Se papa Francesco ha avviato un “viaggio penitenziale” in Canada, con una speciale attenzione ai popoli nativi (24-29 luglio), c’è un altro viaggio che non ci sarà.
Il patriarca di Mosca, Cirillo, infatti è stato sanzionato dal governo canadese (11 luglio) per il suo sostegno alla guerra d’aggressione di Putin all’Ucraina e, in quanto oligarca, partecipe delle fortune economiche del padrone del Cremlino.
Risulta quindi persona non grata nel paese. Un’analoga censura è arrivata il 16 giugno dal governo inglese. Il 24 luglio un provvedimento simile, approvato dal Parlamento europeo, è stato bloccato dal veto del presidente ungherese, Viktor Orban.
Cirillo: persona non gradita
La censura di autorità politiche verso personalità religiose (cf. anche il caso del patriarca Porfirio di Serbia) si presta sempre a discussioni e sospetti, ma il contestuale dissenso delle Chiese indica la discutibile esposizioni degli interessati. Cirillo ha i suoi prevedibili difensori.
L’arcivescovo Gabriele di Montreal (“Chiesa ortodossa oltre frontiera”, vicina a Mosca) ha qualificato come “assurda” la censura governativa: «il patriarca è il capo della Chiesa, ha una sua opinione, e non capisco perché le autorità politiche occidentali politicizzino la questione. Tutto questo corrisponde alla russofobia che regna oggi in Occidente». «Dal mio punto di vista è normale per lui sostenere il presidente della Federazione russa e l’armata russa che difende gli interessi della Russia e degli abitanti “russofoni” del Dombass». «Oggi la Russia è stata costretta a prendere misure per proteggere la popolazione civile del Donbass dai bombardamenti dei neonazisti, che durano da otto anni». È il nazionalismo selvaggio ucraino a manifestare una certa ispirazione demoniaca.
Una seconda voce a favore di Cirillo è quella del vescovo Teodosio, arcivescovo di Sebastia, del Patriarcato di Gerusalemme. Il 20 giugno ha scritto: «Le accuse contro il primate della Chiesa ortodossa russa sono da noi percepite come azioni ostili da parte dell’Occidente contro l’intera Chiesa ortodossa». Un mese dopo scrive, ampiamente ripreso dai media patriarcali russi, «le potenze occidentali che esaltano la democrazia e i diritti umani mentre sostengono i matrimoni omosessuali e altre cose impossibili da approvare o accettare dalla ragione umana, stanno aggredendo il patriarca Cirillo, che è il pastore supremo dei fedeli della Chiesa ortodossa russa, sia dentro che fuori i confini».
Posizioni fortemente contestate da molte voci ortodosse fra cui il vescovo Marco della “Chiesa ortodossa russa oltrefrontiera“ di Germania. Il sito del patriarcato di Costantinopoli (Orthodox times) si chiede se «l’arcivescovo di Sebastia parli personalmente o esprima il punto di vista del sinodo del patriarcato di Gerusalemme».
La denuncia dei preti: la sicurezza dei gerarchi
Una storia di resistenza raccontano i preti russi (circa 300) che hanno sottoscritto una petizione contro la guerra. Fra le poche informazioni che li riguardano c’è l’arresto di Joann Kurmoyarov, reo di avere postato su You Tube una dura critica alla guerra russa.
Era già sospeso dal servizio della Chiesa russa nel 2022 perché aveva denunciato come “tempio pagano” la consacrazione della nuova e mastodontica chiesa delle forze armate russe. Il tribunale di San Pietroburgo ha confermato l’arresto e la detenzione. Sono oltre 16.000 le persone arrestate, multate e imprigionate dall’inizio della guerra.
Da parte sua, il patriarca Cirillo, non perde occasione di benedire e sostenere la guerra di aggressione in Ucraina. Il 20 giugno, inaugurando la cattedrale di Spassky a Penza (Mosca) ha sottolineato che, mentre in Occidente si chiudono e si svendono le chiese, «noi, con la reazione d’orrore del mondo che non ci capisce, stiamo costruendo i templi di Dio. Siamo la Russia del ventunesimo secolo… La patria sta crescendo con noi. E vediamo i nostri ragazzi difendere la Russia sul campo di battaglia».
Visitando un ospedale militare il giorno successivo, afferma che la protezione mariana aiuterà i soldati a ottenere il sostegno divino. In una successiva visita a Kalinigrad, la striscia di territorio fra Polonia e paesi baltici, sottolinea la “differenza” della Russia dall’Occidente: «Sfortunatamente questa alterità della Russia provoca un sentimento di gelosia, invidia e risentimento, perché sappiamo che la nostra patria non ha mai fatto del male a nessuno».
