortotteri siano in azione.
Venendo dallo Yemen e passando su Gibuti, hanno invaso l’Eritrea, l’Etiopia, il Kenya, la Somalia, il Sud Sudan, l’Uganda, la Tanzania e sembra normale che si dirigano verso la RDC, il Ruanda e il Burundi. Sul loro cammino divorano la vegetazione e i raccolti, lasciando dietro di sé il deserto alimentare.
Le cifre del flagello
Questo flagello è, in una certa misura, dovuto al conflitto che da anni ormai si svolge nello Yemen dove, a causa dell’instabilità e della guerra, nessuno ha potuto far fronte al nascere e al diffondersi delle cavallette, le larve delle quali hanno prodotto gli sciami che si sono spostati verso Ovest.
Dopo Gibuti, dove – a detta di mons. Bertin, vescovo di Gibuti e della Somalia – sembra non abbiano fatto danni irreparabili, hanno invaso il sud dell’Etiopia e della Somalia e il nord del Kenya. E qui si sono rivelate davvero l’ottava piaga d’Egitto…, distruggendo ogni vegetazione coltivata e selvatica con un terribile danno umano ed ecologico.
Da fonti della FAO, sappiamo che uno sciame di cavallette che copre 1 kmq può arrivare a consumare lo stesso quantitativo di cibo che consumerebbero 35.000 persone! Per un’agricoltura fragile e strutturalmente poco assistita, come quella dei Paesi del Corno d’Africa e del Nord del Kenya, Uganda, Tanzania e Sud-Sudan che ha già sofferto per le siccità e le successive inondazioni dei due ultimi anni (2018-2019), la presenza delle cavallette è un’autentica catastrofe.
«Dobbiamo urgentemente intensificare gli interventi per tutelare i mezzi di sussistenza rurali e aiutare gli agricoltori e le loro famiglie. Non c’è tempo da perdere», ha detto il direttore generale della FAO. Secondo lui, servono almeno 76 milioni di dollari per rispondere efficacemente e proteggere la sicurezza alimentare di circa 13 milioni di persone.
Nel frattempo, sul territorio, i singoli paesi si stanno attrezzando con aerei che spruzzano insetticidi sugli sciami. L’Uganda ha mobilitato anche l’esercito e ha predisposto 36.000 litri di pesticidi da spruzzare nella regione nord-orientale del Karamoja, la zona dell’Uganda che più sta soffrendo. La stessa cosa ha fatto il governo della Tanzania nella parte nord-occidentale del paese.
Un’altra preoccupazione si aggiunge e viene dal fatto che, a quest’ora, le locuste hanno deposto le uova e, se non verranno messe in campo adeguate misure, i 200 miliardi di locuste potrebbero diventare 500 miliardi entro giugno, con ulteriori gravissimi danni sull’intero sistema economico ed ecologico regionale.
È triste ma inevitabile dover puntare il dito verso i governi di quei paesi che non si sono mai curati di stabilire una difesa del territorio. Le istituzioni politiche deboli, troppo spesso corrotte e coinvolte in interminabili conflitti, distraggono i pochi fondi destinabili al bene comune per metterli a disposizione della loro politica militare. La risposta alla catastrofe delle cavallette diventa quindi molto aleatoria e a soffrirne – come sempre – è la gente più povera, quella delle campagne.
Il caso più grave è la Somalia, considerata il paese più fragile a causa della complicata situazione politica dove, secondo la FAO, un milione di persone è già ridotto alla fame.
Coloro che seguono il fenomeno degli sciami delle cavallette e i loro movimenti, dicono che questi, aiutati dai venti favorevoli, dopo aver saccheggiato le culture in Africa, si dirigono verso oriente minacciando ora i paesi della Penisola araba, Qatar, Bahrein e il Kuwait, ma anche l’Iraq (particolarmente la regione di Bassora) e l’Iran dove si potrebbero incontrare con un’altra specie di locuste che provengono dal Pakistan e dall’India.
La sfida dell’Occidente è il coronavirus, ma per l’Africa e l’Asia questa si coniuga oggi con quella delle cavallette.
Oltre le cavallette, le guerre
Per quanto riguarda l’Africa poi, la minaccia delle cavallette si aggiunge all’altra disgrazia, la guerra che però compromette il tentativo dei Paesi dell’Africa di uscire dalla povertà che in questi ultimi tempi dava qualche segno positivo. Per questo Antonio Guterres, segretario generale dell’ONU, ha lanciato recentemente un accorato appello, cui ha fatto eco a Pasqua anche papa Francesco. In esso afferma che «l’emergenza in cui viviamo [il Covid-19, le cavallette in Africa, la povertà crescente, ndr] mostra la follia della guerra. Ecco perché chiedo un cessate-il-fuoco globale e immediato» e si augurava che l’enorme somma spesa in armamenti sia destinata a curare i mali della popolazione e dell’ambiente.
Purtroppo il suo appello resterà inascoltato. Infatti, in Africa, i governanti, invece di far fronte al disastro delle cavallette e all’incombente disastro del coronavirus, continuano imperterriti a pensare ai loro sogni di grandezza e di potere alimentando anzi i conflitti, per accrescere il prestigio nazionale e non di rado i profitti personali.
Così oggi le guerre – ad alta o bassa tensione – caratterizzano «30 stati africani e 270 milizie guerrigliere e gruppi terroristici e separatisti di ogni genere» (cf. Rocca, 7/2020, p. 13).
Sono pochi i media del nostro mondo che ne parlano, fatta eccezione del quotidiano Avvenire che, con coraggio, porta avanti questi argomenti spinosi. Ma noi non possiamo dimenticare queste tre disgrazie e soprattutto le guerre di cui anche il nostro Paese è responsabile per la sua politica di produzione e commercio delle armi.
Ricordiamo, per chi non se li ricordasse, i principali conflitti che si combattono in Africa in questo tempo: Burkina Faso, Egitto, Libia, Nigeria del Nord, Mali e Ciad, Cameroun, Repubblica Centro-Africana, Congo-RDC, Sud-Sudan, Somalia, Mozambico, Burundi per citare i più conosciuti. Quante vite umane sono sacrificate in queste guerre?
Quando si facevano le Rogazioni, si pregava in latino: «A peste, fame et bello, libera nos, Domine». Ritorniamo a pregare, certo, ma facciamoci insieme un esame di coscienza per non continuare – nell’incoscienza personale e comunitaria – a consolidare e a rafforzare questi mali.