Tre sorprese in questo mese di marzo. La prima. L’8 di marzo, il ministro del Supremo Tribunale Federale (STF) Edson Fachin, con decisione monocratica, annulla tutte le condanne inflitte a Lula dalla XIII Camera Federale di Curitiba, adducendo l’argomento dell’incompetenza del giudice Sergio Moro per giudicare il caso.
La seconda sorpresa: contemporaneamente, la Seconda Camera del Supremo Tribunale Federale, presieduta da Gilmar Mendes, pone a votazione l’accusa di parzialità dell’ex giudice Sergio Moro nella condanna di Lula nel processo dell’appartamento di Guarujá.
Perché oggi?
Una domanda ovvia: perché nel marzo del 2021? Può darsi che stia esagerando un poco, ma a questa domanda non rispondono i media egemonici della stampa e della televisione. E rari sono gli intellettuali che propongono analisi di congiuntura che non siano marcate dalla nostalgia di polarizzazioni obsolete.
Come mai il ministro Fachin improvvisamente scopre, dopo quasi cinque anni, che il primo argomento posto dagli avvocati di Lula era di un’ovvietà lapalissiana? Il vizio processuale dovuto all’incompetenza di Moro in quel giudizio fu solennemente ignorato e dimenticato dallo stesso Moro, dal giudice della seconda istanza, il Tribunale Regionale Federale di Porto Alegre, dal Supremo Tribunale di Giustizia e, infine, dallo stesso Supremo Tribunale Federale.
Dopo tanti anni, assistiamo a un radicale cambiamento di registro politico: un attacco frontale all’operazione Lava Jato, l’equivalente brasiliano delle indagini e condanne di Mani Pulite. Come mai?
Il diritto asservito
Fu più di trent’anni fa, leggendo un libricino di Hélio Bicudo, che cominciai a decifrare la funzione della legge e del diritto in uno stato patrimonialista e oligarchico. Del resto, bastava osservare il quotidiano del potere politico e del potere giudiziario nel Maranhão della famiglia Sarney per capire la lezione di Bicudo: la legge è uno strumento, un’arma politica fondamentale nelle mani dell’élite brasiliana.
È usata contro avversari e nemici politici e ignorata quando nelle sue maglie potrebbero cadere amici e alleati, che sono sempre esenti e protetti anche dai crimini, come la strage o l’omicidio, ben più gravi dei reati, pur sempre mortali, dei colletti bianchi.
Sto citando Bicudo, giurista e politico del Partito dei Lavoratori, perché fu una sorpresa per me assistere, nel 2015, alla sua attuazione, come protagonista, nella richiesta di impeachment contro Dilma Roussef, a partire da un uso evidente del diritto in termini di utilità e opportunismi politici.
Insieme alla destra moderata e radicale, si rese responsabile della condanna inflitta dalle Camere alla presidente Dilma, sulla base di un reato inesistente. Bicudo, sfacciatamente – smentendo la sua biografia di rinomato difensore dei diritti umani – collaborò con lo stato d’eccezione, con la negazione impudente dello stato di diritto, finzione giuridica che perdura nel Brasile fin dalla conquista portoghese.
Normalmente chi paga il conto caro e mortale degli arbitri e dell’illegalità dell’élite rentier, politica e giudiziaria, sono da sempre i popoli originari, i poveri del campo, quilombolas e contadini, e i dimenticati delle periferie urbane.
Confrontandosi con una legalità che è mero travestimento del potere della classe dominante, è ovvio opporsi eticamente e politicamente a tutto ciò, usando i criteri della giustizia e della legittimità.
Insomma, sinteticamente, l’unica risposta che trovo è che, riguardo al diritto costituito e alla prassi elitista del potere giudiziario, non c’è nulla di nuovo sotto il sole. E mi meraviglio davanti all’apparente ingenuità di chi dovrebbe sapere e alla furbizia politica di chi finge di non sapere.
Il deludente ritorno di Lula
La terza sorpresa non è poi così sorprendente: la festa della “sinistra” e il comizio di Lula in São Bernardo, con la riproposizione della sua candidatura nelle elezioni presidenziali del 2022.
Si festeggia accettando di credere che si stia facendo giustizia, quando, invece, si tratta solo del mutare del vento degli opportunismi a partire dai pentimenti tardivi della gang che ha prodotto questo estremo insulto al decadente diritto e alla democrazia formale, che è stata l’elezione di Bolsonaro.
E nello stesso tempo si rimanda alle elezioni presidenziali del 2022 lo scontro frontale e finale con un avversario quasi defunto politicamente. E questo rimandare tentativi di soluzione della tragedia brasiliana suona per me cinico e rivela indiretta e grave responsabilità morale e politica per le migliaia di vittime della pandemia dovute alla criminale negligenza del governo federale.
Cade nel vuoto la proposta di formare un governo di Coalizione Nazionale, per poter allontanare dalla carica l’attuale presidente, giudicabile per innumerevoli reati previsti dal Codice penale.
Cade nel vuoto la possibilità di proporre una nuova politica e una nuova Costituzione, a partire da ciò che dolorosamente ci insegna questa pandemia.
Nel discorso di Lula, infatti, l’ampio spettro della sua visione politica esclude qualunque riferimento all’evidente crisi civilizzatrice che da tempo stiamo vivendo. Assistiamo alla “sensata” riproposizione del lulismo – “sinistra” insieme al grande centro – alleato del capitale con politiche sociali e, ovviamente, con “diritti umani” difesi nel dettaglio, ma ignorati quando provocati dall’agribusiness, dalle miniere e dai mega progetti.
Insomma: un cane che si morde la coda.