L’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea è stata letta da mons. M. Crociata dal versante dei vescovi e dell’appartenenza ecclesiale. Il testo che proponiamo la vede, con realismo, dal punto di vista politico ed economico.
Dopo quarantasette anni d’amore intenso, di progetti comuni, ma anche di litigi e di incomprensioni, il Regno Unito si è separato formalmente dall’Unione Europea il 31 gennaio. Mentre a Londra c’era chi festeggiava e chi si struggeva, dalle parti di Bruxelles la cosa è stata vissuta – volutamente – con la solita, burocratica, apatia. Una bandiera ammainata in una cerimonia durata non più di trenta secondi. Protagonisti: due uscieri. Scarse e poco enfatiche dichiarazioni da parte dei leader politici principali. Qualche scarno comunicato, senza rivangare troppo il passato, e anzi, concentrandosi sul futuro.
Si vedrà solo dal 2021
Dopo quattro anni tragicomici – causati principalmente dall’impreparazione e dal dilettantismo britannici – per arrivare a un accordo di uscita, l’ultima cosa che Bruxelles vuole è alimentare ulteriori polemiche. L’idea, da parte europea, è per l’appunto di accettare l’accaduto senza troppi drammi e di mettersi al lavoro per delineare la relazione futura. La questione però ora è proprio questa: quale tipo di relazione?
Intanto bisogna dire che, più che un divorzio, per ora, UE e Regno Unito saranno, sostanzialmente, separati in casa. Fino a fine anno, infatti, gli obblighi e i diritti reciproci (riguardo agli scambi commerciali, agli standard sui prodotti, alla partecipazione ai programmi europei ecc.) resteranno validi, nell’ambito di un cosiddetto periodo di transizione. Quindi, chi dice «Avete visto? La Brexit è arrivata e non è successo nulla», è malinformato o in malafede. Della Brexit, quella vera, non si è ancora vista neanche l’ombra.
Cosa succederà dunque, nel gennaio 2021, al termine del periodo di transizione? Dipende. Il periodo di transizione stesso potrebbe essere prolungato. Questa sarebbe l’opzione più saggia, poiché è alquanto inverosimile che UE e Regno Unito trovino un accordo sulle centinaia di punti ancora aperti nel giro di pochi mesi. Un’opzione forse però troppo ragionevole per Boris Johnson, che ha già escluso qualsiasi proroga (salvo ripensamenti, cosa piuttosto consueta nel campo britannico in questo negoziato).
Mancato accordo: una bomba atomica
Un’altra possibilità è che un accordo invece si riesca a trovare. Che magari venga introdotto un sistema di visti, ma che le merci posano continuare a circolare senza dazi, e – perché no – che anche gli scambi tra studenti Erasmus non debbano essere interrotti. Si tratterrebbe insomma di un divorzio amichevole.
La bomba atomica sarebbe invece quella di un mancato accordo. Se così fosse, il 2021 si aprirebbe con enormi incognite, soprattutto dal punto di vista economico. Verrebbero introdotti dazi e restrizioni e, dal punto di vista regolamentare, si entrerebbe in un periodo molto caotico. Inutile dire che i settori produttivi britannici faranno il possibile per evitare questo scenario che, pur nocivo per l’Europa continentale, rischierebbe di essere catastrofico per l’economia del Regno Unito.
Il modo in cui il divorzio si compirà avrà effetti sia interni che esterni al Regno Unito. Se l’economia britannica reggerà, diminuiranno anche i rischi di tensioni interne e minacce di secessione da parte scozzese e nordirlandese. Se invece si verificasse un collasso economico, tali tensioni sarebbero molto più difficili da placare. Specularmente, se l’uscita del Regno Unito fosse, tutto sommato, un successo, chi in Europa continentale mostra ostilità verso l’integrazione europea avrebbe senz’altro qualche argomento in più da spendere.
Nuove progettualità
In ogni caso, una volta compiuto il divorzio, c’è da aspettarsi una certa ostilità reciproca dalle due parti. Il Regno Unito non sarà più parte della famiglia, ma sarà a tutti gli effetti un nostro concorrente nell’economia globale, al pari di Cina e Stati Uniti. Un concorrente che non mancherà di giocare le sue – non poche – cartucce, a livello finanziario ma anche diplomatico e culturale, per far valere i propri interessi. In particolare, si teme da parte europea che Londra progetti di trasformarsi in un polo economico a scarsa regolamentazione e pratichi sempre di più forme di concorrenza sleale.
Comunque vada, quello che si spera è che l’Europa sappia approfittare dell’uscita del Regno Unito per ripartire sulle tematiche esistenziali – dalla difesa comune alla politica industriale, dalle politiche migratorie alla indispensabile riforma della struttura istituzionale – che la presenza di Londra ha, per troppi anni, bloccato. Se ciò succederà, la Brexit non sarà stata invano, ma sarà anzi stata la sveglia di cui l’Europa aveva disperato bisogno.