Bene comune e stato di diritto

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Il tentato assassinio dell’ex presidente Donald J. Trump, avvenuto il 13 luglio, deve essere un momento di profonda preghiera, riflessione e conversione per i politici e per tutti gli americani, soprattutto per coloro che con le loro voci contribuiscono a plasmare la nostra cultura. Tale violenza è stata giustamente condannata in modo inequivocabile dai politici di entrambi gli schieramenti, dai leader mondiali, dai nostri vescovi e dal Papa. C’è una certa consolazione nel notare quanto rapido e universale sia stato il rifiuto della violenza politica – per questo dovremmo essere grati anche se la sfida di riconciliare le nostre profonde divisioni ci rende cauti.

Preghiamo per Trump, grati per il fatto di essere scampato a un attentato alla sua vita, e per il conforto dei suoi cari, che hanno vissuto un evento traumatizzante. Preghiamo per Corey Comperatore, ex capo dei vigili del fuoco ucciso mentre cercava di proteggere la sua famiglia, per sua moglie e i suoi figli e per coloro che sono ancora ricoverati in condizioni critiche. Preghiamo per il giovane che ha causato questo trauma e per la sua famiglia.

Dopo un evento che minaccia la nostra pace e la nostra sicurezza, la gente è comprensibilmente portata a cercare qualcuno o qualcosa da incolpare. Al momento, nessuna prova suggerisce che qualcuno, tranne lo sparatore, sia responsabile dell’attentato alla vita di Trump e dell’uccisione della persona presente al comizio. Il suo movente è attualmente sconosciuto e qualsiasi speculazione in merito è inutile – e probabilmente contribuirebbe a creare ulteriori divisioni e confusione.

Anche senza una chiara comprensione delle motivazioni dell’attentatore, c’è un forte consenso sul fatto che la polarizzazione, la retorica sempre più feroce e la demonizzazione dei nemici politici abbiano contribuito a rendere pericoloso questo momento della vita degli Stati Uniti. Questo non può giustificare il suggerimento fuorviante – come quello fatto dal senatore dell’Ohio J.D. Vance subito dopo la sparatoria, e solo due giorni prima di essere annunciato come vicepresidente di Trump – che la retorica della campagna elettorale abbia “portato direttamente” all’attentato alla vita di Trump. Ma c’è un’ampia ragione per cui questo terribile evento deve richiamare i politici e tutti gli americani a fare un esame di coscienza su come pensiamo e parliamo dei nostri avversari politici.

In effetti, sia Trump che Biden sembrano essere sulla stessa lunghezza d’onda. Biden, in un discorso domenicale dallo Studio Ovale, ha invitato gli americani ad “abbassare i toni della nostra politica” e i responsabili della sua campagna elettorale hanno dichiarato di sospendere le pubblicità televisive per un periodo adeguato. Trump ha detto che sta riscrivendo completamente il suo discorso alla convention repubblicana, che dovrebbe essere pronunciato nella notte di giovedì 18 luglio, per concentrarsi sull’unificazione del paese piuttosto che sul precedente tema dell’attacco alle politiche e al curriculum di Biden come presidente.

Sebbene gli sforzi per una retorica politica più pacata siano necessari e benvenuti – e preghiamo perché continuino oltre questa settimana e la prossima -, la vera conversione e la riconciliazione dal nostro velenoso livello di divisione richiederanno molto di più. Non è sufficiente moderare le critiche di parte, aumentare gli appelli all’unità o abbassare i toni della nostra politica, come se la vita politica americana fosse fondamentalmente sana, tranne che per una febbre temporanea. Come corpo politico, siamo malati cronici e abbiamo bisogno di un trattamento che deve andare oltre questo ciclo elettorale.

Non abbiamo bisogno della stessa politica con un tono migliore. Abbiamo bisogno di “una politica migliore, veramente al servizio del bene comune”, come ha chiesto Papa Francesco nella sua enciclica sull’amicizia sociale Fratelli tutti.

Il vero servizio al bene comune richiede molto più della retorica su di esso. Per abbracciare il bene comune in modo più completo, vale la pena osservare come spesso viene distorto. “La mancanza di preoccupazione per i vulnerabili”, dice Papa Francesco, “può nascondersi dietro un populismo che li sfrutta demagogicamente per i propri scopi, o un liberalismo che serve gli interessi economici dei potenti”.

