In Brasile, quest’anno, le minacce di eversione contro quanto ancora ci resta dello stato di diritto sono riuscite a contagiare il popolo brasiliano.
Non si è trattato solamente dell’aumento esponenziale dell’odio e della violenza politica, seminati dall’estrema destra e dalle Forze Armate, ma di un vero e proprio disturbo generalizzato da stress elettorale: preoccupazione, timori, allarmismi, stanchezza.
La politica come emozione
Terminato il secondo turno delle elezioni presidenziali, metà dei brasiliani supera lo stress con l’allegria di chi da sempre sa cos’è il carnevale, cosa significa ossia danzare con allegria per calpestare dolore e tristezza. Ma l’altra metà piange e forse cerca rivincite a qualunque prezzo. Sono le emozioni, insomma, le protagoniste di questa politica, che si è trasformata in un ring, su cui si è chiamati a tifare per uno dei contendenti contro il suo avversario.
Sono le emozioni che, più forti delle attitudini critiche, segnano anche il mio intimo in questo tempo. Fino a ieri sera – domenica 30 ottobre – prevaleva la mia angustia e la mia preoccupazione.
Infatti, dopo aver vinto al primo turno – nella Camera dei deputati, nel Senato e in buona parte dei Governi Statali – Bolsonaro avrebbe potuto uscire vittorioso dal ballottaggio. Terminati gli scrutini, i dati rivelano che, per un pugno di voti, Lula è primo. Sollievo, perché temevo davvero che potesse andare peggio!
Partecipo quindi delle emozioni della parte migliore della società brasiliana, perché, nonostante la congiuntura continui drammatica e preoccupante, abbiamo evitato la catastrofe.
Le minacce dell’estrema destra, però, continuano presenti nel mondo occidentale, in Europa come in America Latina: richiedono sforzi di analisi critiche – sempre più difficili – e posizioni radicali per difendere esistenzialmente e politicamente ciò che ci resta di una umanità fraterna, compassionevole, giusta, non violenta e amante della verità.
Ovunque, il neofascismo, si presenta come nemico dell’uguaglianza: liberticida, colonialista, razzista, misogino, omofobico, difensore dei privilegi e nemico dei poveri, legato a religiosità che predicano l’odio e la guerra. Ovunque, si presenta, artificiosamente, come antisistemico, quando di fatto appoggia il capitalismo totalmente sregolato e disumano.
Lula: un déjà vu
In Brasile, a differenza di quanto accaduto recentemente in Italia, il centrosinistra di Lula riesce a propiziare un’ampia alleanza di forze politiche, che, per ragioni diverse, si oppongono al bolsonarismo. Il Partito dei Lavoratori conferma così la sua vocazione di difensore del sistema, dello status quo di una democrazia formale che, allo stesso tempo, è aggredita da forze eversive, ma non riesce a scalfire il potere dell’élite secolarmente privilegiata, disattenta alle condizioni precarie della maggioranza dei brasiliani e sempre oppressiva e violenta nei confronti dei più deboli.
Vedremo se, ancora una volta, Lula e i suoi nuovi alleati, riusciranno a dare continuità alla strategia dell’anteriore mandato presidenziale: l’appoggio senza restrizione ai rentier che vivono a spese del debito pubblico, al capitalismo dell’agribusiness e alle imprese minerarie, insieme a politiche compensatorie popolari: lotta contro la fame, aumento del salario minimo, libretto di lavoro in tempi di uberizzazione accelerata, salute, educazione ecc.
Lula giunge anche con promesse di difesa dell’Amazzonia e dei suoi popoli, ma ignora – in un tributo previo al capitalismo della soia, dell’eucalipto e della canna da zucchero – la situazione del Cerrado devastato e morente e della sua gente: indigeni, quilombolas e contadini tradizionali, perseguitati ed espulsi dallo stato e dalle milizie degli impresari.
La coscienza dei dimenticati
La savana brasiliana, la madre di tutti i fiumi e dell’acqua dolce, il secondo bioma brasiliano in termini di estensione, presente in ben undici stati dell’Unione, è perennemente ignorata dalla politica e dall’opinione pubblica mondiale, da Paesi che tacciono perché si beneficiano del ruolo brasiliano quale Arabia Saudita del verde.
Sono profondamente convinto che il voto più cosciente, anche in queste elezioni, sia stato il voto delle minoranze indigene e contadine, il voto delle donne, degli omoaffettivi, dei neri, delle minoranze abramitiche che lottano quotidinamente con i loro corpi e i loro territori contro la violenza e la menzogna, mostrando spiritualità e cammini per salvare il pianeta dal suicidio.
Tutto attendono dalla loro lotta e non dalla benevolenza dello stato, «fedele garzone di bottega del capitalismo», come ebbe a dire il subcomandante Marcos.
Lula ha vinto per un soffio: il Brasile e’ spaccato in due . Il 49 percento dei brasiliani non ha votato per lui. Che ne sara’ di costoro ,saranno tutti accusati di essere fascisti perche’ non hanno votato Lula? Se si fosse in Italia succederebbe cosi’: spero che in Brasile la popolazione che non si riconosce nella “sinistra” sia lasciata in pace di avere le proprie convinzioni e che non vi sia l’ ennesimo regime illiberale di sinistra come in Venezuela o in Bolivia.
Purtroppo il Brasile – come gli altri BRIC – vive ancora la fase predatoria del capitalismo. Speriamo che Lula – male minore – sappia scuotersi dal torpore volontario delle sinistre occidentali. Si tratterebbe – senza spaventare i blocchi sociali medi – di introdurre un riformismo deciso e sostanziale mirante a implementare sempre meglio un’economia sociale e sostenibile di mercato. Quantobal riferimento al neofascismo, se il riferimento è a quel fenomeno che le sinistre definiscono “populismo”, beh non condivido la definizione. I neifascismi – nell’accezione nota – sono quei movimenti o gruppi che lodano i fascismi storici propugnandone il ritorno: in Italia Casapound o Forza nuova, in Grecia Alba dorata. Fuori da queste formazioni mi pare che l’etichetta di “fascismo” sia l’ennesimo misconoscimento -operato dalla sinistra estrema – dell’altro da sé, a cui non si riconosce diritto all’esistenza. Tale misconoscimento – gli U.S.A. di Trump lo hanno mostrato – porta solo ad esasperare l’odio politico sino al sovvertimento delle libere istituzioni democratiche.
Ovviamente se l’obiettivo è la “revolucion” il misconoscimento dell’avversario politico va benissimo.