All’inizio di luglio il Bangladesh è stato attraversato da una serie di manifestazioni studentesche contro il reinserimento di una “quota preferenziale” nell’assegnazione dei posti di lavoro nell’ambito dell’amministrazione pubblica riservata, tra gli altri, ai discendenti di coloro che avevano combattuto per l’indipendenza del paese dal Pakistan.
I giovani ritenevano questa legge discriminatoria, e questa è stata l’occasione colta per manifestare contro il governo – che ha messo in campo politiche sempre più autoritarie e si è rivelato incapace di far uscire il Bangladesh da una stagnazione economica che dura da anni.
Iniziate in maniera pacifica, senza una grande attenzione da parte del governo, le manifestazioni son sfociate in una violenta repressione da parte delle forze dell’ordine – alcuni giovani sono stati uccisi negli scontri, con 10.000 persone arrestate e decine di migliaia accusate di vari crimini.
Per porre un argine alle preteste, il primo ministro S. Hasina ha ordinato il coprifuoco nel paese e cercato di oscurare le comunicazioni – soprattutto via social media. Dopo la revoca delle drastiche misure, e una sentenza da parte della Corte costituzionale che dava ragione in larga misura alle preoccupazioni espresse dai manifestanti, gli assembramenti di protesta contro il governo sono ripresi su larga scala.
Il fuoco delle manifestazioni è ora la richiesta di giustizia per i giovani uccisi, feriti o arrestati negli scontri con le forze dell’ordine. Gli studenti chiedono, in particolare, una dichiarazione pubblica di scuse da parte del primo ministro e le dimissioni dei suoi più stretti collaboratori – dichiarando l’inizio di un movimento di non-cooperazione fino al momento in cui il governo non accetterà le loro richieste.