Il 21 luglio, accompagnando la straordinaria esposizione dell’icona della Trinità di Andrei Rublev (1411), inneggia all’armonia con la comunità musulmana e invoca la protezione «dai nemici interni ed esterni, per i quali il nostro benessere è spesso avvertito più irritante di una coltello affilato».
Anche l’ormai tradizionale celebrazione per l’anniversario del massacro della famiglia imperiale a Ekaterinburg, avvenuta il 17 luglio 1918, è diventata motivo di retorica nazionalista: «Viviamo oggi un periodo unico della nostra storia, l’epoca della rinascita della Russia, quella dell’unificazione del popolo russo» (metropolita Eugenio di Ekaterinburg).
Le altre fedi e il putinismo
Per molti aspetti è drammatica la posizione delle altre religioni e confessioni. Non per i musulmani che si sono immediatamente affidati alla narrazione imperiale dello Zar invocando lo sterminio dei neo-nazisti ucraini. In grande difficoltà gli ebrei.
Il rabbino capo di Mosca, Pinchas Goldschmidt, è stato costretta a espatriare per non giustificare la guerra. «Non ho potuto restare in silenzio davanti alla guerra terribile di questi mesi e davanti a tante sofferenze. Mi sono pronunciato contro». Per non diventare un peso insopportabile per la sua comunità, ha abbandonato il paese e la rappresentanza dei 165.000 ebrei presenti nella Federazione russa. Il delicato ecosistema delle comunità ebraiche ha subito avvertito la scossa. Il ministero della giustizia ha chiesto lo scioglimento dell’Agenzia ebraica del paese, la strutturo che presiede all’emigrazione degli ebrei in Israele. Il flusso delle fughe ha raggiunto in questi mesi i 10.000 casi.
In grandi difficoltà le poche comunità protestanti. In una intervista su Riforma del 29 marzo, Eduard Khegay, vescovo della Chiesa metodista unita ha detto: «Sono sconvolto dalla decisione della Russia di avviare quella che qui dobbiamo chiamare operazione militare. Drammatico anche scoprire che la maggioranza della popolazione supporta l’azione, almeno il 70 % secondo i sondaggi, e fra loro anche molta gente delle nostre Chiese, un aspetto per me molto doloroso di fronte alla sofferenza di milioni di ucraini». «Metodisti, evangelici, battisti come il resto della società, stanno sperimentando queste divisioni al loro interno, questa polarizzazione che non ammette complessità».
Non diversamente per i cattolici. Nel documento conclusivo dei lavori sinodali si denuncia una situazione di polarizzazione interna e la rinnovata centralità della preghiera e della fiducia nella provvidenza. Molto più esplicita la posizione del card. Kurt Koch del dicastero per la promozione dell’unità dei cristiani: «La giustificazione pseudo-religiosa della guerra del patriarca Cirillo deve scuotere ogni cuore ecumenico. Da un punto di vista cristiano non si può giustificare una guerra di aggressione, tutt’al più, a determinate condizioni, una difesa contro un aggressore ingiusto. Sminuire la brutale guerra di aggressione di Putin come un’“operazione speciale” è un abuso di parole. Devo condannarla come una posizione assolutamente insostenibile».
In un commento di Stefano Caprio (Asianews) si dice: «E più della guerra, dei lager e del cibo, a ridare vita al passato (la “gloria staliniana” e la stagnazione brezneviana) è l’insopportabile illusione di una superiorità morale e religiosa, che vorrebbe celebrare la capacità dei russi di unirsi nella solidarietà e nel sostegno ai dirigenti del paese, proclamando la fine dell’individualismo libertario che rovina le anime dei depravati occidentali».
‘«noi, con la reazione d’orrore del mondo che non ci capisce, stiamo costruendo i templi di Dio’
si, e di questo non si può che complimentarsi con loro. il problema è che lo fanno solo perchè hanno lo Stato che gli da gli spicci per farlo, non perchè ci sia richiesta, anzi, ci sono state proteste per edifici sacri costruiti distruggendo verde pubblico nelle città
e la frequenza alle funzioni domenicali rimane bassa, intorno all’1%
alla fine l’Ortodossia dopo la caduta dell’impero romano d’oriente (che mirava ad essere universale, e quindi ecumenico) sta spesso degenerando in etnochiese che appoggiano mire irredentiste o espansioniste
mancano sempre più della ‘cattolicità’