Joe Biden si è insediato quale 46mo presidente degli Stati Uniti, e con lui la sua amministrazione alla guida di una Nazione in disperato bisogno di abbassare il livello conflittuale delle plurime divisioni che la lacerano in tante sotto e para Americhe. Il discorso inaugurale ne ha mostrato piena consapevolezza, e non ha voluto esacerbare ulteriormente nessuna di esse. Al tratto retorico che caratterizza ogni buona liturgia si è unita la lucidità della percezione dello stato delle cose.
Ma è stato anche il giorno in cui il cattolicesimo, con il suo presidente, si è trovato convocato nel cuore della vita istituzionale degli Stati Uniti forse come non mai in precedenza. Dalla messa mattutina nella cattedrale di S. Matteo a Washington, con la presenza della vice-presidente K. Harris e i rappresentanti dei due partiti alla Camera e al Senato che hanno accettato l’invito di Biden a partecipare all’eucaristia, alla preghiera di invocazione nel corso della cerimonia di giuramento che è stata preparata e letta dal gesuita Leo O’Donovan, ex presidente della Georgetown University di Washington.
Nel tardo pomeriggio (ora europea), dopo che Biden aveva giurato quale 46mo presidente degli Stati Uniti, papa Francesco gli ha inviato un caloroso messaggio di augurio per il nuovo impegno istituzionale, breve ma non convenzionale: “prego che le sue decisioni siano guidate dalla preoccupazione per costruire una società caratterizzata da un’autentica giustizia e libertà, insieme a un rispetto incrollabile per i diritti e la dignità di ogni persona, in particolare i poveri, i vulnerabili e coloro che non hanno voce. Allo stesso modo, chiedo a Dio, sorgente di ogni sapienza e verità, di guidare il suo impegno per sostenere comprensione, riconciliazione e pace negli Stati Uniti e tra le nazioni del mondo per portare avanti il bene comune universale”.
Anche il presidente della Conferenza episcopale statunitense, J. Gomez, con una mossa inusuale, ha invita una lettera al nuovo presidente – pubblicata poco dopo il suo giuramento. Rispetto allo scritto del papa, quello dei vescovi americani più che un augurio sembra essere il programma dichiarato di un’opposizione a tutto campo in materia di aborto, contraccezione, matrimonio e gender.
Come hanno notato alcuni commentatori, al di là dell’opportunità di inviare (sembra per la prima volta a un presidente appena entrato in carica) una simile lettera, quello che sorprende è il presupposto che su questi temi tra i vescovi cattolici e il cattolico Biden non ci possa essere nessun dialogo, nessun confronto argomentativo, ma solo la constatazione di due posizioni contrastanti – e che, quindi, il conflitto non può essere che l’unica forma del rapporto istituzionale in materia. “Ciò che non capisco – ha detto il card. Tobin, vescovo di Newark – sono le persone che usano toni estremamente duri e vogliono tagliare ogni linea di comunicazione con il presidente a motivo di ciò”.
La lettera di Gomez ha colto di sorpresa i suoi colleghi vescovi, che l’hanno ricevuta solo poche ore prima che venisse pubblicata senza essere stata previamente discussa collegialmente nelle sedi opportune. Il card. B. Cupich, arcivescovo di Chicago, ne ha preso immediatamente le distanze giudicandolo un testo mal concepito, che avanza la pretesa di essere una parola dei vescovi senza che i vescovi abbiamo potuto esprimere parola nella sua redazione. R. McElory, vescovo di San Diego, nel suo comunicato ha semplicemente ignorato la lettera della Conferenza episcopale e si è rifatto al messaggio inviato da papa Francesco in cui si rispecchiava completamente.
Il tono e lo stile dicono più delle parole, come la capacità o meno di discernere l’uso di queste ultime se si sceglie di rompere un protocollo assodato. Gran parte del corpo episcopale americano ha tentato di stare nel mezzo tra messaggio papale e lettera di Gomez, barcamenandosi a non rendere palesemente irrilevante il primo ritrovandosi rappresentati nella seconda. Il cattolico Joe Biden può a questo punto iniziare lecitamente a chiedersi se sia lui il vero oggetto del contendere, che continua a dividere la Chiesa americana, o se piuttosto non si tratti di Francesco (raggiunto via Biden dalla Conferenza episcopale con la sua lettera).
Nella battaglia che contrappone larga parte del corpo episcopale e del cattolicesimo americano a papa Francesco Biden rischia di uscirne come una vittima collaterale. Il ruolo di un “grande riconciliatore”, di cui la Nazione avrebbe disperatamente bisogno, dovrebbe essere assunto dalla Chiesa locale, che non lo può fare perché da decenni ha deciso di giocare quello del grande divisore. Toccherà al nuovo presidente farsene carico, cosa che è parte del suo mandato a livello politico e sociale, ma non certo a quello della Chiesa a cui appartiene. A una riconciliazione del cattolicesimo americano con papa Francesco, e quindi con lo stesso Biden, la Conferenza episcopale non sembra essere interessata – Biden sicuramente lo è.
