Il 6 marzo per manifestazioni contro la guerra organizzate in 65 città della Russia sono state arrestate circa 5.000 persone in totale. Il giorno precedente la Duma aveva approvato una legge per cui qualsiasi espressione sulla guerra in Ucraina che differisca dalla narrazione ufficiale è punibile non solo con multe onerose, ma anche con la reclusione fino a 15 anni; e subito sono stati avviati i primi procedimenti.
«Perché non scendono in piazza contro la guerra?»
La vigilia della Domenica del perdono, nella regione di Nižnij Novgorod, padre Ioann Burdin, parroco della chiesa della Risurrezione nel villaggio di Karabanovo, è stato arrestato per aver fatto dichiarazioni contro la guerra in predica. Viene accusato di «diffamazione delle forze armate».
«Perché milioni di russi non scendono in piazza contro la guerra?», chiedono gli amici ucraini. «Perché queste proteste così misere? È mai possibile che tutti sostengano e condividano la linea generale?», chiedono gli amici che vivono in Europa, dove invece sono centinaia di migliaia le persone che partecipano ai raduni contro la guerra.
E per l’ennesima volta racconto degli arresti, del fatto che, nonostante lo strangolamento costante e violento di ogni parola vera, sempre più persone insorgono contro questo conflitto in tutti i modi possibili: firmano appelli col rischio di diventare dei paria, si licenziano per non essere complici della menzogna, attaccano nottetempo manifestini contro la guerra, e scendono in piazza, davvero, anche se, con l’aumentare della rabbia dello Stato, è sempre più pericoloso farlo. Ognuno ci va non solo per sé stesso, ma anche per tutti quelli che non possono andarci.
Resistenza
In un movimento di resistenza non sempre visibile dal di fuori, dentro una società stremata dalla dittatura, divisa e confusa, sta nascendo una nuova solidarietà tra le generazioni, quella comunità non corporativa che Sergej Averincev considerava uno dei fattori principali della libertà civile.
Dio solo sa per quanto bisogna moltiplicare le statistiche delle proteste per arrivare a contare tutti quelli che in questo momento col pensiero, la parola e la preghiera si oppongono a questa guerra tragica e assurda.
Giorgio Agamben scriveva che nella mancanza di parola in cui la dittatura inevitabilmente costringe, la voce di chi testimonia acquista un valore inestimabile: non parla solo per sé stessa, ma diventa la voce di tutti gli inascoltati.
La nota della storica dell’arte Katerina Belenkina è una delle innumerevoli voci che strappano il velo di ostilità, bugie e paura.
Katja Belenkina
27 febbraio 2022
Un numero immenso di arresti a Mosca. Finora, 1.000 persone in un giorno…
Tante persone coraggiose e oneste sono scese in piazza oggi: anche se tutto il centro brulica di OMON, di corpi della Guardia Nazionale e di polizia; anche se la minaccia dell’arresto incombe su tutti quelli che protestano; anche se ci intimidiscono con le repressioni, cercano di impedirci di chiamare le cose col loro nome, di ritrovarci legalmente, di riunirci, di mettere una firma… noi non staremo zitti.
3 marzo 2022
Io so che la mia voce non sarà udita nel bunker.
So che la mia voce non raggiungerà il mio vicino che da tre ore ascolta Grigorij Leps a tutto volume.
So che la mia voce non verrà udita dalla gente in Ucraina, paese al quale tutto il mondo civilizzato pensa e per il quale piange. Ma lo dirò lo stesso. Io sono contraria a quello che stanno facendo le autorità della Federazione russa.
Sono contraria a ogni tipo di conformismo interiore e professionale dei cittadini della Federazione russa.
Sono contraria al silenzio.
Contraria a che la gente continui la sua vita normale quando centinaia di migliaia di anziani e di bambini lasciano le loro case e fuggono verso l’ignoto.
Io, Katja, granello di sabbia che vive a 500 metri dal Cremlino di Mosca, sono contraria.
Svetlana Panič, filologa, traduttrice, è ricercatrice presso l’Istituto Solženicyn «Casa della Emigrazione russa» di Mosca. Testo pubblicato sul blog de La Nuova Europa, 14 marzo 2022.