È ancora considerata la maggiore Chiesa del paese. Con 12.000 parrocchie, 52 diocesi e un centinaio di vescovi supera la Chiesa autocefala (7.000 parrocchie, 50 vescovi) e si prende la maggioranza della popolazione ortodossa (il 60-70% dei 41 milioni di abitanti). Assai più consistente della pur stimatissima Chiesa cattolica di rito bizantino (4 milioni) e di rito latino (1 milione).
Senza contare diverse comunità minori: Chiesa cattolica rutena, Chiesa di Filarete, comunità protestanti ecc. «Ma la guerra potrebbe accelerare una riconfigurazione radicale: molti preti e fedeli ucraini filorussi si sentono traditi da Mosca e diverse diocesi avrebbero già chiesto di passare alla Chiesa autocefala. È prevedibile che il metropolita Onufrio convochi a guerra finita un concilio di riunificazione dell’ortodossia ucraina, tagliando i legami con Mosca» (J-A. Derens).
Dall’autonomia al distacco da Mosca?
La condizione pre-bellica della Chiesa filorussa di Onufrio è connotata da “ampia autonomia” rispetto a Mosca.
La prassi della Chiesa ortodossa russa prevede tre gradi di autonomia: la piena autonomia come nel caso dell’Ortodossia giapponese, l’ampia autonomia come nel caso dell’Ucraina, e un regime di minore autonomia come il caso moldavo o lettone.
La Chiesa ucraina elegge il suo primate e il suo sinodo, stabilisce le diocesi e determina autonomamente le norme di funzionamento. I suoi vescovi hanno il dovere di partecipare al Concilio dei vescovi di Mosca.
Quest’ultimo vincolo dovrebbe far emergere nel prossimo concilio dei vescovi a Mosca (previsto per lo scorso novembre e poi slittato fino all’autunno 2022) un dissenso chiaro rispetto all’aggressione militare russa. Sia Onufrio sia una decina di vescovi si sono chiaramente espressi in questo senso.
Finora la Chiesa russa non ha preso le distanze da Onufrio e dai suoi. Si è fatta portavoce per la denuncia di numerosi episodi di vessazioni amministrative o poliziesche nei confronti delle comunità filo-russe in Ucraina.
Tutti i giorni le fonti informative del patriarcato di Mosca martellano sulle chiese requisite, sulle minacce ai pope, sui danni a cose e persone: da Konotop a Ivano-Frankivsk, da Yasinya e Leopoli, da Dubensky a Buchansky, da Ovruch a Rukshin. Amplificano la decisione del sinodo di considerare illegali le decisioni degli organi amministrativi locali nei confronti dei beni ecclesiastici.
Soprattutto denunciano le due leggi pronte in Parlamento che penalizzerebbero la Chiesa filorussa; il cambiamento del nome che obbligherebbe a una complicata opera di re-iscrizione di persone, cose e comunità nei registri nazionali, ma soprattutto la semplificata modalità di passaggio dall’obbedienza filorussa a quella autocefala, già ora aspramente criticata.
Prevedibile isolamento
I bombardamenti, le stragi, le distruzioni e i saccheggi dell’armata russa hanno fatto esplodere il sentimento anti-russo nelle comunità: nelle preghiere scompare il riferimento a Cirillo, cresce la richiesta di tagliare tutti i legami con Mosca, si incrinano i rapporti di fiducia. Anche se il disagio non si traduce nel passaggio alla Chiesa autocefala. Negli ultimi tre anni non più di 700 parrocchie sono passate da una obbedienza all’altra.
Da parte di Mosca, si registrano i primi segnali di distacco dalla Chiesa di Onufrio. Ha sorpreso il totale silenzio del patriarca di Mosca sul drammatico appello di Onufrio per facilitare l’evacuazione della popolazione civile di Mariupol.
E, nel caso dell’efficace mediazione di ONU, Ong e Cirillo per la liberazione degli ultimi civili dall’impianto di Azovstal, Mosca si è affidata al metropolita Mitrofan di Gorlovski, ignorando il primate.
Secondo Peter Anderson la scelta può preludere alla volontà di Mosca di pretendere una giurisdizione diretta su Crimea, Donetsk e Luhansk. Segnale per una più diretta gestione dei territori in un contesto di crescente isolamento.
Alla Chiesa russa è rimasta l’alleanza con le Chiese serbe e bulgare, mentre le altre sembrano abbandonarla.