Entrambe le tendenze si ritrovano nella politica americana, spesso rafforzandosi a vicenda. Gran parte del Paese ha sofferto economicamente e culturalmente a causa di accordi che servono gli interessi delle persone già potenti e sicure, che troppo facilmente ignorano le preoccupazioni di coloro che sono in difficoltà o addirittura li deridono come pregiudicati e “deplorevoli”. Questo ha fornito terreno fertile per attacchi demagogici sia verso gli immigrati visti come minaccia alla sicurezza e alla prosperità americana, sia nei confronti dei media e dell’élite politica indicati come “nemici del popolo”.

Al contrario, il bene comune ci chiama non solo a cercare i nostri beni privati l’uno accanto all’altro, ma anche a cooperare per cercare il bene dell’altro e soprattutto il bene dei più vulnerabili tra noi. Al meglio, la politica consiste in questa cooperazione, realizzata negli Stati Uniti attraverso le istituzioni, le tradizioni e le norme della nostra repubblica democratica.

Ma tragicamente, la politica contemporanea sembra essere più una “guerra di tutti contro tutti”. C’è molto su cui riflettere e che deve essere oggetto di biasimo, anche nel periodo immediatamente successivo alla sparatoria: come le battute sconsiderate sull’incontro con la morte di Trump, le teorie cospirazioniste di ogni tipo e la retorica quasi apocalittica sulla fine della democrazia.

Ma se gli attori politici di tutto lo spettro ideologico hanno contribuito alla polarizzazione e la retorica “a tutti i costi” merita di essere respinta in quanto pericolosa, sarebbe ingenuo e inutile fingere che tale responsabilità sia distribuita in modo uniforme. Anche se preghiamo in segno di ringraziamento per la sua sicurezza e la sua rapida guarigione, dobbiamo riconoscere che Trump ha abitualmente violato norme che la maggior parte degli altri politici cerca almeno di rispettare – vantandosi di ciò.

Prima delle elezioni del 2020, i redattori di America avevano messo in guardia sul pericolo che Trump rappresentava per l’ordine costituzionale, soprattutto a causa del suo rifiuto di riconoscere le legittime limitazioni al proprio potere. Dopo la rivolta del 6 gennaio al Campidoglio, abbiamo chiesto il suo impeachment, la sua condanna e l’interdizione da futuri incarichi federali. Purtroppo, la sua condotta negli ultimi tre anni e mezzo, e fino ad ora nella campagna elettorale attuale, non ci ha dato motivo rivedere queste preoccupazioni. Se il suo tentato assassinio può servire – e noi preghiamo che possa servire – come catalizzatore per gli Stati Uniti per cercare una politica più unificante, allora egli dovrà dimostrare di essere disposto a essere uno degli attori principali di tale cambiamento.

La guarigione dalle ferite delle nostre divisioni non può essere ottenuta con l’elezione o la sconfitta di un particolare candidato. Anzi, la sensazione troppo frequente che l’elezione di una persona – a prescindere dall’altezza della carica – sia indispensabile o irrimediabilmente catastrofica è un sintomo del deterioramento della nostra vita politica.

Abbiamo bisogno che i politici, gli attivisti, i media e gli elettori si pongano obiettivi sia più alti che più bassi. Più in alto, verso una vera cooperazione nella ricerca del bene comune, e più in basso, riconoscendo che nessun singolo risultato elettorale decide da solo il destino della democrazia americana.

La nostra vita politica comune è costruita non solo dalla vittoria o dalla sconfitta elettorale, ma ancor più dal modo in cui viviamo e lavoriamo insieme prima, durante e dopo le elezioni. Per realizzare un tipo di politica migliore, dobbiamo iniziare a fare nostre le preoccupazioni degli altri – sia quelle dei poveri e dei vulnerabili, ma anche quelle dei nostri nemici politici -, anche quando non sono vantaggiose per i nostri obiettivi e programmi. Non è un caso che Fratelli tutti inizi con una lunga meditazione sulla parabola del buon samaritano. Il bene comune richiede non solo di rispondere alla domanda “chi è il mio prossimo?”, ma anche di correre il rischio di prendersi cura di coloro da cui potremmo essere divisi.

  • Pubblicato sulla rivista dei gesuiti statunitensi America.
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