Non tanto tempo fa c’erano i Diritti non negoziabili, poi evidentemente erano di ostacolo
Continua la narrazione, del tutto unilaterale e anacronistica, di una presunta frattura tra i vescovi e un presidente cattolico (quasi la riproposizione in chiave americana della frattura che si era creata fra la CEI e il cattolico Prodi..).
Lasciamo ai media conservatori, ultraconservatori, la denuncia di questa presunta frattura, mentre il testo della dichiarazione dell’arcivescovo Gomez, presidente della conferenza episcopale, e la lettera di papa Francesco non lasciano dubbi sull’accoglienza loro riservata al nuovo presidente. Evitiamo allora di proiettare idee e considerazioni di casa nostra sulla situazione degli Stati Uniti, un mondo ben diverso da noi: gli articoli pubblicati sulla rivista dei gesuiti americani, “America” in queste ore o quanto scritto dal Catholic News Service sono di ben altra natura (persino il bollettino della diocesi di San Francisco, guidata dall’ultraconservatore cardinale Cordileone, accoglie con grande entusiasmo il nuovo inquilino della Casa Bianca).
Un pensiero alle ultime ore da presidente del precedessore, alle sue parole, al suo atteggiamento (unito alle ultime esecuzioni capitali avvenute nei giorni scorsi in tutto il Paese) dovrebbe indurre ben altre considerazioni. Domani è prevista la tradizionale Marcia per la vita in quel di Washington: non resta che aspettare nuovi discorsi e nuove parole, senza irrigidimenti, senza violenza di sorta, senza fratture che dividono un Paese democratico su un tema divisivo per ogni democrazia, ma che in Europa non ha mai visto le fratture che vengono imputate alla Chiesa americana. L’Irlanda ha appena approvato la legge che consente l’aborto a precise condizioni sanitarie, i vescovi hanno parlato e tutto finisce lì come è finito in Italia e negli altri Stati europei. Essere pro-life signica essere contrario all’aborto (ma Biden non ha mai fatto campagna a favore esattamente come i nostri politici cattolici), ma anche dichiararsi contro la pena di morte e contro la drammatica crisi ambientale (che produce numerose vittime tra i più vulnerabili della terra). Il rientrare negli Accordi di Parigi dovrebbe rappresentare la più forte dichiarazione pro-life a livello internazionale e i vescovi americani ne sono ben coscienti, a leggere cosa dicono davvero e non cosa si proietta su di loro.
Un figlio che lavora alla Michigan State University e le notizie periodiche che mi vengono da alcune famiglie amiche dopo anni di permanenza negli Stati Uniti mi confortano in questa convinzione che ritrovo negli interventi dei vescovi americani, a differenza delle parole, peraltro nuon nuove, del post. Ma a che serve riproporre fratture e divisioni dopo gli eventi di ieri?
Evidentemente non abbiamo letto gli stessi articoli di “America”. Potremmo anche chiederci: a che serve affermare una unità di intenti, una cordialità di collaborazione, una visione condivisa, che di fatto non esistono? Se la mia lettura è ideologica, lo è altrettanto la sua – e se usiamo questo schema di lettura non si va da nessuna parte. Che mi sembra esattamente la direzione in cui lei vuole andare. Sia lei che io interpretiamo, e questa è la cosa più onesta da fare. Il tempo dirà quale delle interpretazioni era la più adeguata. Lei è del tutto libera di proporre una presidenza Biden che gode del pieno appoggio della Conferenza episcopale americana (a questo punto salvo Cupich che pubblicamente ha preso le distanze dalla Lettera di Gomez), credo che Biden stesso ne sarebbe felice se così fosse.
“L’Irlanda ha appena approvato la legge che consente l’aborto a precise condizioni sanitarie, i vescovi hanno parlato e tutto finisce lì come è finito in Italia e negli altri Stati europei”.
In questa frase c’è tutto il pensiero cattolico di questi ultimi tempi.
I Vescovi parlano ma solo per dovere.
Non pensano di poter veramente impedire l’aborto di vite innocenti.
Poi, in fin dei conti, tutti questi aborti non sono importanti.
La cosa che conta è la tutela dell’ambiente, l’accoglienza dei migranti.
Sono fessi quei tradizionalisti ed ultraconservatori Vescovi americani che (scandalo!) difendono la vita sul serio anche contro un Presidente battezzato nella Chiesa Cattolica Romana.
Fessi ed illusi.
È il Papa che ha capito tutto.
Bisogna far finta di essere antiabortisti solo per altri pochi anni poi si potrà dire la verità.
A noi l’aborto piace, ci piacciono i matrimoni omosex e siamo a favore del cambio di sesso.
Che tristezza.