La consumazione della Brexit ha suscitato, tra le tante reazioni, anche quelle di organismi ecclesiali e di varie Chiese cristiane, segno dell’attenzione e dell’interesse con cui è stato seguito anche da esse un passaggio di non piccolo rilievo per la loro vita e la loro missione.
La Comece (Commissione delle Conferenze episcopali dell’Unione Europea), in particolare, ha salutato la fine dei rapporti tra Gran Bretagna e Unione Europea come la fine di un periodo di instabilità e di confusa preoccupazione che avevano caratterizzato gli ultimi quattro anni dopo il referendum del 2016.
C’è indubbiamente tristezza per una rottura la cui gravità è difficile sottovalutare, per l’una e l’altra delle controparti, ma non va per questo dimenticato il valore della libertà di opinione e della democrazia, nel rispetto della volontà della maggioranza. Chiudere questa fase è stata una vittoria del buon senso e delle relazioni di buon vicinato, da salutare come tale positivamente.
La Gran Bretagna rimane Europa
Non si può, certo, perdere di vista che la Gran Bretagna, anche se non più membro dell’Unione Europea, rimane parte rilevante e uno tra i paesi maggiori dell’Europa. Questo significa che l’una e l’altra sono destinate a vivere e a lavorare insieme, sempre nel rispetto delle scelte e delle diversità.
L’auspicio e il proposito è quello di mantenere buone relazioni. La Brexit non può impedire, semmai accrescere, l’impegno a lavorare per il bene comune e a rafforzare le buone relazioni fra le due sponde. In tal senso essa rappresenta una sfida e un’opportunità per un nuovo dinamismo nei rapporti tra i popoli europei e per ricostruire un nuovo senso di comunità in Europa.
Non è una prospettiva scontata né facile, ma rimane il compito veramente necessario per chiunque sappia valutare la serietà della rottura che si è consumata e delle conseguenze che essa può avere per tutti.
Come ha sottolineato il cardinale Vincent Nichols, bisogna andare oltre le divisioni, lasciandosi alle spalle un clima divenuto tossico; nessuna nazione può vivere isolata, perciò per tutti c’è bisogno di un nuovo inizio a partire dalla nuova situazione che si è determinata a seguito della Brexit. In tutto ciò i credenti, e in particolare gli episcopati, hanno una particolare responsabilità, in quanto interpreti di un momento delicato della storia dell’Unione Europea e, in qualche modo, di tutto il continente.
I vescovi: osservatori e partecipi
Nella Comece c’è piena consapevolezza al riguardo. Quando ancora non si era formalmente consumata la decisione della separazione, l’assemblea dei delegati degli episcopati ha approvato all’unanimità la proposta di chiedere ai delegati della Gran Bretagna di rimanere in qualità di osservatori. Per la precisione, lo status di osservatore si applica alle due conferenze episcopali, di Inghilterra e Galles e della Scozia, poiché quella irlandese, unica per tutta l’isola, rimane a pieno titolo tra i membri della Commissione.
Tale status significa che di per sé esso non dà titolo per votare nell’assunzione di decisioni da parte dell’assemblea, ma consente di prendere parte al confronto e alla formazione del consenso sulle questioni via via dibattute; e permette, inoltre, a tecnici ed esperti di concorrere alla elaborazione di una riflessione competente sulle varie questioni nelle sedi delle commissioni e dei gruppi di lavoro.
Rimarranno estremamente forti le analogie nella evoluzione sociale ed economica, oltre che culturale, tra i paesi dell’Unione e la Gran Bretagna, la cui lingua, peraltro, rimane la lingua franca dell’Unione. Ci sono poi questioni che conservano una dimensione condivisa, sulle quali sarà giocoforza confrontarsi; si pensi all’immigrazione o alla difesa.
Ma, poi, su tutte le questioni, sarà esigenza bilaterale quella di continuare a lavorare insieme. E rimane inoltre la possibilità di riflettere e lavorare insieme sui cambiamenti che si verificano sulle due sponde, nelle analogie o nelle differenze che le caratterizzano.
Differenze ed equilibri continentali
Sarà in generale importante accompagnare con gli scambi la definizione dei rapporti e degli accordi, perché i legami instaurati non sono condannati a finire. Anche ad un livello ecclesiale, non solo in analogia al progetto Erasmus, è sperabile che si sviluppino gli scambi e gli incontri proposti in sede di Comece tra le Chiese delle diverse nazioni e delle diverse parti dell’Europa, allo scopo di rafforzare i rapporti, la conoscenza e la comprensione tra le varie comunità di credenti.
Nasce, a questo proposito, la domanda sull’evoluzione che si può prevedere negli equilibri e nei rapporti all’interno della stessa Comece. Su questo punto non sono da mettere in conto cambiamenti significativi, né tantomeno scossoni. Tanto più che la permanenza dei membri della Gran Bretagna come osservatori mantiene immutata la dinamica relazionale e lo scambio di pareri e idee.
D’altra parte, il confronto tra le diverse anime, o forse è meglio dire sensibilità dei vari episcopati – che non possono certo essere ridotte a quelle tra Est e Ovest, dal momento che le sfumature sono ben più articolate –, non è mai stato sottaciuto o dissimulato, dall’una o dall’altra parte, ma ha trovato sempre equilibrata interpretazione e composizione, nella consapevolezza della missione della Chiesa in una Unione che ha bisogno di raccogliere le voci dei popoli che la compongono, delle quali le Chiese sono espressioni particolarmente attente e guide sagge e apprezzate.
Divisione negativa, coesione necessaria
Guardando oltre la divisione che si è consumata, si può cogliere una più acuta avvertenza della necessità di rafforzare la coesione e l’intesa all’interno dell’Unione e con tutti i paesi del continente, che sempre di più percepiscono la sfida che il mondo globale presenta e il bisogno di una forza adeguata per misurarvisi con una fondata speranza di successo.
Soprattutto, è auspicabile che perfino l’esperienza della divisione prodottasi renda tutti più consapevoli del molto che accomuna e lega ben oltre le differenze, per far sentire, tra i due estremi della solitudine o della perdita dell’identità, che solo l’unità nel rispetto delle differenze, come è nel suo motto, può dare ancora futuro all’Europa.
Mons. Mariano Crociata, vescovo di Latina, è uno dei quattro vice-presidenti della Comece.