Le commissioni indipendenti – una incaricata da L’Arche, l’altra dai domenicani – per far luce sugli abusi sessuali e spirituali commessi da Jean Vanier e dai fratelli Philippe hanno pubblicato i loro rapporti lunedì 30 gennaio 2023. La loro ricerca rivela la sconcertante persistenza, per decenni, di un nucleo settario con credenze e pratiche mistico-erotiche nel cuore della Chiesa. Come prima informazione, pubblichiamo l’intervista a Pierre Jacquand, responsabile de L’Arche in Francia, in merito al rapporto della commissione indipendente sugli abusi a carico di Jean Vanier (30 gennaio 2023), che rivela abusi spirituali e sessuali in seno a L’Arche perpetrati per decenni (cf. qui su SettimanaNews). Pubblicato sul sito della rivista La Croix, 30 gennaio 2023.
- La commissione indipendente sollecitata da L’Arche in Francia e da L’Arche International ha pubblicato il suo rapporto che conferma le prassi devianti del vostro fondatore, Jean Vanier. Come ricevete queste informazioni?
Non si esce indenni dalla lettura del rapporto, che risveglia l’emozione profonda del 2020, quando furono fatte le prime rivelazioni. Posso solo ripetere che il nostro primo pensiero è per le donne vittime. Ancora una volta, L’Arche condanna fermamente le azioni di Jean Vanier, che sono in totale contraddizione con i valori di L’Arche e i principi della nostra vita comunitaria. Il rapporto conferma che non ci sono prove che le persone con disabilità siano state vittime di queste azioni. E che questo «nucleo settario» non è proliferato all’interno de L’Arche, il che è essenziale. Voglio aggiungere che L’Arche non si riduce solo alla sua origine, ma trova la sua ragion d’essere nella vita ordinaria condivisa con le persone con disabilità.
- Perché il rapporto è stato reso pubblico?
Ho il sentimento di essere stato tradito. Il rapporto dimostra che Jean ci ha mentito. La persona che scopro nel rapporto non è il Jean Vanier che ho conosciuto e con cui ho lavorato. Per questo vogliamo dire la verità, in tutta trasparenza. Se nel 1956, quando padre Thomas Philippe fu condannato, la vicenda fosse stata resa pubblica, la storia sarebbe stata molto diversa… Ma forse L’Arche non sarebbe esistita.
- Cosa può dire in particolare alle vittime?
Come nel 2020, chiediamo perdono alle vittime, ovviamente. Perché ci sentiamo coinvolti. La responsabilità istituzionale de L’Arche è coinvolta per non aver saputo prevenire, identificare, denunciare, proteggere e porre fine ai gravi atti commessi da Jean Vanier, che ha abusato della nostra fiducia. Per accompagnare le vittime, L’Arche ha aderito alla Commissione per il Riconoscimento e la Riparazione (CRR) per consentire un percorso di giustizia riparativa alle vittime.
- Creando L’Arche, Jean Vanier avrebbe voluto, in qualche modo, «redimersi dal suo peccato»?
Jean Vanier ha indubbiamente fatto del bene a migliaia di persone. È anche innegabile che, da molto presto e fino alla sua morte, egli abbia creduto e messo in pratica le teorie deliranti di padre Thomas Philippe. Avremmo voluto che avesse una doppia personalità, ma le prassi devianti a cui aderiva lo hanno strutturato profondamente. Nessuno sa cosa sia successo lassù…
- Il rapporto rivela che Jean Vanier ha sempre voluto essere un sacerdote: questo attaccamento alla Chiesa cattolica segna L’Arche?
Jean Vanier era rispettoso della Chiesa e allo stesso tempo trasgrediva i principi stessi della fede cattolica… Detto questo, noi abbiamo adesso l’occasione di rivedere il legame tra L’Arche e la Chiesa, che resta pertinente: il Vangelo è al cuore stesso de L’Arche, ma L’Arche non è un movimento ecclesiale. Noi abbiamo bisogno della Chiesa per permettere alle persone con disabilità di nutrire la loro vita spirituale e di vivere i sacramenti, ma nella reciproca libertà.
- Il governo de L’Arche ha potuto essere contaminato dall’esercizio dell’autorità secondo Jean Vanier?
Oggi non si è membri de L’Arche a motivo di Jean Vanier. Si è chiamati a una vita piena in sintonia con il Vangelo. Se c’è un bilancio da fare, Jean Vanier non può più essere l’unico riferimento. Il rapporto ci obbliga a una lettura critica, a tenere conto di quanto è uscito per rivisitare l’esercizio dell’autorità, le modalità di accompagnamento.
Occorre tenere conto dei cambiamenti: se Jean ha potuto esercitare un’autorità carismatica simile a un pastore per il suo gregge, questo oggi non corrisponde più a L’Arche. Unificare la nostra esistenza significa articolare senza confusione i diversi registri specifici di un impegno che è allo stesso tempo professionale, comunitario e spirituale.
- Quali insegnamenti si possono trarre dal rapporto e dalla storia de L’Arche?
L’Arche non appartiene solo a qualche responsabile. È responsabilità di tutti. Possiamo ancora migliorare l’attenzione alla co-costruzione dei progetti, a una maggiore orizzontalità, coinvolgendo di più le persone disabili per accogliere la realtà e ciò che si vive in comunità. Indipendentemente dal rapporto, abbiamo lavorato per diversi anni su questioni semantiche: ora parliamo di «vita condivisa» piuttosto che di «vita comunitaria». I giovani, ad esempio, sono pronti a condividere un tratto di strada con L’Arche, mentre intorno al 1968 si trattava soprattutto di esservi impegnati totalmente. Cerchiamo delle parole nuove per l’esperienza che è ancora intatta, per esprimerla in una maggiore sintonia con la società di oggi.