Il conflitto che oppone Israele ai palestinesi infligge una ulteriore frattura tra i Paesi africani profondamente divisi tra loro sul giudizio politico relativo all’intervento militare. Così come è già successo nella crisi russo-ucraina, all’origine ci sono ragioni storiche ma anche gli sforzi dei singoli governi di continuare a garantirsi l’impegno di Tel Aviv nel settore delle tecnologie d’avanguardia, dell’assistenza militare e degli aiuti.
Israele «torna» in Africa
Israele è infatti molto attiva in Africa con attività di cooperazione in campo agricolo e tecnologico, fornendo assistenza in intelligence, difesa e sicurezza a diversi Paesi (tra cui Ciad, Tanzania, Ghana, Senegal) con sofisticate apparecchiature per fronteggiare attacchi terroristici.
Mentre il Kenya ospita la principale sede dei servizi segreti israeliani nel continente: proprio dall’aeroporto di Nairobi transitarono nel 1976 gli aerei militari con a bordo le forze speciali che liberarono gli ostaggi del dirottamento di un aereo dell’Air France sequestrati da terroristi palestinesi e tedeschi della RAF a Entebbe in Uganda.
Inoltre la cooperazione israeliana è molto attiva nella formazione professionale nel settore agricolo insieme con organizzazioni non governative impegnate in attività umanitarie e di soccorso.
Intenso anche l’interscambio commerciale: due anni fa i traffici con l’Africa subsahariana hanno superato i 750 milioni di dollari, di cui 500 milioni solo con il Sudafrica, seguito a ruota dalla Nigeria con 129 milioni di dollari. Gli stessi «accordi di Abramo» del 2020 con gli Emirati Arabi Uniti ed il Bahrein erano stati concepiti per promuovere e rafforzare le relazioni di Tel Aviv con i Paesi africani, anche se poi non tutto è filato liscio. Va aggiunto che 44 nazioni africane su 54 riconoscono lo stato di Israele e quasi una trentina hanno aperto ambasciate o consolati a Tel Aviv.
Israele ha sempre alimentato fin dagli anni Sessanta la «strategia dell’attenzione» verso i governi africani nati dall’indipendenza per spezzare l’isolamento in cui era ristretta dai Paesi arabi confinanti. Una politica che ha dato i suoi preziosi frutti mandando all’aria i tentativi dell’Egitto e di altre nazioni nordafricane di coinvolgere il resto dei Paesi del Continente nel sostegno alla causa araba.
Nel 1973 la guerra del Kippur ha segnato le prime crepe quando 8 nazioni africane hanno interrotto le relazioni con Israele aprendo quella faglia oggi più che mai evidente. Il Sudafrica è tra i più schierati con la causa palestinese: ai tempi dell’apartheid furono stretti i rapporti (non solo politici) coltivati da Nelson Mandela che sottolineava i «parallelismi tra la lotta dei neri sudafricani contro il dominio bianco e quella dei palestinesi contro l’occupazione di Israele».
Inedito sostegno
Una sonora bocciatura dell’operazione militare è arrivata dalla Unione Africana che ha invitato le parti a «tornare al tavolo dei negoziati per attuare il principio dei due stati che vivono fianco a fianco», ma sottolineando polemicamente che «la negazione dei diritti fondamentali del popolo palestinese, in particolare quello di uno stato indipendente e sovrano, è la causa principale della permanente tensione».
Durissime anche le posizioni di Algeria, Tunisia, Sudan, Libia dove si sono anche svolte imponenti manifestazioni pro Palestina che in alcuni casi sono servite ai rispettivi governi a far scaricare le tensioni delle piazze su temi «esteri» in grado di deviare l’attenzione popolare dai gravissimi problemi che gravano sui singoli Paesi.
Kenya, Zambia, Ghana, Repubblica Democratica del Congo schierate senza esitazioni a fianco di Israele, così come la Nigeria devastata dal terrorismo islamico.
Sfumata e più «diplomatica» la posizione del Marocco dove 300 mila manifestanti sono scesi in strada a favore dei palestinesi. Il governo di Rabat auspica la normalizzazione delle relazioni tra le parti: l’obiettivo è non guastare i rapporti con Tel Aviv dopo che nello scorso luglio il premier Netanyahu ha ufficialmente riconosciuto la sovranità marocchina sul Sahara occidentale, territorio conteso dal popolo saharawi.
Insomma se 60 anni fa la maggioranza dei governi africani nati dalle battaglie per l’indipendenza era sintonizzata maggiormente sulle frequenze dei palestinesi sentiti vicini per la comunanza di obiettivi, oggi la situazione è cambiata radicalmente.
L’Africa vuole pesare nelle scelte planetarie consapevole del proprio peso ma manca un disegno politico unitario. E non è di grande aiuto il resto del mondo sempre più diviso e conflittuale.
Enzo Nucci, giornalista. Già corrispondente della Rai per l’Africa subsahariana. Dal sito della rivista Confronti, 4 dicembre 2023.