In ambito linguistico tedesco si fa ricorso alla dizione “islam politico” per cercare di delineare un’area interna al mondo islamico che si oppone alla cultura democratica occidentale richiamandosi, in un qualche modo, all’islam come religione. Si tratta di un’area dai contorni imprecisi, che può oscillare tra tratti fondamentalisti (senza ricorso alla violenza) e l’istigazione al terrorismo.
Il concetto non va da sé ed è oggetto di critica in ambito accademico e di esperti dei fenomeni socio-religiosi – soprattutto in merito alla sua pertinenza, da un lato, e alla sua necessità, dall’altro: “Islam politico può essere inteso neutralmente come la visione di movimenti che vogliono realizzare, attraverso mezzi politici, dei valori che hanno un fondamento religioso. Di fatto, però, è divenuto un concetto militante, utilizzabile in maniera flessibile, ed è quindi inadatto a configurare fatti reali – e tantomeno a fondare interventi politici contro la radicalizzazione” (Rosenberger-Bauböck).
Nel corso dell’estate/autunno il dibattito si è intensificato soprattutto in Austria, dopo che è stata aperta l’agenzia governativa del “Centro di documentazione islam politico”. Presentato come un’istituzione di carattere scientifico, con il compito di indagare sui fenomeni riconducibili al concetto di “islam politico” e di consigliare il governo in materia, il “Centro di documentazione” è di fatto un’istanza di carattere politico in mano al Partito popolare austriaco che guida il governo del paese. Voci critiche si levano, oltre che per la sua politicizzazione, anche per ciò che riguarda l’effettiva competenza scientifica del personale.
La direttrice del “Centro di documentazione” Fellhofer ha affermato che con “islam politico” si “intende una ideologia di dominio che mira a riconfigurare e/o influenzare la società, lo stato e la politica da parte di attori i cui valori vengono da loro definiti come islamici – valori che sono in contraddizione con i pilastri democratici, con la Costituzione e con i diritti dell’uomo”. Valori che questi attori si sono auto-iscritti e che, quindi, non sono propri di tutti i musulmani.
Ma, appunto, davanti a queste tendenze è necessario introdurre il termine di “islam politico”? “Correnti e reti che non accettano la democrazia liberale e il suo stato di diritto, e che pongono la religione al di sopra della politica democratica, non sono ‘politicamente islamici’ ma islamisti” (Rosenberger-Bauböck).
Il contesto
Per comprendere meglio la situazione è bene cercare di offrire una qualche contestualizzazione. In Austria l’islam è religione riconosciuta dallo stato, quindi vi è un insegnamento corrispondente della religione nelle scuole pubbliche e un centro accademico di formazione dei docenti presso l’Università di Vienna.
D’altro lato, dal punto di vista finanziario, l’islam austriaco è posto sotto forte tutela della Turchia e questo fatto, oltre a minarne l’indipendenza, sta creando non pochi problemi e imbarazzi a molti esponenti islamici significativi nel paese. La politica perseguita dalla Turchia verso l’islam austriaco è di tipo “fondamentalista, ma non violenta o terrorista – potremmo dire nazionalista” (Appel).
Già la legge mediante la quale l’islam veniva riconosciuto dallo stato austriaco metteva chiaramente a tema il problema del finanziamento delle varie istituzioni ed enti islamici, proibendo qualsiasi forma di sostegno economico proveniente dall’estero.
L’attentato a Vienna del 2 novembre scorso ha prodotto un’accelerazione delle dinamiche, culminata con l’affermazione del cancelliere Kurz sulla volontà del governo di introdurre il reato penale di “islam politico” – che si configurerebbe come un reato di opinione, portando lo stesso Kurz a discostarsi significativamente dalla linea politica che aveva perseguito, con buoni risultati, quando era sottosegretario degli interni con delega per l’integrazione.
Religione e stato di diritto: l’esempio della Chiesa cattolica
Altre sarebbero le vie auspicabili per l’islam austriaco che, con la creazione di questo reato particolare, rischia di vedere sorgere al suo interno non solo un crescente senso di marginalizzazione sociale, ma anche il montare di un sentimento di frustrazione e di stigmatizzazione che può essere terreno fertile per la propaganda terroristica.
Già precedentemente le politiche portate avanti dal ministero degli interni del governo Kurz non sono state irrilevanti e senza conseguenze causali nella produzione dell’attentato di novembre.
All’islam austriaco oggi bisognerebbe permettere quel percorso di apprendimento culturale e politico che la Chiesa cattolica compì nella seconda metà del XX secolo: passando dall’austro-fascismo clericale della Prima repubblica al riconoscimento della separazione delle sfere della politica e della religione dopo la II Guerra mondiale.
Separazione che non significò, e non significa tuttora, un cattolicesimo a-politico, tutto privato, senza ricadute nello spazio pubblico della socialità condivisa. Come disse il card. König: una Chiesa certo non vincolata ai partiti, ma non di meno una Chiesa (anche) politica – che entra nelle dinamiche politiche e sociali seguendo la scia della dottrina cristiana in materia.
“Una concezione simile di politica dovrebbe valere anche per l’islam. Perché oggi l’islam dovrebbe essere a-politico? Perché i musulmani non dovrebbero agire in senso politico? In una stato di diritto liberal-democratico né l’islam in generale né un islam politico possono essere considerati dei nemici da combattere, ma solo l’islamismo come ideologia (…).
Contrassegnare poi l’islamismo come nemico della democrazia non significa combatterlo con il diritto penale. Questo non è infatti possibile se esso si manifesta come opinione e non porta ad atti che minacciano le libertà dei cittadini e la sicurezza dello stato. Mettere l’islamismo sotto osservazione è però legittimo, perché è sul terreno di opinioni come queste che maturano tali pericoli” (Rosenberger-Bauböck).
Da ultimo, la politica non sembra essere dunque meno ideologica dell’oppositore che vorrebbe fronteggiare: piegando la libertà accademica a strumento del potere esecutivo, da un lato, e ledendo i principi fondamentali dello stato di diritto democratico che afferma di voler difendere, dall’altro.
Più pertinente e più rispettosa dell’impianto costituzionale nel suo complesso è l’opera della Chiesa cattolica in Austria per ciò che concerne i rapporti con l’islam. Una Chiesa che nella sua declinazione locale, nel tessuto della vita del paese, ha assunto la linea di Francesco verso un’alleanza delle religioni a favore di una coesistenza pacifica e reciprocamente comprensiva nel pluralismo contemporaneo, in vista dell’edificazione di una fraternità umana fra i molti che sia sentita effettivamente tale da tutti.