“Un grande passo in avanti, molto importante innanzitutto per i burkinabè, per fare i conti con la propria storia e anche per andare avanti in un processo di riconciliazione nazionale”. Con queste parole Marco Bello, giornalista italiano, conoscitore del Burkina Faso dove ha vissuto per alcuni anni, e autore, insieme a Enrico Casale, del libro Burkina Faso – Lotte, rivolte e resistenza del popolo degli uomini integri (Infinito, 2016, pp. 173), ha commentato la sentenza del processo dell’assassinio di Thomas Sankara, che ha visto condannati all’ergastolo l’ex presidente burkinabè Blaise Compaoré, il comandante della guardia Hyacinthe Kafando e il generale Gilbert Diendéré.
“Una tale sentenza assume, per i burkinabè, anche un valore contro l’impunità in un contesto nazionale di forte insicurezza”, spiega il giornalista, ricordando che il Burkina Faso sta vivendo una grossa crisi di sicurezza che genera un serie di altri crisi: “crisi alimentari perché i contadini non possono coltivare la terra dal momento che gli attacchi dei jihadisti nel nord sono sempre più frequenti; bambini e ragazzi non possono frequentare le scuole, chiuse sempre per insicurezza; crisi umanitarie in quanto aumentano gli sfollati che vanno a gonfiare le città le quali non riescono quindi a fornire i servizi sanitari”.
In questo senso, secondo Bello, “la sentenza del processo rappresenta una pietra miliare anche a livello continentale”, in un momento in cui in Africa si sta verificando una deriva verso l’autoritarismo con numerosi colpi di stato registrati in diversi Paesi negli ultimi mesi – l’ultimo proprio in Burkina Faso quando, lo scorso 24 gennaio, un manipolo di militari ha preso il potere facendo leva proprio sul bisogno di sicurezza della popolazione.
“Naturalmente – precisa il giornalista – il valore di tale sentenza è soprattutto simbolico in quanto Compaoré e Kafando sono in esilio in Costa d’Avorio. Non saranno mai arrestati ed è difficile che la condanna venga messa in pratica”. Solo il generale Diendéré, unico presente al processo, è agli arresti.
In relazione alle menti dell’assassinio, Bello ritiene che Compaoré fosse tra i mandanti, “ma c’era anche una congiuntura internazionale che voleva far saltare Sankara. C’erano altri governi stranieri coinvolti. In ogni caso, Compaoré ha giocato un ruolo decisivo, Kafando e Diendéré erano ai suoi ordini”.
L’assassinio e il golpe furono possibili – spiega l’analista – “perché Sankara aveva scontentato alcuni settori: come i funzionari statali ai quali aveva ridotto i salari per investire in ambito rurale; alcuni fasce sindacali; le chefferies tradizionali alle quali aveva tolto potere nell’ottica di una maggiore uguaglianza sociale”.
In questo senso la sentenza è un passo verso la riconciliazione nazionale – ribadisce l’analista – ricordando la divisione che si era creata all’interno della società. “La lunga battaglia giudiziaria è stata possibile grazie all’insurrezione del 2014 che ha fatto cadere il regime e fuggire Compaoré portando poi a questo percorso, al processo che è stato condotto con tantissime audizioni”, precisa aggiungendo che fino al 2014 di Sankara si parlava “in modo più privato” e non mancava – come non manca ora -chi sosteneva Compaoré. “Ancora oggi ci sono dei partigiani di Compaoré e del suo partito il Cdp”.
Compaoré, in esilio dal 2014 in Costa d’Avorio, e Hyacinthe Kafando, in fuga dal 2016, erano assenti al processo. Il generale Diendéré è quindi stato il principale imputato presente al processo. Iniziato alla fine di ottobre, le udienze di questo storico processo per il Burkina Faso sono state più volte sospese, in particolare in occasione del colpo di Stato del 24 gennaio durante il quale il tenente colonnello Paul-Henri Sandaogo Damiba ha rovesciato il presidente Roch Marc Christian Kaboré.
La vedova del leader rivoluzionario e presidente del Burkina Faso Thomas Sankara, Miriam Sankara, ha accolto con favore la decisione del tribunale militare di Ouagadougou di condannare all’ergastolo in contumacia Blaise Compaoré, per il coinvolgimento nell’omicidio del marito nel 1987. “Penso che il popolo del Burkina Faso e l’opinione pubblica ora sappiano chi è Thomas Sankara, chi è l’uomo, chi è il politico, cosa voleva e anche cosa volevano le persone che lo hanno assassinato. Da questo punto di vista sono sollevata perché ora sappiamo chi è” ha detto alla Bbc Miriam Sankara. Mousbila Sankara, parente di Thomas, ha da parte sua dichiarato di sperare che il verdetto porti alla chiusura di ogni speculazione e riabiliti la figura di Sankara.
Thomas Sankara, 37 anni, fu ucciso a colpi di arma da fuoco insieme ad altri 12 durante il colpo di stato del 1987 che portò Compaoré al potere. L’ex-presidente del Burkina Faso per molti rimane un eroe per le sue posizioni antimperialiste e il suo stile di vita austero. Il suo successore, Blaise Compaoré, vive in esilio e non ha collaborato con il tribunale che lo ha condannato.
- Ripreso dal sito della rivista Africa.